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Iraq, La grande sete del profondo sud

di Ornella Sangiovanni - 17/06/2010




Non c'è pace per gli abitanti di cittadine e villaggi all'estremo sud dell'Iraq, che già l'anno scorso erano stati costretti a lasciare le loro zone a causa di una grave crisi idrica.

Adesso siamo punto e daccapo: a Fao, penisola affacciata sul Golfo Persico, e ultimo lembo di territorio iracheno, a nulla sono serviti – apparentemente - i quattro impianti per il trattamento delle acque inaugurati con grande fanfara circa quattro mesi fa dal premier Nuri al Maliki.

Siamo nella provincia di Bassora – o meglio nella sua parte sud – e la crisi idrica si fa sentire. Oltre a quelli di Fao, a soffrire per la mancanza d'acqua sono gli abitanti di Abul Khasib, Siba, Bahar, e dei villaggi che si trovano sulla riva ovest dello Shatt al Arab - il fiume formato dalla confluenza del Tigri e dell'Eufrate, che va poi a sfociare nel Golfo Persico. La stessa zona dalla quale già nel 2009 si era verificato un esodo di notevoli proporzioni – sempre a causa della crisi idrica.

Quest'anno le cose non vanno meglio – e gli abitanti sono tornati a utilizzare le acque del fiume, sia per bere che per irrigare le colture.

E gli impianti di trattamento? Già non funzionano più.

Errori tecnici

Walid al Sharifi, qaimaqam [ufficiale responsabile di un distretto, una sorta di sindaco NdR] di Fao, parla di "errori tecnici, che hanno portato al blocco degli impianti". Inaugurati nella stagione invernale, quando il bisogno di acqua è modesto – sottolinea, sono privi di cisterne di sedimentazione – essenziali perché le acque da trattare, quelle dello Shatt al Arab, contengono una percentuale elevata di fango, e devono quindi essere filtrate.

Come se non bastasse, ci si sono messi anche gli iraniani: che da tempo hanno bloccato il corso del fiume Karun - un affluente dello Shatt al Arab, nel quale si getta a sud di Bassora.

Dunque, la gente adesso è costretta a utilizzare acqua salata: molto salata. Il contenuto di sale, spiega Sharifi, ha raggiunto quasi le 25.000 parti per milione: un valore che potrebbe aumentare nei prossimi mesi, il che significa che l'acqua non è adatta per il consumo umano – né per quello animale. Ma non c'è scelta.

O meglio una c'è: quella di andarsene. Cittadine e villaggi si svuotano dai loro abitanti: cosa prevedibile, dice Sharifi, dal momento che chi avrebbe dovuto prendere misure rapide per affrontare il problema non lo ha fatto.

Le autorità locali si difendono. Shiltagh Abboud, il governatore di Bassora, dice che il governo della provincia attribuisce una grande importanza alla questione, e ha formato un comitato tecnico presieduto dal vice governatore, del quale fanno parte i capi dei dipartimenti interessati, per discutere i problemi e gli ostacoli incontrati dagli impianti di trattamento in passato, e mettere a punto le soluzioni perché tornino a funzionare.

Se si riuscirà a trovarne. Walid Abbas al Halfi, uno dei suoi membri, dice che il progetto mostrava segnali di fallimento fin dai primi giorni.

Una scelta sbagliata

Perché la scelta è stata fondamentalmente sbagliata. Gli impianti di trattamento, spiega il funzionario, necessitano di acque pure all'origine – e quelle dello Shatt al Arab hanno un alto contenuto di fango.

Halfi dice che "la costruzione di stazioni piccole come queste rappresenta uno spreco del denaro pubblico, perché producono poco e costano molto, e sono destinate solo a produrre acqua da bere e in quantità limitate", e aggiunge che il progetto aveva incontrato una forte opposizione da parte del Consiglio Provinciale – che però il governo centrale ha ignorato.

Quello che serve davvero alla zona, secondo il funzionario, è una grossa stazione da costruire a Saihan - così centri e villaggi del sud di Bassora avranno l'acqua necessaria, e per utilizzi diversi, attraverso tubature che la portano nelle case.

Ma, a detta di esperti, risolvere il problema dell'acqua nella parte sud della provincia di Bassora non significa tanto realizzare o riqualificare impianti di trattamento, quanto affrontare i problemi principali di cui soffre lo Shatt al Arab.

Catastrofe idrica

Issam al Imam, esperto di risorse idriche, dice che il livello delle acque del fiume si è abbassato, perché la quantità che arriva dal Tigri e dall'Eufrate è diminuita, perché l'Iran ha bloccato il Karun, e perché le autorità governative competenti se ne disinteressano, e non fanno i lavori necessari.

Il risultato? Entrano le acque del mare, dal Golfo, con conseguente aumento della salinità.

Di "catastrofe idrica" parla Abbas al Sakib, un altro esperto, secondo cui all'origine c'è la modifica del corso dei fiumi di confine in territorio iraniano – i due principali, il Karun e il Karkha, che alimenta le paludi. A questo si aggiungono le dighe e i bacini costruiti dagli iraniani.

Ed è con loro che bisogna trattare per risolvere il problema. Però, nel caso in cui non si dovesse arrivare a risultati positivi, secondo Sakib bisognerà cambiare strada – tirando fuori dal cassetto un progetto per modificare il corso dello Shatt al Arab che era stato messo a punto nel 1989, ai tempi di Saddam Hussein.

Sarebbe la soluzione definitiva del problema, dice l'esperto, "e uno dei mezzi che è possibile utilizzare per far fronte alle pressioni e ai disastri idrici che il Paese si trova ad affrontare".

Nel frattempo, nelle zone a sud di Bassora, chi resta continua a bere acqua salata.

Fonte: al Sharq al Awsat