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I tanti talenti misconosciuti della musica italiana

di Valerio Zecchini - 17/06/2010

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La manovra finanziaria e i conseguenti pesanti tagli (poi ridimensionati) alla cultura, fatti all’insaputa del ministro che è contemporaneamente uno dei capi del principale partito di governo, hanno giustamente indignato buona parte dell’opinione pubblica.
Ma cosa c’è poi da scandalizzarsi, quando nella patria di Galileo e di Marconi la ricerca scientifica viene finanziata in modo risibile e i nostri migliori ricercatori vanno a lavorare all’estero? Allo stesso modo, nel paese che vanta il maggior numero di opere d’arte e monumenti al mondo e che in passato ha generato fenomeni come il Rinascimento, il Barocco, il Futurismo, il cinema più memorabile della storia, com’è possibile che il ministero della cultura sia considerato come un ente minore se non trascurabile? Tutto ciò va avanti da troppo tempo, sotto governi di qualsiasi colore, e non si vede all’orizzonte il minimo indizio di una qualche inversione di tendenza.
Tuttavia, c’è anche da dire che nelle varie discipline artistiche non si notano grandi fermenti né grandi correnti innovative che premono per emergere, tutt’al più ci sono buone (o anche ottime) produzioni che meriterebbero maggiore visibilità (abusata parola magica nel mondo dello spettacolo).
Ciò che aveva teorizzato Guy Debord quarant’anni fa nella sua fondamentale opera “La società dello  spettacolo”(libro e film) si è oggi compiutamente realizzato; e quindi oggi tutto è spettacolo, e spettacolo globale: la politica prima di tutto con i suoi estenuanti talk shows, poi lo sport con i suoi insaziabili tifosi, poi la cronaca rosa e nera, la realtà finta dei reality shows e dei concorsi a premi in diretta. Spettacolo banale e prevedibile, studiato a tavolino per l’uomo medio di oggi, che è una specie di Fantozzi stordito vestito alla moda. Paradossalmente le discipline artistiche, sconfitte nella loro avanguardistica ambizione di voler cambiare la vita (o almeno renderla più sorprendente), stanno nell’ultimo gradino di  questa gerarchia alla rovescia, e lentamente rischiano di tornare ad essere ciò che erano qualche secolo fa: mentre allora erano al servizio delle corti e del clero,attualmente stanno per diventare funzionali al clericalismo di oggi, ossia all’industria e in particolare all’industria dell’intrattenimento. Intendo dire che un presentatore televisivo di oggi è più potente di un cardinale del Settecento.
Per quanto riguarda la musica (escludendo dal nostro discorso la musica classica e contemporanea e l’opera, che hanno regole a sé),  cosa potrebbe fare la politica per favorire tutto ciò che di interessante esiste ma di cui la gran massa degli italiani , oppressa dal terribile duopolio “Amici\X-factor”, non è nemmeno lontanamente al corrente? Abbiamo girato la domanda a Pietro Fuccio della DNAconcerti, agenzia che non solo rappresenta alcune delle più valide band italiane del momento (gli eccellenti Port-royal, Beatrice Antolini, I giardini di Mirò), ma organizza da noi i tour di prestigiosi gruppi stranieri - quest’anno ad esempio ha portato i grandi LCD soundsystem, unica data a Ferrara in giugno; Fuccio ha le idee molto chiare sul tema: “Il duopolio ‘Amici\X-factor’ è soltanto l’ultimo espediente escogitato dalle grandi case discografiche per consolidare il loro strapotere in Italia. Da noi la cosiddetta “scena indipendente” (che è poi la scena di qualità), la quale in Inghilterra o in Germania conta milioni di utenti, è confinata in un  angusto underground, in tante piccole nicchie che sopravvivono a stento. Dall’Italia non avrebbero mai raggiunto il successo planetario gruppi indipendenti come Rammstein e White Stripes, Oasis e Nirvana o Joy Division, al massimo negli ultimi anni sono riusciti a fatica ad aumentare il peso della loro nicchia nomi come Fabri Fibra, Subsonica, Afterhours.
