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Continente col cuore spezzato

di Roberto Zavaglia - 20/06/2010

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Non è privo di valore simbolico il fatto che Bruxelles, la città dove si trovano le maggiori istituzioni dell’Unione Europea, debba, come capitale del Belgio, affrontare una difficile crisi politica che mette in discussione la stessa unità dello Stato. Le difficoltà dell’intera Ue si specchiano in quelle di un piccolo Paese che ha smarrito, se mai l’ha davvero posseduta, la propria identità nazionale.
  Le elezioni belghe che hanno visto l’affermazione della “Nuova alleanza fiamminga”, guidata da Bart De Wewer, rendono difficile la formazione di un nuovo governo, anche se il leader socialista Elio Di Rupo, l’altro vincitore emerso dalle consultazioni, ha dichiarato di essere fiducioso su un  compromesso che tenga ancora insieme i due principali popoli del Paese. La contrapposizione tra fiamminghi e valloni non è certo un fatto recente. La questione, mai davvero risolta, accompagna tutta la storia di uno Stato che, in qualche maniera, si può dire sia nato per caso e, soprattutto, per il volere di Francia e Gran Bretagna. L’ultima tornata elettorale, con il rafforzamento degli scissionisti fiamminghi, tra i quali, oltre alla N-Va, vanno conteggiati anche i “duri” del “Vlaams Belang”, rende la situazione più incandescente. Va però aggiunto che gli indipendentisti non hanno conseguito la maggioranza assoluta in Fiandra e ciò rafforza le speranze di quanti non si rassegnano all’idea che il Belgio scompaia definitivamente dalle carte geografiche.
  Fin dai primi passi dello Stato, sorto nel 1830, i fiamminghi non si sono sentiti a casa propria e non si può dire che mancassero le ragioni di tale estraneità. Il Belgio nasce infatti come uno Stato  centralizzato, ma nettamente francofono per quanto riguarda la lingua e la distribuzione del potere. Mentre la Vallonia, grazie alle sue miniere di carbone, si avviava a una rapida industrializzazione, in Fiandra si menava una vita grama e molti abitanti erano costretti ad emigrare. Come reazione, sorse, per iniziativa di scrittori e intellettuali, il Movimento fiammingo il quale, con le stesse tematiche del romanticismo che si diffondeva nelle altre “patrie negate” d’Europa, intraprese una battaglia culturale per la difesa delle proprie radici e della propria lingua. Dopo alterne vicende, questa lotta portò il Belgio, nel 1898, a divenire uno Stato bilingue, con il riconoscimento ufficiale dell’eguaglianza tra francese e fiammingo.
  Una parte significativa degli abitanti della Fiandra ha continuato comunque a sognare l’indipendenza o l’unione con l’Olanda, la cui lingua è affine al fiammingo. Che l’ostilità verso lo  Stato unitario fosse piuttosto diffusa, lo dimostra anche l’alto numero di collaborazionisti con gli occupanti tedeschi durante la Prima e, soprattutto, la Seconda guerra mondiale. La repressione che molti di costoro subirono dopo il ’45 non migliorò certo i rapporti con i valloni, rafforzando piuttosto le tendenze secessioniste. Per comprendere come l’identità del Belgio sia in buona misura fittizia, basti ricordare che, negli anni Cinquanta, il Centro Harmel, un’istituzione creata per rafforzare l’unità nazionale, finì con il raccomandare l’uso quasi esclusivo delle rispettive lingue locali in Vallonia e Fiandra, proponendo l’inglese come lingua federale…
  Al prezzo dell’instabilità politica, il Belgio è riuscito a mantenere la sua unità, ma oggi il secessionismo fiammingo si è rafforzato anche per motivi economici. La situazione si è infatti ribaltata: la Vallonia attraversa una pesante crisi economica, mentre la Fiandra da alcuni decenni è diventata il motore produttivo del Paese. I fiamminghi sono stanchi di sopportare un ingente carico fiscale per alimentare i fondi di solidarietà diretti alla parte meno prospera della nazione. C’è poi una lezione che andrebbe studiata per bene pure dai politici italiani. Il Belgio dal 1993 è diventato uno Stato federale: una scelta comprensibile in un Paese in cui convivono due popoli differenti. Si tratta di uno dei rari casi,  in Occidente, di cessione di una parte della sovranità statale dal centro alle  regioni autonome. Il federalismo, come è noto, si è sempre sviluppato in direzione opposta, come rafforzamento dei poteri del centro rispetto a una più lassa unione confederale, di cui gli Stati Uniti sono l’esempio classico.
   Anche se in Belgio sembrava che vi fossero tutti i presupposti per la riuscita del mutamento istituzionale, le cose non devono essere funzionato bene se le spinte secessioniste, invece di attenuarsi, si sono rafforzate, non solo in Fiandra. C’è di più: il federalismo fiscale, atteso dalla politica italiana come una panacea di tutti i mali, ha provocato in Belgio un forte aumento della spesa, portando il debito pubblico a superare, per diversi anni, persino quello stratosferico del nostro Paese. In una situazione in cui è alta la rivalità fra le regioni, si è finito per accontentare tutti, nel tentativo di frenare le reciproche gelosie. In Italia, dove la differenza tra Nord e Sud è molto più di natura economica che di tipo culturale, c’è il rischio, invece, di creare artificiosamente delle identità “nazionali” in competizione, con tutti i rischi per la tenuta dell’unità nazionale che ciò comporta.
  E’ probabile che il Belgio superi, almeno formalmente, questo momento di crisi, senza però trovare una sufficiente stabilità politica. Bart De Wewer, che adesso ha il pallino in mano, non pare puntare a una contrapposizione frontale, preferendo, come ha dichiarato, aspettare che il Belgio “evapori gradualmente”. E’ difficile, però, che un’eventuale separazione tra Fiandra e Vallonia sia del tutto indolore. Centottanta anni di unione nazionale hanno in parte modificato l’identità del Paese, con i molti matrimoni misti e gli spostamenti di popolazione da una parte all’altra della nazione. C’è, poi, il problema spinoso di Bruxelles e della sua provincia, che costituiscono una regione autonoma. I nazionalisti più radicali vorrebbero che la città, avendo fatto storicamente parte del Brabante fiammingo, diventasse la capitale della Fiandra indipendente. Oggi, però, la capitale si è francesizzata e i cittadini di origine fiamminga sono solo il 15%, mentre sono in maggioranza in quasi tutti i comuni limitrofi, pur essendovene alcuni abitati in prevalenza da valloni.
  La difficoltà di sciogliere nodi tanto intricati dovrebbe consigliare non poca prudenza ai secessionisti fiamminghi, i quali potrebbero accontentarsi di un’autonomia così estesa da somigliare all’indipendenza. In Europa, abbiamo constatato che la dissoluzione di Stati “artificiali”, abitati da popoli diversi, può avvenire in maniere molto differenti. Se anche il Belgio andasse incontro a questo destino, è pressoché sicuro che, nonostante i molti problemi da risolvere, la scissione seguirebbe la via pacifica della Cecoslovacchia e non quella sanguinosa della Jugoslavia. La partita è comunque aperta: l’ultima ora del Belgio, per adesso, non è ancora suonata.