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Genesi ed evoluzione del pensiero “neo-con”

di Luigi Carlo Schiavone - 24/06/2010

 

 

 

“Sempre meno raramente accade che molti eminenti esponenti del neoconservatorismo scambino Tel Aviv per la capitale degli Stati Uniti d’America”.
Russell Kirk, padre del conservatorismo americano ed autore di The Conservative Mind.
L’origine dell’ideologia neoconservatrice è da ricollegarsi all’operato di diversi intellettuali della sinistra americana che, verso la metà degli anni Sessanta, infastiditi dall’evoluzione assunta da quest’ultima sempre più orientata alla ricerca di atteggiamenti libertari e di stili di vita alternativi e impegnata nella partecipazione all’opposizione alla guerra del Vietnam, decisero di abbandonarla e, cavalcando un recupero del patriottismo e una rinnovata fedeltà nei valori americani, approdarono alle più “placide sponde” del conservatorismo.
Questo iniziale manipolo di intellettuali, pilastri dell’ideologia neo-cons, poteva annoverare tra le sue fila nomi come Irving Kristol direttore de “The public Interest”, Nathan Glazer, sociologo di Harvard, Norman Podhoretz, direttore della rivista “Commentary” nonché saggista e studioso di teologia ebraica, e Daniel Bell, sociologo e professore emerito ad Harvard che avrebbe in seguito rinnegato la sua adesione al movimento neo-cons. Vale la pena di ricordare, inoltre, come buona parte dei neo-cons di prima generazione oltre ad essere accumunati dalla comune origine ebraica, si caratterizzano per una militanza politica che interessa l’intero arco dei partiti americani dall’estrema sinistra alla destra; emblematica è, ad esempio, la parabola di Irving Kristol che, dopo aver superato la fase trotzkista attraversata negli anni 30 e abbandonato il gruppo degli intellettuali di sinistra di New York, iniziò, negli anni 50, ad operare una rapida conversione verso la democrazia liberale e il capitalismo per giungere, sul finire degli anni sessanta, alla sponda conservatrice. Fondatore di diverse riviste come “The Reporter” e “The Public Interest”, Kristol si distinse anche come voce critica nei confronti della politica di “Great Society” varata dal presidente Johnson; è a lui che si devono anche le basi per le future critiche del movimento neo-cons al riformismo sociale e la teorizzazione della necessità di operare un ulteriore ridimensionamento dello Stato sociale. La critica al Great Society si fondava sulla convinzione, fatta propria dall’intero movimento neoconservatore, che i programmi sociali, scoraggiando il formarsi dell’autodisciplina e delle virtù civiche, favoriscono, nelle classi più povere, l’ozio e l’inerzia creando presso i diseredati una pericolosa dipendenza verso quella che essi definiscono, in modo sprezzante, “beneficenza pubblica”.
