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RIWAQ: l'identità palestinese nel recupero del patrimonio storico artistico

di Romina Arena - 16/06/2010


Suad Amiry, fondatrice del Centro RIWAQ (centro di restauro e conservazione degli edifici storici), porta avanti un progetto per la riqualificazione del patrimonio architettonico e culturale palestinese col doppio scopo di preservare l’identità palestinese e creare occupazione nelle zone rurali.


suad  amiry medio oriente
Suad Amiry è un architetto palestinese, conosciuta in campo internazionale per la sua militanza politica che l’ha portata a fare parte delle delegazioni palestinesi per la pace in Medio Oriente
Suad Amiry è un architetto palestinese, conosciuta in campo internazionale tanto per la sua ironica e sferzante scrittura quanto per la sua militanza politica che l’ha portata a fare parte delle delegazioni palestinesi per la pace in Medio Oriente negli incontri negli Stati Uniti. Nel 1991 ha fondato a Ramallah il Centro di restauro e conservazione degli edifici storici RIWAQ. Attraverso questo Centro ed in particolare con il progetto “Non solo pietre”, che ha presentato a Roma lo scorso febbraio, la Amiry punta al restauro degli edifici storici abbandonati o in disuso con l’obiettivo di mantenere viva l’identità palestinese attraverso l’architettura e la preservazione del patrimonio storico ed architettonico palestinese.

Dal 1948 al 1951 il Governo di Tel Aviv ha raso al suolo 420 villaggi palestinesi cancellando ogni traccia della loro identità in quello che si sarebbe poi trasformato in territorio israeliano. Nei Territori occupati la memoria storica dell’eredità architettonica palestinese, sebbene sia sfuggita alla totale distruzione, richiede non di meno uno sforzo sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista storico.

Molte abitazioni nelle città di Haifa, Shafa Amer, Ramleh, Jaffa, Nazareth, Acre, Tiberias, Arrabat Al-Battouf, Sekhneen dopo il 1948 sono state abbandonate. In alcuni casi non sono mai state recuperate; in altri casi sono state recuperate male (abbattute definitivamente per essere rimpiazzate con strutture moderne); altre volte sono state destinate ad un uso improprio.

La stessa sorte è spettata ai Territori occupati nel 1967 anche se in questo caso il danno all’eredità architettonica è derivato da una crescita urbana disordinata occorsa tra il 1995 ed il 2000: per fare spazio alle nuove costruzioni si è distrutto, in alcuni casi irreversibilmente, il patrimonio culturale e naturale.

jenin recupero centri storici
Per il recupero dei centri storici di 50 villaggi palestinesi la Amiry stima la necessità di reperire circa 50 milioni di dollari attraverso delle vere e proprie “adozioni” dei villaggi stess
Per il recupero dei centri storici di 50 villaggi palestinesi la Amiry stima la necessità di reperire circa 50 milioni di dollari attraverso delle vere e proprie “adozioni” dei villaggi stessi. I finanziamenti ottenuti serviranno al restauro ed al recupero del patrimonio architettonico con l’utilizzo di materiale di costruzione locale, ma contribuiranno anche a sostenere la creazione di occupazione nelle zone rurali attraverso il progetto “Job creation through conservation”.

L’Unione Europea, nel contesto del progetto regionale “Common Heritage” destinato proprio alla politica di scambio culturale euro-palestinese, sostiene gli sforzi di RIWAQ con 165.000 Euro spalmati su un periodo triennale.

Dal 2001, anno a partire dal quale RIWAQ gode del sostegno dell’Agenzia svedese per la cooperazione internazionale allo sviluppo, al 2008 sono già stati restaurati 85 edifici e 56 centri storici, dei quali 31 nei villaggi e 25 in città importanti come Bir Zeit, per un valore di 4,5 milioni di Dollari. Il valore aggiunto del recupero non sta solamente nella riqualificazione puramente estetica dei locali, ma nel fare in modo che i palazzi tornino ad essere frequentati dalla comunità. Una volta restaurati, infatti, diventano centri culturali e di aggregazione, alternativi alle moschee, destinati a donne e bambini, oppure sedi di Ong che li gestiscono per 15 anni in comodato d’uso.

Per poter avviare il progetto, il RIWAQ ha condotto una sorta di censimento preliminare di tutto il patrimonio storico e architettonico palestinese tra la Cisgiordania e Gaza, inclusa Gerusalemme, redigendo un registro anagrafico delle costruzioni. La ricognizione ha anche appurato come il 71,5% dei beni si trovi in aree rurali e soltanto il 28,5% nelle quattro città maggiori (3.723 a Gerusalemme; 3.397 a Nablus; 1.914 a Hebron; 837 a Betlemme).

Stilare il registro nazionale, spiega però la Amiry, non è stato semplice e non soltanto per via dell’occupazione o per il fatto che l’Autorità Palestinese controlla soltanto il 12% della Cisgiordania, peraltro in prossimità del Mar Morto. I problemi sono più che altro di natura legale poiché esistono due diverse leggi che regolano la protezione del patrimonio storico e architettonico: la Law of Antiquities del 1966 per la Cisgiordania e la Law of Antiquities del 1929 per la Striscia di Gaza ed entrambe tutelano soltanto i siti archeologici risalenti fino al 1700. Queste leggi non prevedono alcun tipo di tutela per quello che tuttora rimane del patrimonio culturale. Da qui, secondo l’intero staff di RIWAQ, la necessità di una legge più includente seguita da una politica nazionale per i beni architettonici e da un ente unificato per la loro tutela.

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Per quanto i problemi legati alla questione palestinese possano travalicare il settore terziario, ciò non toglie l’importanza del turismo per l’economia nazionale palestinese, di cui è una delle voci fondamentali di entrata
Per quanto i problemi legati alla questione palestinese possano travalicare il settore terziario, ciò non toglie l’importanza del turismo per l’economia nazionale palestinese, di cui è una delle voci fondamentali di entrata. I siti religiosi, storico-archeologici delle città vecchie di Gerusalemme, Hebron, Betlemme; i centri di Nablus, Gaza e Jenin; i cosiddetti “Throne Villages” Kur, Arraba, Deir Istya; le aree naturali della Valle del Giordano, le piscine di Salomone e le foreste nella regione di Jenin come quella di Umm Al-Rihan costituiscono un forte polo di attrazione. Una gestione migliore ed una diversificazione di queste aree comporterebbe una serie di benefici tanto dal punto di vista economico, quindi occupazionale e finanziario, quanto dal punto di vista sociale e culturale perché i palestinesi possano tornare a riappropriarsi del proprio patrimonio storico ribadendo, anche attraverso questo, la propria forte identità e la voglia di riappropriarsi di una quotidianità scippata e troppo spesso compromessa.