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Matrimoni, lo sfarzo batte la passione

di Claudio Risé - 13/06/2010



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C’è una diminuzione di passione nelle coppie che decidono di metter su famiglia in Italia, e questa rubrica (che si occupa appunto di passioni), lo documenta puntualmente. Il diffondersi delle coppie ”no child“, senza bambini, oppure di quelle che decidono di vivere in luoghi separati, pur essendo insieme, si accompagna ad altri fenomeni che mostrano un calo di intimità. Ad esempio i matrimoni diminuiscono, ma gli invitati aumentano, le cerimonie diventano più sfarzose, di immagine.
Secondo i dati Istat, rispetto agli anni ’70, oggi quasi la totalità dei matrimoni è festeggiata con ricevimenti o pranzi nuziali, che nel circa il 60% dei casi supera i cento invitati. Inoltre più di sette su dieci delle nuove coppie festeggia con un viaggio di nozze all’estero, e quattro di loro escono dall’Europa.
D’altra parte, malgrado l’aumento della popolazione, questi matrimoni (diventati sempre più eventi sociali), sono diminuiti fortemente di numero, passando da 400 mila a 250 mila all’anno. C’è una relazione tra lo sviluppo degli aspetti più esteriori del matrimonio, e la sua diminuzione? Dall’osservatorio dell’analista si direbbe di sì.
Inutile nascondere che l’analisi e la psicoterapia fanno da sempre, seppur discretamente, il tifo per il matrimonio. Non per ragioni ideologiche, ma perché è un fattore di stabilizzazione dell’affettività, dello stile di vita e quindi (come dimostrano le statistiche), anche di buona salute; un aspetto, questo, che dovrebbe stare a cuore a qualsiasi terapeuta di buonsenso.
Ebbene quando dopo un difficile lavoro il paziente finalmente riconosce l’opportunità del matrimonio, l’organizzazione del pranzo e/o ricevimento diventa subito fonte di ansie infinite per la nuova coppia.
In genere è la famiglia della sposa che preme per festeggiamenti in grande stile. Forse pesa su questo atteggiamento il fatto che la donna (come del resto l’uomo, ma per la donna la cosa suscita maggiore ansietà) arriva al matrimonio sempre più tardi.
Nel giro di vent’anni l’età nella quale la donna giunge in Italia al primo matrimonio è passata dai 25 ai 30 (una delle più alte del mondo), e la maggiore pubblicità data alle nozze comunica quindi un traguardo raggiunto, sia per lei che per la sua famiglia, e spiega l’investimento sociale (ed anche economico) sull’evento.
L’uomo però è per solito più introverso, meno portato alla verbalizzazione, e poiché anche lui arriva alla cerimonia non più ragazzino e dopo aver superato un bel po’ di perplessità sul grande passo, tutto questo peso (e spesso spesa) sullo spettacolo matrimoniale lo rende ancora più perplesso, e insicuro.
La trasformazione del matrimonio in evento sociale, con annessi viaggi aerei e transoceanici che a volte sono anche i primi per la coppia, carica di nuove prove un passaggio in sé non semplice.
Al nuovo territorio affettivo si aggiunge così anche un nuovo spazio geografico, di costume, a volte culinario (con annessi maldipancia), di cui questo delicato passaggio farebbe volentieri a meno.
Tanto più che la grande maggioranza dei primi matrimoni, tra italiani, è ancora celebrata in chiesa: 80 su 100. Ciò farebbe pensare che, per molti dei nuovi coniugi, l’aspetto sacramentale è ancora, forse, più importante di quello turistico; ma non è così, spesso, per le famiglie, eccitate dall’evento a lungo sperato e dal suo uso sociale.
A volte, poi, non è così neppure per la Chiesa e i suoi ministri, attenti quanto le famiglie agli aspetti secolarizzati dell’evento, e spesso più impegnati nel matrimonio come socializzazione della coppia, che nell’intensità delle letture.