Dal punto di vista ideologico il movimento neo-cons si caratterizza, come già accennato, per una profonda critica nei confronti della cultura radical degli anni ’60 cui si attribuisce l’origine di tutti i mali che attanagliano gli Usa. Rea del declino del paese, l’influenza di tale teoria è, secondo i neo-cons, ancora visibile nel pacifismo contemporaneo, nel liberalismo, nel movimento no-global e nella cultura gay. Questi, considerati alla stregua di veri e propri “cancri”, non debbono, secondo i neo-cons, essere combattuti come semplici fenomeni politici, ma come “aberrazioni e minacce all’etica nazionale”. D’altronde è lo stesso Podhoretz ad affermare che il compito del movimento neoconservatore è: « […] combattere le pericolose bugie diffuse dal movimento radicale degli anni sessanta e che sono state accettate dai liberal di oggi»
All’inevitabile declino cui sembra votata una società caratterizzata dall’eccesivo permissivismo, figlio del liberalismo radicale, il movimento neoconservatore oppone un unico rimedio: il recupero dei valori tradizionali  nella cui perdita è da ritrovare, secondo Glazer,  “la causa principale dei nostri problemi sociali”. Importante, inoltre, è anche il valore che i neo-cons riconoscono all’individualismo perché, come ricorda Daniel Bell,: «In America la contrapposizione fra libertà ed uguaglianza che ha caratterizzato i grandi dibattiti filosofici in Europa è stata superata da un individualismo che le comprendeva entrambe»
La formazione del corpus ideologico neoconservatore, peraltro, risente di molti elementi dell’iniziale trotzkismo, come  il concetto di “rivoluzione permanente”, collegato dai neo-cons all’esportazione, tramite la “distruzione creativa”, della “rivoluzione democratica o il respiro internazionalista in politica estera e l’ammirazione per l’esercito e l’organizzazione militare fino a mutuare quella tattica dell’ “entrismo” predicato dalla Quarta internazionale, e sfruttato dai neo-cons per una loro diffusione capillare nei centri di potere, politico e amministrativo. A ciò si aggiunga la grande influenza delle elaborazioni teoriche di Leo Strauss.
Filosofo ebreo, allievo di Heidegger, Leo Strauss, fuggito dal Reich nazionalsocialista grazie ai buoni uffici del giurista-filosofo Carl Schmitt, come tutti i pensatori “conservatori” da Hobbes in poi considera l’essere umano cattivo per natura e identifica in un potere forte il solo limite al possibile evolversi delle sue potenzialità negative e malefiche.
La forma di Stato elaborata da Strauss, tuttavia, per molti aspetti si discosta dalla tradizionale visione conservatrice riconoscendo a questo un ruolo preciso nella formazione del cittadino. Condividendo, inoltre, la nota affermazione di Churchill in merito al fatto che «la democrazia fosse il peggiore dei sistemi possibili, fatta eccezione per tutti gli altri», Strauss giunge ad elaborare una teoria secondo cui molte forme democratiche sono da considerarsi inferiori rispetto ad alcune forme di governo autoritario. In merito a questo suo punto di vista, inoltre, vale la pena di ricordare che Leo Strauss riuscì anche a trovare il sostegno di alcuni storici conservatori che, cercando di dimostrare come una simile impostazione sia rintracciabile nelle volontà dei padri fondatori, fornirono copiosi contributi ad una lettura “in chiave conservatrice” della Costituzione americana.
Degna di analisi e di approfondimento è anche la pratica di “arruolamento” attuata dai neo-cons. Il perno centrale è da ritrovare nelle prestigiose fondazioni o think tanks che, a differenza delle fondazioni di stampo liberal, mirano a preparare centinaia di attivisti da inquadrare, sulla base della citata teoria dell’entrismo, nei diversi rami delle istituzioni americane.
Cresciute in un periodo in cui si registra il lento declino delle vecchie istituzioni partitiche, suddette fondazioni sono da tempo al centro di intensi dibattiti volti ad identificare da cosa derivi la loro maggiore dinamicità rispetto alle alter ego di marca liberal. Per molti il reale motivo è da ritrovarsi nella maggiore flessibilità dell’organizzazione funzionale ad un atteggiamento più spregiudicato nei riguardi della politica senza dimenticare l’esistenza, in America, da più di trent’anni di un clima politico confacente alle istanze neo-cons. A ciò va ad aggiungersi, inoltre, il deciso mutamento del clima nelle università, caratterizzato da un acuirsi del disinteresse dei giovani nei confronti della politica favorito, oltre che da evidenti motivi anagrafici, dal maggior interesse dei “giovani virgulti” d’America per la loro futura formazione professionale piuttosto che per i problemi sociali del Paese.
