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Dioniso contro il mondo moderno

di Luca Leonello Rimbotti - 07/06/2010


 

 

La società mercantilista e usuraia nella quale viviamo è notoriamente a sangue freddo. Non ha passioni. Vive di aspettative terra-terra ed è nemica del sacro. Nata sulla sanguinosa sconfitta del pensiero mitico, la “democrazia” così intesa ha fatto fortuna sul razionalismo e sul predominio dei calcoli economici. L’emotività, l’intuizione, la seduzione per tutto ciò che è simbolico e metapsichico…insomma tutto il bagaglio irrazionale dei popoli, dalla magia alla sagra, è stato dai gelidi profeti illuministi classificato come oscurantista, e quindi demonizzato, relegato tra le pulsioni inferiori. Si sa che di danni, gli illuministi vecchi e nuovi, ne hanno fatti parecchi. Ma questo, di aver spento la carica umana di vivere l’istinto come un contatto col divino, è tra i più funesti. Il piccolo manager piazzista, la starletta un po’ puttana, il furbo di successo: queste le figure che tirano gli odierni immaginari sociali. Non l’eroe, il santo, il mistico, il guerriero, il destino, il poeta visionario, non il politico investito della weberiana “missione”, non l’annunciatore di miti o di simboli, non la saga o il poeta immaginifico. Alle plebi borghesi, come consolazione, si buttano in pasto, qua e là, dosi di mangime new-age: e così anche quel po’ di “spirito” liberale è appagato.

E dire che  proprio negli ultimi anni è risorto l’interesse degli studiosi per tutto quanto attiene alla sfera dell’irrazionale. Iniziò Elémire Zolla, il grande tradizionalista, che negli anni Novanta curò un’antologia intitolata al Dio dell’ebbrezza. Antologia dei moderni dionisiaci: da Baudelaire a Cocteau, da Lawrence a Benn, da Nietzsche a D’Annunzio a Jünger, tutti ricercarono il Dio Dioniso. Tutti videro nel contatto misterico con l’estasi e il sublime la vera dimensione di un’umanità scelta, differenziata. Erwin Rhode, l’amico di Nietzsche, scoprì tra i primi il contatto storico tra feste dionisiache e sciamanesimo. Ci furono studiosi che videro negli antichi guerrieri germanici pervasi dal furor altrettanti devoti sciamanici del Dio furente. Dovette esserci un’unica grande religione, ovunque in Europa, poi smorzata dal cristianesimo e schiacciata dall’illuminismo, celebrante in un unico culto il sole e la luna. Dèi solari e divinità telluriche in coppia: apoteosi della natura. Gli antichi e i moderni dionisiaci cercano la natura, vi si immergono, rianimano gli istinti vitali, provocano il delirio e l’estasi, si aprono a poteri illuminanti, ipnotici, medianici.

Poi George Lapassade, nel suo libro Dallo sciamano al raver, ha provato a spiegare come la transe, buttata fuori dalla porta dal moderno razionalismo occidentale, cerchi da qualche tempo di rientrare dalla finestra, attraverso i nuovi bisogni di sacro: meditazioni trascendentali, tecniche orientali di concentrazione, alla fine uso di droghe psichedeliche…a scendere, fino alla musica techno da discoteca. Ma il tutto, diceva, «manca di basi teoriche». Difatti, questa voglia di “uscita fuori di sé” che sentono allo stesso modo annoiate élite alto-borghesi e masse borgatare, non è che il segnale di un ulteriore degrado. Qui non c’entra Dioniso. Siamo su un terreno povero, il “deserto che avanza” della modernità di cui parlava Nietzsche. Qui il problema è la nevrosi di massa, causata dall’assenza di ideali nella società liberale, dalla disperazione sociale, dalla miseria culturale. Dioniso, insomma, quello vero, non si sbatte in discoteca e non spaccia pasticche di ecstasy all’angolo della strada.