In questa situazione, in un paese come il nostro dove un sostegno diretto agli artisti (come  comunque avviene in Francia o in Svezia) farebbe subito gridare  all’assistenzialismo e allo statalismo, meglio sarebbe aiutare i locali e le agenzie che gestiscono la musica indipendente con agevolazioni fiscali, regole burocratiche più semplici e soprattutto smettendo di perseguitarli con pretesti assurdi. Mi spiego meglio: se ci sono schiamazzi e incidenti dopo il derby Roma-Lazio, nessuno si sogna di chiedere la chiusura dello stadio Olimpico, viceversa appena un club che fa concerti rock sgarra col rumore immediatamente un drappello di consiglieri comunali parte al galoppo per reclamarne la chiusura. Addirittura a Milano il promoter di Bruce Springsteen rischia tre mesi di carcere perché allo stadio di San Siro il concerto ha sforato di 21 minuti la durata stabilita”.
Difficile non essere d’accordo con Fuccio, anche se va detto che qualcosa in questo senso ultimamente è stato fatto: il ministro della gioventù Meloni ha partecipato all’ultima edizione del MEI di Faenza (Meeting delle Etichette Indipendenti) e ha stanziato una cifra considerevole per far sì che questa fiera possa continuare ad esistere. C’è poi a mio avviso  una motivazione culturale più profonda che impedisce l’evoluzione della situazione musicale italiana: il duopolio “Amici\X-factor” ha un suo antico radicamento nella nefasta tradizione del festival di Sanremo e del Festivalbar o atrocità affini, che a loro volta sono direttamente collegate allo Zecchino d’Oro. Gli italiani sono cioè indottrinati fin dalla più  tenera età nel culto della melodia sentimentale (o piagnisteo cantato) e solo una piccola minoranza sfugge a questo potente influsso. Un esempio emblematico: i Ridillo, ottimo gruppo mantovano interprete di un soul-funk originale e divertente, nei tardi anni novanta riuscirono a farsi scritturare dalla  Polygram ma non sono poi mai riusciti  ad assicurarsi un successo solido, tant’è vero che per sopravvivere sono ciclicamente costretti ad esibirsi come cover band di canzoni melodiche italiane degli anni settanta.
In opposizione a tutto ciò esiste un circuito alternativo che, oltre ai problemi strutturali elencati da Fuccio, è pesantemente controllato dagli organizzatori delle Feste dell’unità o dagli esponenti dell’estrema sinistra che presidiano i centri sociali; anzi, si può ben dire che è oggi l’ultimo baluardo (assieme al teatro di ricerca) della sinistra in Italia, e chi non è allineato ideologicamente ai suoi clichés politically correct ne viene escluso senza tanti complimenti - potrà al massimo ambire a una recensione su “Ritual”, bella rivista di ispirazione dark\gotica, una sorta di compendio degli esclusi di lusso. Basta ascoltare i testi di un qualsiasi gruppo rock\pop italiano che abbia una qualche visibilità per rendersi conto di questo stato di cose. Fare arte invece, per lo meno nella sua accezione più alta, vuol dire proprio emanciparsi dai clichés, uscire dalla gabbia di qualsiasi categoria e possibilmente diventare unici e inimitabili.
Da questo ambiente è comunque emerso nel tempo qualcosa di importante: i Disciplinatha e i Massimo volume, senz’altro le due band italiane migliori degli ultimi decenni. Ad ogni buon conto finché vige l’egemonia di queste due omnipervasive realtà che abbiamo sommariamente descritto, la banalità e la prevedibilità della società dello spettacolo sono garantite anche in questo settore – Lucio Dalla e Vasco Rossi possono dormire sonni tranquillissimi.