Figli degli ideologi relegati ad un ruolo marginale dall’intelligencjia di sinistra, negli anni sessanta vera monopolizzatrice degli ambienti accademici americani, queste fondazioni sono cresciute d’importanza nel tempo, riuscendo ad influenzare sempre più la politica attiva; è nelle fondazioni, ad esempio, che hanno avuto origine due temi di fondamentale importanza come la riforma del welfare e la tolleranza zero nei confronti del crimine, che hanno segnato il dibattito politico statunitense degli anni ’80 e degli anni ’90 ed è sempre una fondazione – l’AEI – a promuovere una decisa campagna contro i c.d. “Stati canaglia” prima che essa divenisse un leit motiv dell’establishment a stelle e strisce e dei suoi alleati.
Per comprendere il livello di importanza che esse hanno nella vita politica, e quindi nelle decisioni dell’establishment, è sufficiente conoscerne i membri: la Hoover Instituiton, ad esempio, annovera tra i suoi ranghi l’ex Segretario di Stato Condoleeza Rice oltre all’ex Ministro della difesa Donald Rumsfeld, mentre punti di forza dell’ AEI sono l’ex Vice presidente Dick Cheney e consorte senza dimenticare la figlia Liz, strenua sostenitrice della pratica del waterboarding da parte dell’amministrazione Bush e considerata da Mark Leibovich del New York Times  «[…]un punto di riferimento dei conservatori sulla sicurezza nazionale. Più in generale, è stata promossa ad astro nascente del Partito Repubblicano, non scostandosi troppo dal ‘marchio di famiglia’» Rilevante, soprattutto per le gravi ripercussioni che essa implica a livello internazionale, è l’interesse per la politica estera dimostrato dal movimento neoconservatore, che segue il c.d. approccio dell’ “egemonia imperiale”, in base al quale, dopo la fase di relativa tranquillità seguita alla fine della guerra fredda, occorre aprire una nuova fase di conflittualità e di crisi.
Con l’affermarsi della “seconda generazione” di neo-cons, meno condizionata della prima da un background democratico e che si è formata nel GOP  (Gross Old Party) e nelle fondazioni, temi come la politica estera e la retorica della “missione” salvifica degli Stati Uniti assumono un livello di importanza mai conosciuto prima; se per i Democratici la missione imperiale degli Stati Uniti si consolida attraverso un’espansione degli scambi e del libero commercio che mirano a rafforzare la sfera di influenza degli Stati Uniti (si ricordino, ad esempio,  la concessione di status di partner commerciale alla Cina e la rivitalizzazione dei rapporti con l’India  del governo Clinton nel 2000), per i neo-cons tale obiettivo può essere perseguito solo tramite l’azione militare riconosciuta, al contempo, come strumento di pressione e di azione diretta.
Le tracce di un imperialismo condito da messianesimo rinvenibili in entrambe le tradizioni politiche si è amplificata notevolmente all’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica quando gli Stati Uniti, rimasti unica superpotenza mondiale, furono colti da un deciso riverbero di imperialismo.
Al centro delle strategie della politica estera neo-cons vi è il Medio Oriente; contravvenendo alla vecchia tradizione conservatrice e repubblicana (rappresentata nel G.O.P. dai moderati e dai conservatori della prima generazione) più orientata a stringere relazioni con i diversi Stati arabi, i neoconservatori sono interessati alla salvaguardia e al consolidamento di Israele.
Solo avendo ben chiare queste considerazioni si possono comprendere le azioni in suddetta regione; la stessa missione in Iraq è figlia dei think tank neoconservatori. Iniziata nel 1991, e abbandonata per il disinteresse e l’indifferenza di Bush Sr verso l’establishment israeliano che gli costò da parte neo-cons l’epiteto del più “antiisraeliano degli ultimi presidenti americani” (oltre alla rielezione), l’operazione Iraq è ancora inconclusa nei giorni odierni. Fondamentale per l’avvio di una politica di destabilizzazione nella regione del Golfo l’attacco all’Iraq torna con regolarità nelle manovre dei neo-cons: sono del 1997 ad esempio le pressioni fatte da Cheney e Rumsfeld sostenuti dal superfalco Richard Perle (lo stesso che nel 1986 chiedeva, in un pamphlet al neo-eletto Netanyahu di rigettare le proposte di pace in cambio di terra alla base di degli accordi di Camp David) nei confronti dell’allora Presidente Clinton per riprendere le operazioni.