Adesso è uscito il libro Con gli spiriti in corpo. Transe, estasi, follia d’amore (Bollati Boringhieri) di Luc De Heusch, un antropologo belga che ripercorre il lato nobile di tutta la faccenda: la capacità della psicologia – sia individuale che collettiva – di entrare in situazioni di «metamorfosi del corpo», di uscire dalla banalità del quotidiano per entrare in una dimensione di ascesi mistica. Qui siamo sui toni alti. La transe di Teresa d’Avila o di Giovanni della Croce, ad esempio, non ha nulla a che vedere con l’isteria o con la possessione degli indemoniati. Ma, piuttosto, ha gli stessi caratteri di un’umanissima “follia d’amore”. Come gli innamorati sono resi folli dal loro ardente desiderio, così i mistici conoscono una forma di eros, che gli studiosi hanno spesso avvicinato all’orgasmo. Lapassade notò che Teresa d’Avila, per dire, nei suoi scritti lasciò chiara testimonianza che le sue visioni avevano un che di potentemente fisico, un eros trascinante: «Gli vidi una lunga lancia d’oro che si terminava in una punta infuocata, e mi parve ch’egli a più riprese me l’affondasse nel cuore e mi trapassasse le viscere! Allorché me la toglieva, mi pareva che mi strappasse anche le viscere lasciandomi tutt’infiammata del grande amor di Dio…».

De Heusch precisa che «possiamo individuare l’aspirazione sciamanica già nella solitudine dei monaci di clausura del Medioevo». La passione amorosa, sia per un essere umano che per un Dio, che già Freud vide molto vicina all’ipnosi, è veicolata dal “sonno della ragione”. Il quale, lungi dal generare mostri, è al contrario un mezzo per diventare sovrumani e per lasciarsi alle spalle le regole degli uomini comuni. Tristano e Isotta, oppure Ulisse e Calypso, rileva De Heusch, sono esempi di come l’estasi d’amore sia una via elitaria di «totale sregolamento». Si direbbe dunque cosa per pochi, per persone d’eccezione. Impossibile, quindi, “socializzare” l’estasi?

Al contrario. Nel libro di Elvio Fachinelli La mente estatica, recentemente ripubblicato da Adelphi, si afferma che, secondo Heidegger, l’estasi è «l’essenza dell’esistenza stessa», così come, in antico, era stato Platone in persona a fare l’elogio della manìa. Il corpo che torna a parlare il suo linguaggio al di fuori degli schemi: questo è «l’aspetto sensoriale, sensuale, carnale dell’esperienza». De Heusch aggiunge che questa «intrusione del dio nel corpo» che produce la transe, che avvicina al sublime, che innesta l’entusiasmo, può portare lontano, nel bene e nel male. E, alle volte, può agitare e scuotere un intero popolo. Max Weber per primo introdusse nella sociologia e nella storiografia il concetto di carìsma: un dono misterioso che di un uomo qualunque fa un capo investito di poteri magici irresistibili. E si ricorda poi quello che scrisse Freud nel 1921: le masse «per influsso della suggestione sono anche capaci di prestazioni elevate, quali l’abnegazione, il disinteresse, la dedizione a un ideale».

Detto e fatto. Di lì a pochi anni, ecco Hitler a dimostrare che la condizione estatica, che conduce alle fanatiche certezze di un irrazionalismo mistico, non è cosa solo per monaci e santi nel chiuso delle loro cellette, ma per decine di milioni di uomini moderni riuniti in riti oceanici. Dall’Ottocento in poi, da Gustave Le Bon che studiò la psicologia delle folle, si è visto nel sogno collettivo un atto di magia ipnotica: «In ogni caso – scrive De Heusch – la politica non ha smesso di essere una provincia della storia delle religioni, in cui forza e seduzione, timore e tremore, amore e odio si alleano nella mescolanza più inquietante». Se non fosse che oggi, di mezzo, c’è il piatto edonismo liberista, con la sua legge egualitaria: niente estasi, siamo tutti laici.