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Da Amburgo a Monaco, in viaggio tra le rinnovabili. E il nucleare non è più competitivo.

di Bruno Picozzi - 17/06/2010



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GERMANIA. Un reportage di tre puntate sul mondo delle fonti alternative tedesche. Non solo vento e sole, ma anche nuove tecniche per tirare fuori gigawatt dall’erba o dalle maree. E il nucleare non è più competitivo.

Da Amburgo a Monaco in sette giorni, un viaggio irripetibile tra tecnologie innovative e impiantidi ultima generazione. In Germania va in scena il futuro possibile dell’energia e noi siamo lì per raccontarlo. A far gli onori di casa è la Daad, organizzazione tedesca che si occupa di scambi accademici, 14 uffici e 48 centri informativi ovunque nel mondo, attività promozionali e borse di studio per un totale di 280 milioni di euro all’anno, decine di migliaia di beneficiari tra professori e studenti. «Scambiare per cambiare» è il motto dell’organizzazione. Le università tedesche cercano le idee per costruire il mondo che verrà e spendono fior di quattrini allo scopo di intercettare gli studenti migliori in ogni angolo del pianeta. Allo stesso tempo inviano i loro universitari all’estero ad imparare quel che c’è da imparare altrove. Alle spalle la consapevolezza che bisogna investire oggi per ottenere risultati domani. In sessant’anni di storia, 670mila tra studenti, ricercatori e professori internazionali sono venuti a condividere con la Germania le loro conoscenze e capacità. 770mila tedeschi sono andati invece a studiare e lavorare oltreconfine. Risultato ultimo, dappertutto nel mondo la Germania è sinonimo di efficienza e innovazione tecnologica. In cinese il suo nome è de guo che, tradotto, significa Paese della virtù. 
 

Willkommen in Deutschland, annuncia il programma della “visita di informazione sulle fonti rinnovabili”, quelle pulite e infinite come il sole, il vento, il mare, il sottosuolo, le biomasse. Quelle che in futuro garantiranno all’umanità tutta l’energia necessaria senza problemi di inquinamento o rischi di distruzione di massa. Siamo in dodici tra giornalisti ed editori provenienti da mezzo mondo, tutti più o meno specializzati in politiche economiche e ambientali. Dall’Egitto, dal Kazakistan, dalla Malesia, dall’Australia, ci parliamo e ci comprendiamo senza grande sforzo, non solo perché l’inglese è la lingua di scambio ma soprattutto perché, con tutta la nostra diversità, esprimiamo concetti che sono patrimonio comune. Compatibilità ambientale, strategie industriali, ricerca di base, alternative tecnologiche, le questioni chiave legate all’energia sono le stesse ovunque, in Cina come in Giordania o in Spagna. Così come ovunque accade che le idee rivoluzionarie vengano osteggiate da coloro che sono mentalmente cementati nel mondo dell’industria pesante, dei combustibili fossili e della fissione nucleare. Come in Repubblica Ceca dove, racconta Adam Sura del settimanale Respekt, gli ingegneri e i politici formatisi nel periodo sovietico hanno ragionato per tutta la vita di torba e carbone e semplicemente non sanno guardare in altre direzioni. 
 
Come scolari ubbidientipassiamo da un laboratorio a una fabbrica, da un congresso a un seminario, e ascoltiamo una dopo l’altra le lezioni di scienziati visionari che ci snocciolano davanti cifre su cifre, modelli futuribili, pacchi di informazioni senza fine. 
 
Incontriamo decine di studenti che sanno come tirar fuori gigaWatt di energia dall’erba o dalle maree. Giovani dirigenti d’azienda che posseggono la chiave per trasferire elettricità attraverso gli oceani e ci parlano di mix energetici e griglie intelligenti. A noi, cui basterebbe poter dire che c’è abbastanza intelligenza nelle stanze del potere per fare la differenza tra sostenibile e insostenibile, tra il vantaggio immediato e il disastro futuro, tra la formica e la cicala. Incontriamo Peter Stehr, coltivatore diretto, che in sei fazzoletti di terra ha impiantato altrettante torri eoliche da 600 kW l’una per un investimento di 4,25 milioni di euro, finanziato al 90 per cento dalle banche e recuperabile in circa 12 anni. Sulla facciata della sua casa monofamiliare si vedono i segni di una profonda fede evangelista: «Tutto ciò che vedi appartiene al Signore, ora et labora». Da sette generazioni la sua famiglia produce in loco mele di alta qualità e lui, per tutta la vita, ha imparato solo a coltivare la terra e a pregare Dio. Eppure ci porta a visitare torri alte 126 metri e sa spiegarci, in dialetto ma con competenza, il funzionamento dell’impianto e la lettura dei vari parametri. 
 
Parliamo col dottor Timon Kampschulte, uno dei più giovani professori all’Università di scienze applicate di Amburgo, cui basta poco per mostrarci come oggi sia economicamente più conveniente sovvenzionare l’energia fotovoltaica a 40 centesimi per kWh piuttosto che insistere sui combustibili fossili a 4 centesimi. Durante il pranzo alla mensa studentesca gli chiediamo quanto costa al netto delle sovvenzioni un kWh di energia nucleare e ci ride letteralmente in faccia. «Il nucleare non ha prezzo», dice. Nel senso che, messi in conto i conflitti necessari a procurarsi il materiale fissile e la spesa per lo smaltimento delle scorie, problema ancora oggi senza soluzione, il nucleare diventa una scelta dal costo incalcolabile. 
 
Invitati una sera a una cena in un ristorante italiano non lontano dal centro di Amburgo, ci troviamo circondati da duecento tra attivisti, operatori, dirigenti d’azienda e politici, tutti attori impegnati nello sviluppo delle energie rinnovabili. Loro si incontrano cinque volte l’anno e, tra chili di pizza, innaffiati di chianti, stringono alleanze e immaginano strategie industriali. Nella ressa davanti all’insalata caprese e ai funghi trifolati incontriamo Pyung-Hee Kim, educatissimo direttore generale dell’Agenzia per la promozione degli investimenti in Corea del Sud. Il suo governo è impegnato a 360 gradi nello sviluppo delle rinnovabili e propone partnership a tutti i soggetti disponibili. Lo ascoltiamo parlare mentre ci illustra le linee politiche della sua patria lontana, consapevoli che sotto ai nostri occhi quest’uomo sta contribuendo a disegnare la società del futuro. E ci chiediamo come sarà possibile spiegare tutto questo a coloro che, nelle stanze del potere di casa nostra, ancora non hanno aperto gli occhi per guardare nella giusta direzione, quella del vento e del sole.