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Acqua pubblica, Davide contro Golia

di Andrea Palladino - 20/06/2010




Un milione tondo tondo di firme per l'acqua pubblica. Ovvero duecento cinquantamila in più del traguardo che inizialmente il Forum si era dato per questa campagna referendaria. Una gigantesca grande risposta a politiche di governo liberiste. Un movimento in tanti aspetti simile a quello nato all'epoca del G8 di Genova: i partiti sono ospiti, una rete diffusa, capillare e solida di movimenti e associazioni. E' impossibile nelle pagine di un giornale elencare le centinaia di sigle che hanno reso possibile un obiettivo così straordinario. Si possono indicare le aree, sapendo che si sta facendo il torto a qualcuno: i cattolici progressisti insieme ai centri sociali, interi pezzi di sindacato (soprattutto Cgil e Cobas) insieme alle associazioni di consumatori, il mondo ambientalista al gran completo, fino ai lavoratori delle società che gestiscono l'acqua. E poi cittadini comuni, quell'onda che progressivamente cresce attorno al popolo viola, le piazze per la difesa del diritto all'informazione, pezzi di quell'Italia che vuole capire perché siamo il paese più autoritario, più liberista e meno libero d'Europa.

Per capire conviene fermarsi in uno dei banchetti sparsi in Italia: «Acqua pubblica? Non c'è bisogno di spiegare nulla, firmo subito», è la frase più comune. Poi la seconda domanda riguarda il marchio doc: «Non siete per caso quelli dell'Idv, vero?», come chiedeva un'anziana signora a Roma. Domande a fiumi: come difendersi dalle società private, come ribellarsi all'aumento delle tariffe, come fare le analisi all'acqua che beviamo. In un clima che può ricordare le feste di paese. Come quando sulla cima dello Zoncolan, durante il giro d'Italia, sono apparsi i banchetti, scatenando gli applausi dei tifosi. O come a Nettuno, la settimana scorsa, quando le persone hanno lasciato la spiaggia per andare ad ascoltare Ascanio Celestini, e a firmare.

A ripercorrere a ritroso la strada che ha portato alla mobilitazione milionaria, si trovano episodi che raccontano bene quanto vale questo milione di firme. Due erano gli ostacoli solo apparentemente insormontabili, i partiti politici e l'informazione. Partiamo dall'ultimo, è una storia che ci riguarda da vicino. Fino a pochi mesi fa il tema acqua pubblica era sostanzialmente un tabù. E d'altra parte guardando le grandi imprese e i forti poteri finanziari che si nascondono dietro la privatizzazione delle risorse idriche si trovano nomi che pesano nei media mainstream. Grandi gruppi come Acea, ad esempio, hanno tra gli azionisti industriali di peso come Caltagirone, salito oggi al 13% della società romana, pronto a scalare il gruppo in vista dell'ulteriore privatizzazione già avviata da Alemanno. Il nuovo colosso multiutility del Nord, Iride, ha visto l'ingresso pesante di F2I, alla cui presidenza siede il nuovo banchiere di dio Ettore Gotti Tedeschi, a capo dello Ior, la banca del Vaticano. O le potentissime lobby delle acque minerali, budget destinati alla pubblicità in grado di interferire nelle scelte del mondo televisivo. Golia contro le voci che hanno accompagnato in questi anni la crescita del movimento per l'acqua pubblica, raccontando cosa significa privatizzare l'acqua, trovandosi davanti alla porta i tecnici delle multinazionali e i vigilantes pronti a tagliare i tubi se non riesci a pagare.

Il vero ostacolo, quello apparentemente più difficile, è venuto però dai partiti, anche dell'opposizione. Al momento della presentazione dei quesiti fu l'Italia dei Valori, con un Di Pietro particolarmente agguerrito, a cercare di allungare una gamba per lo sgambetto. Prima l'IdV chiese un posto in prima fila nel comitato organizzatore del referendum, dopo aver capito che quell'anomalo movimento poteva arrivare molto lontano; poi forzò la mano, presentando un quesito alternativo - che mantiene il modello privato come una delle scelte possibili di gestione - sul tema dell'acqua.

Segue la questione Pd. O meglio, di una parte del Pd. O, meglio ancora, probabilmente di una parte minoritaria del Pd. Una posizione ufficiale, come è noto, ancora non c'è. Ufficialmente si è espresso contro i referendum e contro la totale gestione pubblica dell'acqua il gruppo che si riconosce nella componente "ecodem". L'impressione è che nell'alta dirigenza conti probabilmente molto il Pd "di governo", quella parte del partito che è storicamente vicina alle gestioni miste pubblico private - vedi il modello Toscana, o il colosso Acea - oggi in forte difficoltà rispetto ad un referendum chiaro e radicale.
I partiti della sinistra hanno invece accolto l'invito del Forum a dare una mano senza protagonismi. Federazione della sinistra, Sel, Verdi, Sinistra critica e PCdL fanno parte del comitato di sostegno al referendum, dando un sostegno deciso ma autonomo.

Quel milione tondo tondo di firme è dunque stato possibile grazie alla mobilitazione nata e cresciuta dal basso, nelle piccole sedi improvvisate di centinaia di comitati locali, abituati ad aprire le porte a cittadini di ogni tipo, arrivati con bollette a tre zeri in mano e magari con l'acqua staccata. Sono comitati dove in prima fila trovi le donne che fanno i conti per prime con la crisi economica e con la scientifica capacità predatoria delle multinazionali dei servizi, o gli anziani, memoria storica della capacità di combattere al minimo odore di ingiustizia. E poi professionisti, operai, insegnanti, precari stufi di essere visti come la parte flessibile del lavoro, stranieri che scoprono come l'Italia non sia quel paradiso promesso e non mantenuto. Un'esperienza di lotte e vertenze accumulate in cinque anni, partite dopo le prime privatizzazioni vere, spacciate per gestione mista.

La macchina organizzativa per i referendum è partita a fine marzo, grazie a volontari e forme creative di autofinanziamento. C'è chi ha creato il gadget richiestissimo delle borracce con la scritta "l'acqua non si vende", chi ha preparato i manifesti che univano il 25 aprile con la liberazione dell'acqua, chi si è ingegnato a realizzare i sistemi informatici per il conteggio delle firme. Ma subito tutti hanno capito la potenzialità dirompente dei tre quesiti: chiedere una gestione pubblica senza se e senza ma, mettendo all'angolo le mediazioni, gli interessi e quel sistema gelatinoso che garantisce lobbies e affari era quello che questo paese aspettava. Non servivano manifesti, campagne pubblicitarie e informazione diffusa. I referendum dell'acqua pubblica vincono proprio perché sono radicali, perché toccano sulla carne viva un paese ferito. Un vero uovo di Colombo.