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Egon Schiele ancora oggi

di Marco Iacona - 13/06/2010


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Un quasi Dorian Gray e poi Mr Hyde passando per l’immancabile Nietzsche fino ad arrivare a Sigmund Freud. Il risultato? Potrebbe essere Egon Schiele, pittore e incisore della Vienna “felix”, la capitale d’Europa che assistette (quasi) impotente a una fine ingloriosa nella morsa del secondo decennio del Novecento. Con voglia di modernità e scoperte su scoperte: in primo luogo di ciò che con accezioni diverse (si pensi all’“elementare” di cui parlerà Ernst Jünger nelle opere sulla Prima guerra mondiale), farà da contorno al secolo delle ideologie. All’energia dentro e fuori la materia che sarà causa ed effetto di un mondo nuovo e al suo contrappunto la “scoperta” dell’interiorità, con effetti altrettanto “devastanti”.
Oggi Egon Schiele compirebbe 120 anni (era nato a Tulln vicino Vienna il 12 giugno del 1890), ma la sua pittura no. Non ha centovent’anni la poca allegria di Schiele tipica espressione di un’epoca che ha smarrito la leggerezza e con essa la morbidezza degli oggetti animati. Oggi potremmo ritrovare il suo tratto lucido e nevrotico in certe immagini noir, nella grafica post-moderna e nel sentimento antiestetico che domina le ansie quotidiane; e non hanno 120 anni i corpi nudi che Schiele ha voluto ritrarre lungo l’arco della sua brevissima vita (morirà ventottenne per aver contratto il virus della “Spagnola”), perché le sue donne sono vittime di un’epoca traversata da esperienza inimmaginabili mai del tutto scomparse; i corpi sono quelli di giovani femmine senza-tempo, “primitive” ma anche “complicate” e provocanti, il loro erotismo è enigmatico, ossessivo, ripetuto, a volte assurdamente fine a se stesso, dietro la cui ostentazione si nascondono “ragioni” freudiane, gesti e pensieri sibillini ignoti perfino all’artista e alle modelle. Forse un segno di sfida verso una società che non poteva ancora comprendere le ragioni di un secolo che stava per nascere, un carro sul quale avrebbero viaggiato mille rivoluzioni da quella dei costumi a quella della percezione del “bello” artistico. No, non può essere morta una pittura che ha dato l’avvio a un Novecento pieno di ambiguità e incrinature. La pittura di Schiele è viva, e lo è più degli episodi che ne hanno accompagnato l’esistenza. Compresi quei 24 giorni di carcere che nel 1912 fu costretto a farsi perché accusato (ma poi scagionato) di molestie e stupro di una quattordicenne; compresa la tristissima fine della giovane moglie Edith, morta incinta al sesto mese, che anticiperà di soli tre giorni la fine dell’artista; compreso infine l’evento che più di tutti darà la svolta alla carriera pittorica di Schiele: la morte del padre nel 1905, che darà contenuto “freudiano” alle opere di un’artista che vivrà in una Vienna colta e vivace.
Ecco perché da poco anche a Milano si è voluta celebrare la grandezza di Schiele con una mostra appena conclusa (“Schiele e il suo tempo”, Palazzo reale – dal 23 febbraio al 6 giugno 2010 a cura di Rudolf Leopold e Franz Smola), con quaranta quadri e disegni dell’artista viennese, in mostra insieme a quei “compagni”di grandezza (Gustav Klimt innanzi tutto, e poi Oskar Kokoschka, Richard Gestl e Kolo Moser), tutti chi più chi meno artefici di un cambiamento epocale nella storia dell’arte europea: la diffusione di nuovi capitoli all’interno di quella macchina ardimentosa che si chiamerà “modernità”, fra una ben guidata ambizione di “secessione” (la Secessione viennese nata alla fine del XIX secolo si schiererà apertamente contro la tradizione), e la nascita del movimento espressionista che accompagnerà i destini del Continente – e in massima parte la regione tedesca – fino alla metà degli anni Venti. Siamo nel cuore delle avanguardie dunque, nel centro di quella fuoriuscita delle arti dai luoghi chiusi e rassicuranti, che insieme all’evento Grande Guerra sfigurerà il volto stanco dell’intero Occidente. Le figure femminili di Schiele, gli autoritratti così tesi ed “espressivi” al pari dei paesaggi che narrano la storia dei “suoi” anni, hanno caricato di “intimità” le opere d’arte della primissima parte del Novecento, e hanno creato un feeling del tutto nuovo fra l’artista e il fruitore. Espressionista è in primo luogo un atto creativo dell’interiorità (una volontà), che prende forma nell’opera d’arte indivisibilmente da chi la osserva. L’arte nuova ha così creato anche un tipo di spettatore diverso. Più partecipe, fino ad essere un autentico co-protagonista.
Anni Dieci. C’è fervore. Dietro ogni angolo può nascondersi un baratro come un ricchissimo giacimento. Ancora nel 1918, nonostante la guerra, i pensieri sull’arte di Schiele sono positivi. La sua fiducia nel futuro non è mai venuta meno. «Tutto il mondo artistico viennese è in piedi!», scrive accalorato ad Anton Peschka, sicuro di essere diventato specie dopo la morte dell’amico Klimt (febbraio 1918) il più grande artista di Vienna. La fine repentina trascinerà però il suo talento molto al di là della nuda terra. Le ultime parole rivolte alla madre, ricorderanno, chissà perché, quelle di Carlo Michelstaedter morto otto anni prima, anche lui, in un giorno d’autunno.