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Pomigliano: il lavoro ridotto a merce

di Filippo Ghira - 15/06/2010

 

 

 

A Pomigliano D’Arco è rimasta soltanto la Fiom-Cgil a dire no alla Fiat sull’accordo capestro imposto dall’azienda sotto la minaccia di chiudere lo stabilimento campano. Un no sia della Fiom come sindacato che dei lavoratori campani. La Fim-Cisl e la Uilm hanno invece chinato la testa alle imposizioni del duo Elkann-Marchionne, e il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha testualmente affermato che non gli interessa la Fiom ma il giudizio della Cgil, che gli è apparso positivo almeno dalle parole pronunciate domenica da Guglielmo Epifani alla festa della Cisl. Come se Epifani, da segretario generale, potesse sconfessare le decisioni dei metalmeccanici. E infatti le sue parole esatte erano state che “l’Italia non può permettersi di perdere Pomigliano”. Niente di più.
Ma a Bonanni è bastato per dirsi molto soddisfatto che sia stata ritrovata l'unità (in realtà fittizia) su un punto così saliente per la vita del Paese. L’importante per lui era prendere atto degli investimenti promessi dal Lingotto. Circa 700 milioni per produrre a Pomigliano la nuova Panda.
La posizione ufficiale della Cgil è arrivata nel pomeriggio dopo l’incontro tra Epifani e Maurizio Landini segretario generale della Fiom, con una nota nella quale si ammonisce sul fatto che l'accordo proposto dalla Fiat su Pomigliano può violare le leggi esistenti e la Costituzione. Certo, riconosce la Cgil, si può e si deve trattare su questioni come l'utilizzo degli impianti, la produttività e la flessibilità per rendere pienamente efficiente lo stabilimento campano. Ma, nel documento consegnato alle   organizzazioni sindacali dalla Fiat vengono introdotti temi che coinvolgono diritti individuali che non possono essere oggetto di trattativa. E se la Cgil concorda    sull'esigenza di affrontare l'eventuale assenteismo e di ridurlo ai minimi fisiologici resta il fatto che le norme proposte dall'azienda sono apertamente illegittime in   materia di malattia e di diritto di sciopero. La Fiat infatti pretende di trasformare in illecito, e quindi passibile di licenziamento, l'esercizio individuale di sciopero che è sancito dalla Costituzione. In ogni caso, conclude la Cgil, toccherà ai metalmeccanici discutere della proposta Fiat, coinvolgendo gli iscritti perché esprimano il loro giudizio
Il ministro del lavoro Maurizio Sacconi si è detto “ottimista” su una conclusione positiva per Pomigliano d'Arco. C’è un punto fermo, ha aggiunto, la firma delle organizzazioni che hanno già sottoscritto l'intesa alla quale dovrà seguire, ha auspicato, quella della Cgil. Per Sacconi, l'accordo è molto importante perché segna un punto di svolta nelle relazioni e nelle politiche industriali del Paese. Certo, diciamo noi, è un punto di svolta, ma all’indietro, perché segna il ritorno all’antico con il lavoro ridotto a merce e l’irrompere in busta paga, in misura determinante, degli straordinari e dei premi di produzione.  
Improntato alla classica impostazione nordista-leghista di “Roma ladrona” e “Napoli pelandrona” il commento del presidente di Confindustria, la siderurgica mantovana Emma Marcegaglia. La Fiom, a suo dire, deve cambiare idea. Come si fa, ha insistito, a bloccare un investimento da 700 milioni di euro per difendere falsi malati  e assenteisti? Come Italia, ha continuato, siamo con le spalle al muro e abbiamo la necessità vitale di una maggiore competitività e maggiore produttività, dopo tanti anni in cui, da questo punto di vista, ci siamo fermati. Fiat e il sindacato riformista (cioè la Cisl e la Uil che hanno chinato la testa) hanno accettato la sfida di cambiare le regole. E' giusto tutelare i lavoratori onesti, concede la Marcegaglia ma non è accettabile che la Fiom dica di no.
Unica voce politica discordante in Parlamento quella dell’Italia dei Valori che ha diramato una nota firmata da Antonio Di Pietro e da Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro del partito. I lavoratori della Fiat di Pomigliano, accusano i due, sono sottoposti a un vero e proprio ricatto: o accettano di ridurre tutti i loro diritti, peggiorando le loro condizioni di libertà fino a non poter esercitare un diritto costituzionale quale lo sciopero oppure vengono licenziati. E' evidente che i lavoratori stanno vivendo un momento di solitudine estrema e subiscono una prepotenza inaccettabile da parte della Fiat. Il tutto si svolge con la totale e “criminogena assenza” del Governo.
Una fabbrica che non abbia il consenso ma il ricatto come leva  per la sua gestione è destinata a non funzionare. I due parlamentari hanno lanciato un appello al governo e alla Fiat perché la smettano di polemizzare con i lavoratori della Fiom e facciano tutti gli sforzi possibili per mantenere in Italia l'investimento e la produzione. Per l’IdV è giusto che i lavoratori siano consapevoli che la fabbrica deve essere efficiente nei turni e nella sua produttività ma non è accettabile che per realizzare questi obiettivi, gli operai vengano trasformati in schiavi.