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I liberoscambisti all'assalto della Costituzione

di Ugo Gaudenzi - 07/06/2010

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Ed ecco a Voi l’ultimo ingranaggio mancante per la compiuta “rivoluzione liberale”,  o liberista che dir si voglia,  di un’ Italia alla ricerca di un angoletto di manovra nel turbocapitalismo.
Tra questo sabato in sede di G20 e lunedì con l’occasione del vertice Ecofin, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, dopo aver complottato con il Cavaliere, annuncerà urbi et orbi una “misura straordinaria per la libertà d’impresa”. E cioè una legge di riforma costituzionale volta ad un “grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche”. “Una rivoluzione liberale - ha spiegato - che renda possibile tutto ciò che è proibito”.
Il governo unto dal “liberoscambista”  Bossi - che in origine non sapeva nemmeno cosa esattamente significasse tale concetto caro ai cultori del lavoro inteso come mercato di uomini e cose - con la scusa apparente di incentivare piccole e medie imprese, l’artigianato e la ricerca, vuole in realtà modificare, ergo: cancellare, tutta quella parte della Costituzione della Repubblica, che, dall’articolo 41 all’articolo 46, impone, almeno formalmente, vincoli e mete sociali, in favore di tutta la comunità nazionale, per l’economia.
Controlli e obiettivi che fino ad oggi, almeno in teoria, permettono un formale - anche se mai attuato - indirizzo “sociale” del lavoro: attraverso espropri per motivi di interesse generale, o con la partecipazione pubblica alla gestione di aziende strategiche (telecomunicazioni, trasporti, energia, etc.), o attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
La Costituzione, che “sconsideratamente”, con gli articoli dal 41 al 46, aveva recepito le direttrici sociali per l’economia - così come impiantate in Italia dal precedente regime - deve insomma essere mandata al rogo.
Così i raid dei turbocapitalisti, rimosso anche l’ultimo ostacolo di un confine “verbale”, potranno operare “al sicuro” e devastare meglio l’economia nazionale.
Art. 41.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
 
Art. 42.
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
 
Art. 43.
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
 
Art. 44.
Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
 
Art. 45.
La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.
La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.
 
Art. 46.
Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.