Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dopo l’attacco alla flottiglia pacifista Israele è più sol

Dopo l’attacco alla flottiglia pacifista Israele è più sol

di Sergio Romano - 09/06/2010


http://kafee.files.wordpress.com/2008/11/livni.jpg

Alla domanda di un giornalista che le chiedeva se Israele avesse calcolato gli effetti del suo raid contro la flottiglia della pace, Tzipi Livni, ex ministro degli Esteri israeliano e leader del partito Kadima, ha risposto che in Medio Oriente la scelta è fra opzioni cattive. È vero. Vi sono circostanze in cui i governi devono scegliere fra due mali. Ma è probabile che in questo caso le autorità israeliane abbiano deliberatamente ignorato o sottovalutato le ripercussioni internazionali di un gesto legalmente ingiustificabile e politicamente, con ogni probabilità, controproducente. La domanda quindi è questa: come è possibile che un ceto politico colto, esperto e intellettualmente fine accetti di correre un rischio così alto? Sperava davvero che le sue spiegazioni avrebbero convinto la maggioranza dell’opinione pubblica internazionale? Penso che la spiegazione di ciò che è accaduto vada ricercata in due fattori strettamente collegati: il cambiamento della società israeliana e le contraddizioni della sua politica interna.
Nella prima fase della sua esistenza Israele fu un paese europeo composto da uomini e donne che erano stati allevati in un ambiente laico, socialista, esposto alla migliore cultura politica tedesca, austriaca, francese. Ma la maggior parte degli immigrati arrivati dopo la proclamazione dello stato e le due successive guerre arabo-israeliane (1956 e 1967) proveniva dall’Africa settentrionale e aveva tradizioni culturali diverse, una forte identità religiosa, scarsa familiarità con la democrazia. Arrivarono poi i falascià dell’Etiopia, gli ortodossi, soprattutto americani, estranei alla cultura sionista e animati da una specie di irredentismo biblico. E arrivarono circa 900 mila ebrei russi, spesso solo parzialmente ebrei ma culturalmente ancora sovietici.
Fra lo stato creato nel 1948 e quello d’oggi esiste ormai una grande differenza. Quello d’oggi è meno laico e meno europeo. È anche meno democratico? Le sue elezioni sono libere, il dibattito politico è vivace, la stampa è la migliore dell’intera regione. Ma il suo sistema politico riflette l’eterogeneità della società israeliana ed è diventato instabile, rissoso, contraddittorio. Il paese deve avere una coerente politica palestinese, ma non ha la forza per impedire la proliferazione degli insediamenti nei territori occupati. Non può ignorare le esigenze politiche del suo alleato maggiore, gli Stati Uniti, ma non può dimenticare che la sua sopravvivenza dipende da partiti che rappresentano i coloni e i gruppi religiosi più aggressivi. Ha cercato di giustificare se stesso rappresentando l’Iran come una minaccia alla propria esistenza e Hamas come una organizzazione terroristica. Ma l’assedio di Gaza e le spregiudicate tattiche dei suoi servizi segreti (penso all’omicidio a Dubai di un leader di Hamas) hanno mal disposto una parte dell’opinione pubblica. Dopo il raid contro la flottiglia della pace e la morte di alcuni cittadini turchi, la situazione è resa più grave dal fatto che molti amici di Israele sono anche amici della Turchia. Forse Tzipi Livni ha dimenticato che toccherà ad altri scegliere fra due mali. E non è detto che in questo caso scelgano di stare con Israele.