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Sotto il segno della medusa. Mare Nostrum in pericolo

di Federico Tulli - 14/06/2010


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Anche quest’anno le coste del Mediterraneo sono invase da diverse specie voraci di uova e larve di pesce. A rischio l’intero ecosistema marino. Il biologo Silvio Greco: «Colpa di miopi politiche ittiche».
Anche quest’anno è allarme meduse nel Mediterraneo. La Mnemiopsis leidyi, vorace di larve e uova di pesce, è già stata avvistata nella Laguna di Orbetello dove potrebbe avere notevoli ripercussioni sulla pesca. E altre tre nuove specie, tra cui la temibile Pelagia, sono in arrivo risalendo lungo le coste tirreniche e adriatiche dal sud del Mediterraneo. L’allarme è stato lanciato ieri dai ricercatori del progetto del Ciesm (la Mediterranean commission) nel giorno del lancio della seconda edizione della campagna “Occhio alla medusa” (Jellywatch 2010). «Le meduse sono delle specie opportunistiche», racconta a Terra il Biologo marino Silvio Greco. «Occupano gli anelli mancanti della catena alimentare.
 
Quando una specie aumenta a dismisura significa che c’è un corto circuito: la presenza massiccia di sciami di Mnemiopsis leidyi è un segnale di grande sofferenza del Mare Nostrum». Una catena, nel caso delle nostre acque, spezzata dalle attività umane. «Uno dei problemi di questa esplosione di meduse deriva dall’alterazione della rete trofica causata dalla pesca di neonata (tra cui bianchetti e sarde, ndr). Eliminando gli anelli più bassi della catena alimentare si creano degli spazi che le meduse occupano immediatamente. Aggravando i danni che l’uomo ha già fatto all’ecosistema con queste pratiche».
 
Di fronte all’invasione che si veirfica da qualche anno c’è chi parla di “tropicalizzazione” del Mediterraneo. Greco non è d’accordo: «La comunità scientifica è concorde nel parlare di “meridionalizzazione”. Alcune specie che prima vivevano nel Canale di Sicilia o le coste nordafricane si spingono sempre più nel nord del Mediterraeo. Basti pensare al barracuda, ormai comunissimo nel mar ligure. Oppure alla leccia e alla ricciola, specie che una volta raggiungevano al massimo le coste della Campania».
 
Il biologo marino conclude con una considerazione: «Questi segnali di sofferenza indicano la necessità di un piano mediterraneo per mitigare l’impatto sull’ecosistema non solo dal punto dell’inquinamento chimico. Un piano di cui l’Ue dovrebbe farsi promotore considerando che sotto la sua bandiera riunisce 7 dei 22 Paesi che si affacciano lungo questo mare».