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La “politica totale” di Pitagora

di Emanuele Liut - 11/06/2010

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Il fatto, necessario, che i filosofi parlino una lingua incomprensibile ai più ha generato il pregiudizio che essi, “menefreganti” rispetto alla realtà e apparentemente intenti ad abbellire le mura della loro torre d’avorio – magari, si potrebbe volgarmente dire, per paura della comune realtà -, non siano capaci di influire nel mondo circostante in maniera genuinamente politica.
Tantomeno essi sarebbero sensibili agli sviluppi della storia dell’uomo e alla pratica, piuttosto intenti in auto-compiacenti, quanto sterili, miraggi teoretici... Di certo, questo, non solo un “torto” del senso comune alla filosofia – che è l’aspetto meno grave e, anzi, inevitabile – ma soprattutto un rischio in cui incorrono filosofi e interpreti, e su cui, ahinoi, molto spesso capita di inciampare: indubbiamente il “male filosoficus” par excéllence... Per aprire una breve parentesi, positivisti e scientisti – come ha notato Nietzsche, e in seguito la fenomenologia – hanno “risolto” il problema abbassando la filosofia al senso comune...
Altrettanto difficile che fare filosofia, perciò quindi, specularmente, è certo interpretarla (e anzi, si può intendere la filosofia, se autentica, come la reinterpretazione e ri-formulazione, o meglio: rievocazione, di quid originari idee senza parole...). Ciò, a maggior ragione, se si approfondisce lo studio dei filosofi antichi, data la frammentarietà con cui ci pervengono, alquanto ardui da assumere rettamente senza scadere nel nozionistico schematismo o nella mera storicizzazione.
Errori, questi di cui sopra, che non possono certo essere imputati a La “politica totale” di Pitagora, agile e denso saggio di Cristoforo Andreoli, edito nel 2003 dalle Edizioni di Ar, di certo assai utile sia per chi volesse avvicinarsi per la prima volta al pensiero di questo gigante dell’Antichità, sia per chi, già appassionato e immerso da tempo nel non facile quanto gratificante studio pitagorico, volesse rivederne da una prospettiva Politica (il maiuscolo è d’obbligo...) gli insegnamenti. Approccio, si ricorda nella presentazione, incomprensibilmente accantonato dagli interpreti, concentrati piuttosto a decifrarne la pur densa dottrina matematica e simbolico-religiosa che si scoprirà scorrendo le pagine non essere certo distaccata bensì complementare al politico: non a caso, infatti, si inquadra qui una “politica totale”.
Perciò infatti, come spiega l’Autore nella premessa, “è il caso di riconnettere ciò che del filosofo è già noto con le sue intenzioni di innesto nel secolo, come viceversa è necessario notare il legame inscindibile tra la prassi politica di Pitagora e i suoi ascendenti teoretici”.
Lo studio di Andreoli ha quindi innanzitutto il merito di inserire i principi fondanti della disciplina pitagorica nel contesto storico-politico, in cui, e soprattutto contro la cui decadenza, Pitagora e il pitagorismo presero consistenza come una delle più originali e originarie dottrine sapienziali della Grecità; indicandoci così allo stesso tempo come la impostazione politica del pitagorismo, pur di stampo gerarchico ed esoterico, sia assolutamente impegnata (se pur “di riflesso”) nel contesto della società del tempo.
Il cardine più significativo, sul quale la dottrina pitagorica sembra mettere radici proprie, è il kairòs: “il momento opportuno”, “il tempo giusto delle cose”; saggezza, “opportunità”, - che non possono essere “dette” in formule esplicite ma scoperte nel moto interiore – nei confronti della realtà del mondo. Realtà che, in guisa trascendente, deve essere ordinata secondo una struttura gerarchica che si instauri in una tensione permanente, attraverso, ma “oltre”, il tempo umano. In Tradizione quindi, in “un sistema di segni trascendenti che si afferma nella storia – ossia si comunica agli eventi, regolandoli – secondo il ritmo gerarchico del kairòs”. “Fare ciò che deve essere fatto”, per riferirci a Julius Evola.
La forza di questa antica dottrina può essere perciò ancor viva e attuale, grazie e nonostante i secoli, e valere come norma – considerando i tempi “apolitici” (extra-politici?) che stiamo attraversando, perlomeno sul piano interiore il quale, per trascendenza gerarchica e complementarietà organica, non potrà che trasferirsi nel campo politico e sociale, indipendentemente dalla contemporaneità: cambierà la forza quantitativa, esterna, del risultato, non la qualità interiore sempre valida.
La fase di decadenza che contraddistingue il mondo contemporaneo non è poi diversa nella sostanza a quella che coinvolgeva il mondo greco al tempo di Pitagora, “con la sola differenza che l’oscurarsi del mondo greco costituiva un aspetto limitato della storia del tempo, mentre la decadenza attuale coinvolge tutti i popoli del pianeta”.
Si tratta quindi di effettuare un contro-movimento, opponendosi al nichilismo che ci pervade, contrastando la piattezza dell’egualitarismo individualista con la restaurazione dei principi regali instaurati nell’ethnos.
Come spiega l’Autore nelle esaustive conclusioni, “per mettere in ordine la massa non è necessario allora rivolgersi a questa in tutta la sua estensione: è sufficiente concentrare l’attenzione e l’azione sulla sua parte attiva, capace di regolare l’assetto della totalità”. Si tratta qui del principio della “leva”, già “espropriato” da Archimede alla fisica e reso funzionale alla politica, capace di innalzare “masse gigantesche con un minimo punto d’appoggio”. Miraggi teorici o solidità nella prassi politica? Ci si chiederà facilmente qui, tornando al discorso iniziale anche a giusta ragione...
Di certo, prescindendo dalle realizzazioni storiche, la candida saggezza pitagorica, di cui nel presente libro viene offerto un significativo assaggio con i versi dell’Aurea Carmina (tradotti, testo a fronte, da Anna K. Valerio, autrice oltre ciò di un pregevole saggio conclusivo che imprime una diversa prospettiva, di segno spirituale, all’analisi), insegna “all’uomo di qualunque secolo la necessità di affermare il proprio destino mediante un’azione fondata sulla consapevolezza della realtà”.
È evidente, qui e nello scorrere del testo, la dimensione trascendente del pensiero politico e religioso (non c’è differenza); “sottofondo” evoliano e platonico che ricorre in tutta l’opera – pur non priva di accenti critici e senza scadere in un approccio supinamente dottrinario –, usuale “marchio di fabbrica” delle Edizioni di Ar.
L’Autore, attingendo e interpretando Pitagora attraverso alla dottrina evoliana, va così ad inserirsi a pieno merito accanto a Lo stato secondo giustizia di Franco G. Freda (per citare un’opera significativa) nelle “volontà letterarie” intente a tenere in vita, come lanterne tra le tenebre, le concezioni tradizionali della Politica.
Questi due scritti, che pur risolvendo prospettive diverse ricalcano la stessa radice, sono infatti a nostro avviso complementari, quanto utili per comprendere la realtà Greca che è ancor’oggi, - e forse più che mai oggi – foriera di principi certo “autorizzati” (per autorevolezza innata e non per burocratica imposizione) a conformare l’uomo attraverso i sentieri sapienzali: Modello “senza tempo”.