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Pianeta blu depredato

di Diego Carmignani - 08/06/2010


Nell’Anno internazionale della biodiversità, con cui l’Onu intende promuovere la tutela delle numerose specie che popolano la Terra e scongiurare l’inesorabile impoverimento degli ecosistemi, la giornata di oggi assume una rilevanza particolare, essendo dedicata agli oceani, cioè al 70 per cento della superficie del nostro pianeta. L’appuntamento si rinnova dal 1992, quando a Rio de Janeiro, nell’ambito della Conferenza internazionale su ambiente e sviluppo, venne istituita la Giornata mondiale. Su scala globale, gli eventi organizzati in scuole, musei, acquari e università, mirano a quattro obiettivi: cambiare prospettiva su ciò che gli oceani rappresentano per l’umanità, conoscere la biodiversità delle profondità, modificare le nostre abitudini e celebrare il legame tra l’uomo e il mare. Propositi che, per la diciottesima edizione, sono messi però a rischio da un alto stato d’emergenza, rappresentato dall’immane spettro nero del Golfo del Messico e rafforzato dal Wwf, che ha lanciato ieri l’allarme: ad essere protetto è appena l’1 per cento delle acque oceaniche.

 

Non solo Lousiana, si potrebbe dire. Infatti, in ogni angolo del “pianeta blu”, secondo l’associazione ambientalista, i governi stanno fallendo nella gestione delle acque oceaniche e nella regolamentezione della pesca, ormai eccessiva e distruttiva: un saccheggio quotidiano che coinvolge l’ultima frontiera ecosistemica del pianeta. Già nello scorso mese, l’Onu aveva osservato come, con l’intensificazione della pesca e il mancato rispetto dei periodi di riproduzione, tra 40 anni le specie ittiche rischiano di sparire dagli oceani. Per scongiurare il prosciugamento delle riserve, ormai al 70 per cento, bisognerebbe eliminare i sussidi all’industria della pesca e garantire aree di tutela. E il Wwf ha rilanciato ieri, alla vigilia della Giornata mondiale: il 99 per cento delle acque del globo è fuori controllo, navigato da imponenti flotte pescherecce e pericolose petroliere.
 
Le aree cosiddette di “alto mare”, quelle situate al di fuori da giurisdizioni nazionali, occupano oltre i due terzi degli oceani e la loro biodiversità è fortemente minacciata: il 65 per cento degli stock di pesce è sovrasfruttato, la pesca illegale si accaparra quasi 1,2 miliardi di dollari l’anno e quella legale non segue le indicazioni della comunità scientifica. Il metodo a strascico distrugge le barriere coralline in profondità, che ricoprono le “sea mountains”, i monti sottomarini dei fondali. Nel dare evidenza alla “pirateria”, il responsabile mari di Wwf Italia, Marco Costantini, sottolinea un’altra piaga causata dall’agire umano: «Bisogna impedire la circolazione di navi oceaniche “carretta” atte al trasporto del  petrolio, come la Exxon Valdez che si infranse su uno soglio dell’Alaska contaminando le coste e che circola ancora. È necessario, per le attività estrattive, mettere in campo valutazioni di rischio che includano previsione e quantificazione degli enormi danni ecologici, sociali e ambientali, in caso di disastri come quello del Golfo del Messico».
 
Un evento senza precedenti, che avrà conseguenze per i prossimi cinquanta anni e che ci ricorda quanto si urgente uscire dalla dipendenza da combustibili fossili, principale causa della più pesante minaccia provocata dall’uomo: i cambiamenti climatici. Un’esortazione in più, in occasione della Giornata mondiale degli oceani, è giunta dal segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki Moon, che ha ricordato il loro ruolo nella nostra vita quotidiana e la necessità di combattere «lo sfruttamento eccessivo delle risorse di vita marine, il cambiamento climatico e l’inquinamento derivante da attività e materiali pericolosi». Urgenze universalmente riconosciute e che dovrebbero portare, entro il 2012, all’istituzione mondiale di una rete per le Aree marine protette, ecologicamente rappresentative ed efficacemente gestite. In ottobre a Nagoya, i governi presenti alla Conferenza delle parti della convenzione sulla diversità biologica dovranno raggiungere un accordo per proteggere al meglio le aree di rilevanza ambientale individuate. E anche l’Italia è chiamata a rispettare questo ultimatum.