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La sofisticazione del linguaggio

di Umberto Galimberti - 08/06/2010

Fonte: LaFeltrinelli.it

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C'è anche una censura ben più sofisticata e che è particolarmente utilizzata senza che noi ce ne accorgiamo: è la figura della sofisticazione del linguaggio, determinata dal fatto per cui io non chiamo le cose propriamente con il loro nome, e non chiamandole con il loro nome ottengo degli effetti di realtà molto più contenuti, meno esplosivi, molto meno ribellistici.

C'è stato uno storico inglese, Stanley, il quale da bambino viveva in Sudafrica, con una famiglia molto ricca la quale si trasferiva con un seguito di un centinaio di - non chiamiamoli schiavi ma pressappoco - che portavano tutte le vettovaglie e bagagli; lui dormiva in un albergo ben coperto mentre questi sherpa dormivano fuori al freddo. Lui, affacciandosi alla finestra li ha visti ed il giorno dopo ha chiesto alla mamma "ma perchè costoro vivono al freddo ed io invece al caldo? Ce l'hanno una famiglia come ce l'ho io?" e la mamma gli ha subito risposto: "Stanley è molto sensibile". Lui non ci ha pensato su subito, però strada facendo ha riflesso: ma mia mamma vedeva le stesse cose che vedevo io o vedeva altre cose? Avevamo lo stesso mondo da percepire o lei ne vedeva un altro? E se era lo stesso, il mondo, che operazione ha fatto la mia mamma? E la risposta che s'è data è stata: la mamma ha fatto un'operazione di negazione, negava di vedere ciò che era evidente a tutti.
Sollecitato da quest'esperienza infantile, Stanley ha fondato, a Oxford, una nuova cattedra, la "Cattedra della negazione", in cui il linguaggio svolge un ruolo importantissimo.

Per esempio: se io un massacro lo chiamo "danno collaterale" non ottengo una reazione emotiva in chi mi ascolta come se lo chiamassi massacro; se una deportazione la chiamo "spostamento di popolazione" è chiaro che con il linguaggio ho ottenuto una dimensione morbida, accettabile e non invece una tragedia com'è appunto la deportazione. Se la guerra la chiamo "missione di pace", evidentemente opero un effetto di negazione ma ottengo il risultato che la gente non si altera eccessivamente, e comunque riduco le potenzialità ribellistiche. Se poi aggiungo che "esporto una democrazia", allora lì arrivo nel comico, perchè significa dimenticare la storia, la cultura, dimenticare il tempo che noi stessi abbiamo percorso per arrivare a questo scenario.

Ecco, penso che la censura non sia solamente mandar via dei presentatori o dei giornalisti della televisione, o che la censura non sia solamente dare una notizia in un verso o nell'altro ma, soprattutto, bisogna stare attenti a quella censura che è la sofisticazione del linguaggio, la modalità con cui noi chiamiamo le cose in modo da renderle accettabili anche se, alla fine, sono indigeribili.
 

in "Radio Feltrinelli" - La Casa di Psiche