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Il Bloody Sunday di sua maestà

di Mario Braconi - 21/06/2010




Dopo trentotto anni, è finalmente stabilita (o meglio ripristinata) la verità storica sugli eventi che il 30 gennaio 1972 sconvolsero la cittadina irlandese di Derry: nel corso di una manifestazione promossa dalla Northern Ireland Civil Rights Association (un’organizzazione per la promozione dei diritti civili dei cittadini dell’Irlanda del Nord) alcuni militari del Primo Battaglione Paracadutisti dell'esercito britannico aprirono il fuoco sui dimostranti, centrando ventisette civili innocenti ed uccidendone quattordici (ben cinque delle persone colpite erano ragazzi di 17 anni).

Fin dall'inizio, le gesta di quegli assassini trovarono una copertura nella connivenza delle istituzioni: il giorno successivo al massacro, il ministro della Difesa Lord Baniel offese la Camera Bassa con le sue intollerabili menzogne: "Analizzando gli eventi caso per caso, possiamo concludere che i soldati hanno colpito in modo mirato uomini identificati come cecchini o che erano comunque armati di bombe artigianali...Essi hanno agito per legittima difesa o per difendere i commilitoni minacciati. Respingo in modo categorico l'idea che i nostri soldati abbiano aperto il fuoco indiscriminatamente su una folla pacifica e disarmata". 

Nei mesi successivi, davanti alla Commissione Widgery, chiamata a ricostruire gli eventi occorsi in quella tragica domenica, sfilarono "testimoni" militari che, mentendo spudoratamente, giurarono di non aver avuto altra scelta salvo quella di rispondere al fuoco aperto dai manifestanti. Anche se la Commissione è passata alla storia per aver insabbiato il caso, le prove contro i militari britannici erano talmente schiaccianti che qualche brandello di verità venne fuori, perfino da un rapporto in cui la censura più pesante contro i soldati era quella di “aver adottato un comportamento ai limiti dell'incoscienza”.

Harold Evans, redattore del Sunday Times dal 1967 al 1981, ricorda che perfino quella commissione concluse che "uno degli uccisi era un ragazzo disarmato, colpito alle spalle da dietro mentre si trascinava a terra o era accosciato; che i colpi sono stati esplosi senza giustificato motivo ed in grande quantità; che gli obiettivi individuati erano evanescenti, e soprattutto che tutto ciò avveniva nel corso di una operazione militare non chiaramente autorizzata (un eufemismo ndr) fortemente disapprovata dalla polizia e, oltretutto, scatenata in un periodo in cui per mantenere l'ordine si erano sperimentati con successo altri metodi meno brutali".

Nel 1998, adottando un atteggiamento opposto al suo predecessore conservatore John Major, Tony Blair istituì la Commissione Saville per venire incontro alle pressanti richieste delle famiglie delle vittime della strage, desiderose di ripristinare l'onore dei propri cari almeno quanto di inchiodare i militari britannici alle loro responsabilità dopo lo scempio perpetrato della Commissione Widgery, che tentò di far passare i primi per terroristi e i rappresentanti del secondo per timidi boy scout.

E' così che nasce una vera e propria propria odissea giudiziaria: tra il novembre del 2000 e il gennaio 2005, la Commissione ha esaminato oltre 2.500 deposizioni, interrogando oltre 900 uomini e donne, civili, esperti di diritto, militari, paramilitari, sacerdoti e poliziotti. Ci sono voluti altri cinque anni e mezzo per giungere alle conclusioni definitive, finalmente rese pubbliche lo scorso 15 giugno, a ben dodici anni dal varo della commissione di inchiesta...

Non sono mancate, inevitabilmente, le polemiche attorno ad un macchinario pubblico che ha prodotto 160 volumi di scritti, 13 libri di fotografie, e “bruciato” oltre 200 milioni di euro solo per dare veste ufficiale ad una verità già compiutamente portata alla luce nel 1972 da un gruppo di giornalisti investigativi del Sunday Times (il cosiddetto Sunday Times Insight Team, fondato nel 1963 e soppresso dalla testata nel 2005 per risparmiare alla testata la ridicola cifra di 300.000 sterline).

Harold Evans (membro dell'Insight Team) racconta al sito di informazione The Daily Beast di come lui e suoi colleghi, barricati dentro una "topaia" (il City Hotel di Derry), abbiano raccolto a caldo le testimonianze di oltre 250 persone, tra cui anche membri dell'IRA, i quali trascrivevano per esteso su grossi bloc notes le orribili scene cui avevano assistito in quella maledetta domenica.

