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Il terrorismo rivendicato

di Tahir de la Nive - 15/06/2010


 
Il terrorismo rivendicato

Il nostro attuale intento non è quello di sommarci alla collera, allo stupore, all’indignazione che hanno messo in incandescenza i cinque continenti, come risposta all’inqualificabile aggressione alla Flottiglia della Libertà: ci siamo espressi in precedenza a questo episodio (1), ricordando un altro dramma, quello dell’USS Liberty, attaccato l’8 giugno 1967 dall’aviazione israeliana. In quell’occasione si cercava di simulare un’aggressione egiziana che avrebbe giustificato l’entrata in guerra degli USA di fianco a Israele. In altre parole, un mini Pearl Harbour o un mini 11 settembre. “Chi ruba un uovo, ruba un bue” (2), e chi sacrifica 34 uomini della propria marina per combattere contro l’Egitto, può anche sacrificare migliaia di cittadini per invadere l’Afganistan. Che sia una coincidenza o meno, l’aggressione contro la flottiglia è avvenuta nel momento in cui Hilary Clinton si fa portavoce della Casa Bianca per quanto concerne le accuse di appoggio al terrorismo rivolte a Hugo Chávez. Un’altra coincidenza? Non ci sembra, se ci ricordiamo che l’ex presidente, suo marito, Bill Clinton, fu vittima di un “mini-bulldozing”, secondo la terminologia di Harry Kissinger, o di un “character assassination” da parte della Lewinsky, castigandolo per non aver fornito prove di eccessivo zelo nel servizio degli interessi sionisti. La moglie sembra, quindi, essere stata scelta per ridorare lo scudo coniugale, il che nel paese di Wilson, Roosvelt, Nixon, Bush & Son, significa imboccare la tromba della carica dell’US Cavalry nel miglior stile di Coppola. Risulta che nel nostro articolo “Anacronismo grossolano a Madrid”, le abbiamo conficcato le nacchere alla Corte madrilena, colpevole di aver, tre mesi prima dell’ex first lady, emesso queste stesse accuse contro Hugo Chávez, con l’anacronistica pretesa di chiedergli conto, come se l’uomo del Potere a Caracas fosse ancora il loro viceré. Dobbiamo, dunque, fustigare prima il padrone e dopo il servitore, volendo dire sia all’uno sia all’altro, in conformità a alcuni esempi presi dalla strategia criminale che il primo ha reso evidenti, che il fenomeno del terrorismo internazionale, presto trasformato dai mezzi di comunicazione in terrorismo “islamico agli ordini di”, nonostante l’assurdità con la quale si presenta il concetto, come se si potesse qualificare per islamico ciò che categoricamente è proibito dal Corano; questo fenomeno, dunque, è un’emanazione essenziale della strategia yankee e una creazione dei suoi servizi “speciali”. In questo modo, gli stessi talebani che i suddetti mezzi di comunicazione “agli ordini di” ci presentano come la somma dell’efferatezza, come la minaccia mortale contro il mondo civile, simboleggiato dagli spettacoli di Hollywood e di “Smack Down”, sono in realtà una creazione della CIA, il prodotto di un centinaio di giovani arabi riuniti nella villa di campagna Baït el Ansar nel Peshawar, University Town, venuti da tutte le parti del mondo, in particolare dagli Stati Uniti, i loro capi vivono in ville sontuose, le loro tasche sono gonfie di dollari. Invece, i veri moujahidine afgani, già messi alla prova da un decennio di guerra, lasciavano la battaglia sanguinosa di Jelallabad contro l’esercito nazionale afgano, ingaggiato dal “left behind” di Mosca. Questi giovani furono messi in riserva, di sicuro non per combattere l’invasore “infedele” in ritirata, ma per svolgere il ruolo destabilizzatore in Afganistan, una volta finita l’evacuazione da parte dell’esercito russo e lo Stato islamico si fosse instaurato a Kabul. All’opinione pubblica mondiale, com’era da aspettarselo, inconsapevole delle manovre che si stavano tramando dietro le quinte, gli si è fatto credere la storia della formazione spontanea di un esercito di studenti in islamologia, all’improvviso diventati esperti in sofisticate armi da guerra fino al punto da riuscire, dal fondo di una grotta afgana, senza elettricità e isolati, a pianificare la fine tragica delle “Torri Gemelle”. E ciò dopo aver instaurato a Kabul la caricatura di Stato islamico creata dai mezzi di comunicazione “agli ordini di” e le cui telecamere sono sempre disposte nel posto giusto, nonostante il totalitarismo regnante (quanto eroismo e quanta astuzia da parte degli operatori!), trasmettendo scene di lapidazione e di forche pubbliche. Certamente, non si parlerà mai del fatto che tutto questo è stato pagato in dollari e che porta il marchio della CIA. Ancora meno si parlerà della vera entità wahabita chiamata Al Qaeda, data alla luce dai talebani: destabilizzare il mondo musulmano con paesi come Russia e Cina che acuiscono in quei luoghi il separatismo delle minoranze musulmane (3) per opporsi all’influenza dell’Iran sciita. Tuttavia, è qui dove l’assurdo fa trapelare l’impostura: se veramente si voleva neutralizzare i talebani e il suo preteso germoglio Al Qaeda, il senso comune implicava l’alleanza con la repubblica islamica dell’Iran.

