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Bloody Sunday: scuse blande e tardive di Londra

di Andrea Perrone - 16/06/2010


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Trentotto anni dopo arrivano le scuse blande e tardive di Londra per l’eccidio ricordato come Bloody Sunday avvenuto in Irlanda del Nord il 30 gennaio 1972, in cui persero la vita 14 irlandesi.
Presentando il rapporto redatto dalla Commissione d’inchiesta voluta nel 1998 da Tony Blair, il premier britannico David Cameron ha detto che il massacro, causato dalle truppe britanniche fu “ingiustificato ed ingiustificabile” e che l’indagine ha messo in evidenza in modo “molto chiaro” le colpe dei militari. “Alcuni membri delle nostre forze armate hanno agito in modo sbagliato”, ha osservato Cameron in un discorso alla Camera dei Comuni. “Il governo - ha proseguito il premier - è responsabile della condotta delle forze armate. E per questo, a nome del governo e del nostro Paese, chiedo profondamente scusa”. Al termine del discorso Cameron ha però difeso “l’impegno e il coraggio” dei militari britannici in Irlanda del Nord.
Per redigere il rapporto di 5.000 pagine sono stati ascoltati 2.500 testimoni, con 922 deposizioni e 195 milioni di sterline di spesa. Nel 1998 l’allora premier britannico Tony Blair, sotto la pressione delle famiglie e per raggiungere un’intesa con il Sinn Fein, ordinò al giudice Mark Saville di fare luce sull’accaduto.
Secondo le testimonianze, il 30 gennaio 1972 a Londonderry, nel nord-ovest dell’Irlanda del Nord, durante una manifestazione per i diritti civili dei cattolici, quattordici persone disarmate, fra cui moltissimi giovani, vennero uccisi dalle pallottole del 1 Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’esercito britannico. Due manifestanti rimasero feriti dopo esser stati investiti dai veicoli militari. Molti testimoni, compresi alcuni giornalisti tra i quali l’italiano Fulvio Grimaldi, affermarono che i manifestanti colpiti erano disarmati. Cinque vittime inoltre furono colpite alle spalle. La marcia di protesta era stata indetta contro la decisione del governo britannico di mettere in prigione chiunque senza processo. Londra richiese al Primo Ministro nordirlandese, il protestante unionista B. Faulkner, i poteri in materia di ordine pubblico e giustizia, ma al rifiuto di questi emanò una norma (la cosiddetta “Direct Rule”) con la quale scioglieva il governo e il parlamento locali ed agiva direttamente, accrescendo ulteriormente da un lato la tensione e dall'altro i poteri dell'esercito e della polizia. L’inchiesta, presentata ieri, ha stabilito che i militari inviati in Irlanda del Nord aprirono il fuoco per primi, senza alcuna forma di avvertimento. Nessuna esplosione, nessun sasso, nessuna bottiglia molotov a giustificare i colpi di arma da fuoco e le violenze dei paracadutisti britannici. Molti di coloro che furono colpiti stavano semplicemente fuggendo alla carica, o cercando di aiutare altri feriti. Nessuna delle vittime poneva un problema alla sicurezza dei militari.
Quei morti comunque non sono stati dimenticati. In migliaia fra amici, parenti, politici e sostenitori hanno sfilato ieri per le strade di Derry, dove è stato presentato il rapporto nel palazzo della Guildhall (sede del consiglio comunale) da Lord Saville, che fu incaricato dell’inchiesta dall’allora premier Blair. Ognuno di loro, entrando nell’edificio dove è stato dato loro il rapporto in anteprima, ha alzato un cartello con la foto di una delle vittime, tra gli applausi dei presenti. La strage acuì enormemente il clima di tensione nato alla fine degli anni Sessanta in Irlanda del Nord, favorendo un crescente sostegno all’Ira da parte di molti cittadini irlandesi.
Una prima inchiesta, aperta nelle settimane seguenti a quei tragici fatti di sangue dall’allora primo ministro britannico Edward Heath, prosciolse le autorità e i soldati britannici da ogni colpa, ma venne in seguito considerata un insabbiamento della verità. Ieri, invece, queste colpe sono state appurate ma quello che accadde una domenica di 38 anni fa pesa ancora come un macigno sul governo di Londra e sui suoi militari.