Il rapporto stilato da Insight Team arrivava a conclusioni molto diverse rispetto a quelle della commissione Widgery e raccontava una verità scomoda per l'esercito, smontando nel contempo alcuni miti cari ai resistenti irlandesi: "i paracadutisti spararono per primi (ed in modo incosciente). L'operazione diretta ad arrestare gli elementi più turbolenti tra la folle era stata presa dai vertici militari britannici, nella piena consapevolezza che avrebbe potuto comportare perdite civili."

Pur riconoscendo che i manifestanti più irresponsabili avevano tentato delle cariche (ma possiamo biasimarli?), il documento non lesinava critiche al governo (allora nelle mani di Margareth Thatcher, ideologa del pugno di ferro britannico in Irlanda del Nord) che aveva spedito a disperderli parà armati fino ai denti, oltretutto con la meritata nomea di gente dal grilletto facile.

Al fine di ristabilire la verità storica, però, il report giornalistico smontò anche un altro mito, confermando che, alle 4.40, furono udite delle scariche di mitragliatore dalla parte irlandese, cui certamente seguirono altri colpi d'arma da fuoco, e notando che la maggioranza del gruppo dei parà coinvolto nella strage, pur sotto stress a causa dell’uccisione dei propri commilitoni da parte dell’Esercito Repubblicano, non spararono nemmeno un colpo.

Trentotto anni dopo i fatti, la commissione Saville afferma cose molto simili a quelle contenute nel report del Sunday Times, ai tempi apostrofato dal Ministro degli Interni britannico "La Gazzetta dell'IRA”: "i colpi sparati dai soldati della Prima Divisione Paracadutisti il giorno della Domenica di Sangue hanno provocato la morte di tredici persone e il ferimento di altrettante, nessuna delle quali costituiva un pericolo per la vita dei soldati. Gli eventi della Domenica di Sangue rafforzarono l'Esercito Provvisorio Repubblicano (PIRA), aumentarono il risentimento di matrice nazionalista e l'ostilità verso l'esercito britannico, causando una escalation del conflitto violento per diversi anni a venire."

La commissione Saville entra nel merito delle responsabilità specifiche, stigmatizzando in particolare la condotta del tenente colonnello Derek Wilford, l'ufficiale cui faceva capo il Primo Battaglione quel 30 gennaio del 1972: Wilford, sostiene il rapporto, non comprese o disobbedì volontariamente agli ordini del suo superiore Patrick MacLellan, spedendo i suoi uomini (che avevano il compito di arrestare i rivoltosi) all'interno del quartiere di Bogside, dove era di fatto impossibile distinguere tra rivoltosi e pacifici manifestanti alla marcia per i diritti civili.

Inspiegabilmente, però, il Generale Robert Ford, capo delle forze di terra in Irlanda, viene toccato in modo molto più lieve dalla censura della Commissione. Se pure venne criticata la sua decisione di mandare truppe di assalto poco attrezzate per la guerriglia urbana per le strade di Derry, almeno nell’ambito della commissione Saville, non fu stato possibile provare che l'uso dell'assassinio sia mai stato considerato dall'ufficiale un metodo utile a sedare la rivolta e in generale a piegare i Repubblicani irlandesi.

A dispetto delle molte cose negative che si possono dire sulla commissione Saville, bisogna ammettere che essa rappresenta il modo, inevitabilmente imperfetto, con cui un Paese civile agisce la democrazia: le sofferte conclusioni della commissione, tardive  e costose che siano, ci parlano di un Paese in grado di riscattare la sua anima nera ammettendo i crimini anche quando sono stati commessi dalle istituzioni, stabilendo in modo netto un discrimine tra bene e male, giusto e ingiusto (in questo solco vanno lette le parole con cui Cameron ha commentato le conclusioni del report, "ciò che è accaduto quel giorno è ingiustificato e ingiustificabile. E' stato sbagliato").

A questo proposito lascia l'amaro in bocca la parziale "assoluzione" del generale Ford, il quale, secondo Ivan Cooper, attivista pacifista e tra gli organizzatori della Marcia per i Diritti Civili, la manifestazione coinvolta nel massacro, è il vero responsabile dei fatti del 30 gennaio, in quanto Comandante delle forze di terra. Tanto più che tra i documenti acquisiti dalla commissione Saville si trova un suo appunto nel quale argomenta serenamente sull'opportunità di uccidere in modo mirato i capi dei rivoltosi. Se questo documento non è una prova, certo non è un indizio rassicurante.