Ma cos’è Al Qaeda? Un mito, un fantasma… una nebulosa. Ogni musulmano con la rabbia nel cuore – i musulmani non sono gli unici ad averla, ma la propaganda islamofoba vuol far credere che loro sono gli unici a esternarla con il terrorismo – ma non abbastanza sagace, né politicamente abbastanza educato da capire che è manipolato, rappresenta pertanto un potenziale e teorico membro di Al Qaeda. È sufficiente che in esso vedano un membro attivo di detta nebulosa, affinché si attui il suo recupero mediante una delle svariate sette pseudo musulmane che esistono nel mondo occidentale, grazie alla complicità e alla protezione dei governi che pretendono vedere in queste ultime i legittimi rappresentanti e i validi interlocutori dell’Islam (4). Sarebbe sufficiente per sconfiggere il preteso terrorismo islamico, l’applicazione di leggi adeguate a queste sette… ma di ciò le “autorità”, nell’ambito della strategia che abbiamo profusamente descritto, non vogliono nemmeno sentire (5). Le suddette sette producono i “Laurel and Hardy” del terrorismo, una sorta di Fred Astaire con le suole esplosive o uno che si è imbrattato le chiappe di materia infiammabile; evitando, certamente, di procurare ai passeggeri un danno nell’immediato, ma alimentando con poche spese il mito del musulmano con il coltello fra i denti che aggredisce il mondo occidentale, pacifico e civilizzato. Da parte dell’impero yankee, ciò genera le giustificazioni necessarie per aggiudicarsi il ruolo di polizia universale, che include l’invasione militare dei paesi sospetti, soprattutto se possiedono un interesse geopolitico e petrolifero.

Queste sono le considerazioni che ci rimandano alle accuse che sono state scagliate contro Chávez, tanto dal padrone di Washington, quanto dal suo servo di Madrid, con ogni certezza il primo sta introducendo un sistema di assedio strategico e di aggressione militare contro il Venezuela.

L’abbiamo ben capito, qui si tratta di un’azione psicologica su scala planetaria, destinata a preparare tutta l’umanità a reagire, come il cane di Pavlov, nel senso desiderato, al fine di accettare la definizione imposta dai “buoni” e dai “cattivi” e, soprattutto, per sottomettersi. È questo il punto essenziale: la sottomissione al Nuovo Ordine Mondiale (espressione popolare apparsa durante il “Gulf Show” del 1990-91) guidato dal tandem Israele-USA. Il ruolo dei mezzi di comunicazione internazionale è di una importanza vincolata alla manipolazione che abbiamo appena descritto. Cogliamo un esempio flagrante: chi ha visto e controllato la famosa scena ripresa il 4 giugno 1989 nella Piazza Tien-an-men, con il giovane manifestante cinese affrontando da solo una colonna di carri armati? Indicheremo che il conducente del carro armato fronteggiato dal giovane esegue manovre con l’obiettivo di evitarlo e che il suddetto ex attivista resta in vita e, pensiamo, libero in questa dittatura terribile e poliziesca rappresentata dalla Repubblica Popolare Cinese. Chi serba ancora memoria di Rachel Corrie (6), la militante non violenta americana, deliberatamente schiacciata dal bulldozer dell’esercito israeliano, che passò sul suo corpo per ben due volte, la quale pensava di bloccare l’accesso alla casa palestinese predestinata alla sua distruzione nel quadro delle operazioni che si stavano portando avanti a Gaza?  Chi si ricorda ancora del colpo di cannone sparato dal carro armato yankee sull’Hotel Palestina di Bagdad, l’8 aprile 2003, nel quale alloggiava la stampa internazionale? Di sicuro, pochissima gente, ma ciò importa ben poco agli strateghi di Washington, così come non importa nulla a quelli di Tel-Aviv la morte di Rachel Corrie, o i 19 attivisti umanitari della “Flottiglia della Libertà”.

Si potrebbe supporre che la strategia psicomediatica israeliano-yankee consiste precisamente nel turbare l’opinione pubblica con incidenti del genere. Si potrebbe intendere questo tipo di operazioni portate avanti dagli stati maggiori che le decidono, una semplice provocazione?

Ricordiamoci che i potenti di Washington come quelli di Tel-Aviv credono di essere investiti da una missione storica universale, compresa quella di polizia planetaria; essendo consapevoli che ogni polizia ha il diritto di commettere atti di violenza e che le regole non sono le stesse per le forze dell’ordine e per i cittadini. Se immaginassimo per un momento che i soldati cubani, venezuelani, cinesi, iraniani o siriani commettessero estorsioni e crimini di qualunque genere, avremmo potuto vedere l’uragano di proteste che avrebbe scosso il pianeta. Senza dubbio, sarebbe stata quella la giustificazione per attivare nuovi interventi militari da parte dello Zio Sam e dei suoi lacchè … com’è accaduto in Iraq con la storia delle armi di distruzione di massa che non sono mai esistite; come in Afganistan dopo il 9 novembre, con la scusa della presenza di un quartiere generale del terrorismo internazionale che non è mai esistito.

L’aggressione e i crimini commessi contro la “Flottiglia della Libertà”, l’Hotel Palestina, il campo di concentramento e tortura di Guantanamo, sono tali che gli assassini, i boia americani e i sionisti ci hanno abituato a considerarli semplice routine ma che, in realtà, sono atti deliberati, le cui conseguenze psico-strategico-mediatiche sono calcolate e dosate nell’ambito del condizionamento del genere umano con lo scopo della sua totale e definitiva sottomissione alla Mafia perché, non consideriamo che sia vanitoso dover ribadirlo, effettivamente è quest’ultima che, in fin dei conti, rende concreta e sintetizza l’unione della CIA, del Mossad, delle cellule occulte che costituiscono il Nuovo Ordine Mondiale. Una Mafia, insistiamo, i cui metodi non hanno guadagnato nulla d’umano da quando Meyer-Lansky sostituì Al Capone. Siamo qui, dunque, davanti a un caso di terrorismo integrale che coinvolge il genere umano, senza distinzione di razza, di sesso e di cultura. Siamo al di sopra delle più semplici regole elementari della morale. Gli accordi internazionali ci servono da straccio per pulire il sangue delle donne e dei bambini che resistono a sottomettersi alla nostra tirannia, alla nostra schiavitù tale quale la Storia non ha mai serbato memoria!

NOTE

(1)   Nel nostro articolo “Du USS Liberty à la Flotille de la Liberté”, apparso nella pagina di «Egalité et Réconciliation».

(2)   Proverbio francese: “Qui vole un oeuf vole un boeuf”.

(3)   Per definizione, il separatismo di origine islamica è un’assurdità. L’atteggiamento delle comunità musulmane che si ripiegano su se stesse, o peggio, si trincerano nel separatismo, rappresenta il riconoscimento della loro incapacità di presentare l’Islam in modo intellegibile ai loro compatrioti.

(4)   I terroristi presunti tali del 21 luglio 2005 e Kelkal, un giovane algerino che piazzava bombe a Parigi, erano membri della stessa setta denominata “Tabligh”, che in sostanza ingaggia i suoi membri tra i tossicomani europei o dando in matrimonio le ragazze che formano parte della setta. Questa setta dispone di fondi così considerevoli come sospetti per quanto concerne la loro provenienza, consentendogli di alimentare e albergare nel mondo a dozzine di migliaia di oziosi, i quali sono utilizzati per la loro assuefazione e dipendenza materiale. Sorta e ben radicata in Pakistan negli anni ottanta, la setta si riteneva formata di traditori (“monafiqine”) secondo i Moujahidine afgani, in particolare per le loro preghiere sul disarmo. Nel 1995, Kelkal fu presentato dai mezzi di comunicazione del regime come un “islamista”. Ammazzò l’Imam Sahraoui, membro del movimento islamista algerino FIS, e piazzò “ordigni” a Parigi che in quel momento si trovava sotto il ricatto gringo del terrorismo, obbligando all’appena eletto presidente Chirac di rinunciare al programma nucleare militare francese. Infine, Kelkal fu tradito, abbandonato dall’organizzazione che lo aveva usato e ucciso dalla polizia francese, nonostante le regole della lotta antiterrorista prescrivono di catturare i prigionieri terroristi vivi per essere interrogati …

(5)   Queste sette – la Tabligh, in particolare- hanno quasi un monopolio della rappresentazione “dell’Islam” in Occidente, della simpatia da parte dei “poteri”, considerate “moderate”, nonostante la loro intolleranza fanatica, per la loro apoliticità che le contrappone all’islamismo, il quale precisamente insegna la dottrina politica dell’Islam. Ma la formula “terroristi islamici” è due volte assurda e fallace: da una parte, perché nell’ambito della Yihad, il Corano proibisce loro di nuocere i non combattenti, dall’altro, perché appunto, le sette che producono terroristi sono – e lo proclamano- apolitiche e, quindi, contrarie a qualsiasi progetto islamista.

(6)   Sicuramente se ne ricordano gli attivisti della solidarietà palestinese, che hanno battezzato una nave con il nome della giovane donna martire. Siamo a conoscenza che questa nave, come l’insieme della “Flottiglia della Libertà”, è stata appena catturata dalla marina di guerra sionista, si rende necessario augurarsi che questo nome diventi un simbolo e sia onorato e ricordato in quanto tale, che figuri come nome di una strada sia in Teheran come in Algeri, a Caracas come ad Ankara … nelle città dei paesi dove regnino la libertà e la dignità umana.

(trad. Vincenzo Paglione)