Dopo i fatti dell’11 settembre 2001, il tema Iraq trova rinnovato vigore. George W. Bush, allora Presidente, prima ancora di attaccare l’Afghanistan, era intenzionato a riprendere il discorso interrotto dal padre nel’ 91. Ciò grazie anche i “buoni uffici” di Paul Wolfowitz, vice di Donald Rumsfeld, che, dopo la fine di Saddam, affermerà più volte come il fatto che le armi di distruzione di massa non siano state trovate dimostra soltanto che Saddam le ha nascoste e che il fatto che i servizi segreti non abbiano diffuso serie informative in proposito è dovuto soltanto alla furbizia del nemico. Il vigore dimostrato in tali dichiarazioni, oltre a confermare il concetto, fortemente sostenuto da Wolfowitz, che “mentire è più di una tecnica, era e rimane politica”, è strumentale all’obiettivo neo-cons ossia l’abbattimentio del regime baathista primo passo verso la destabilizzazione della regione a favore di Israele. Le tappe successive di suddetta strategia, infatti, riguardano, come da tempo si nota, Siria e Iran, la cui rispettiva liquidazione risulta di fondamentale importanza per garantire la stabilità e la sicurezza dello stato ebraico..
D’altronde un eventuale attacco, sviluppato in tal senso, significherebbe, a causa di un“effetto sussidiario”, la fine di un sostegno, geograficamente contiguo, alla causa palestinese.  Una visione di una “politica estera più dinamica” sostenuta nel “nome dell’esportazione della democrazia armata”, dunque, sempre più lontana dalla tradizionale tendenza isolazionista che contraddistingueva la visione in politica estera dei conservatori. Altro punto al centro della disamina dei teorici neo-cons sono le grandi alleanze consolidatesi al tempo della guerra fredda; queste ultime sono da considerarsi, da parte neoconservatrice, come desuete visto che, nel loro modo di considerare l’azione militare, l’aiuto alleato è ben accetto solo se si conforma totalmente e acriticamente alle direttive statunitensi. Oggetto della critica è soprattutto l’Europa, verso la quale, in seguito alla fine del multipolarismo, si è orientati verso un ridimensionamento dell’alleanza. Sostegno a queste ipotesi sono le tesi espresse da Kagan nel libro “Of Paradise and power: America and Europe in the new world order”. In questo testo Kagan rifacendosi ad una metafora mitologica presenta un’Europa “Venere” che, a causa del suo pacifismo e della sua debolezza militare, è diventata imbelle. Ad essa sono contrapposti degli Stati Uniti muscolari che, identificati, in Marte vengono presentati come i controllori di un mondo che, sempre più in preda dell’anarchia, è destinato a divenire quel regno di paura e ferinità tanto temuto da Hobbes.
Oggi, con la sconfitta di George W. Bush e l’elezione del Democratico Obama, sono molti gli ingenui disposti a pensare che qualcosa sia realmente mutato. Certo, il sistema dello spoils system ha garantito il sollevamento dagli incarichi fondamentali dei neo-cons politici garantendone la sostituzione con elementi provenienti da fondazioni liberal. Ma si tratta di un cambiamento di facciata. Entrambe  le tradizioni, come abbiamo visto, si caratterizzano per l’impronta messianica ed imperialista perseguibile in diversi modi ma comunque necessitanti di un nemico che nel passato fu il nazionalsocialismo ed il fascismo, ieri  il comunismo dell’Urss ed oggi è rappresentato da un “terrorismo islamico” non chiaramente definito in cui si confonde il “nemico sfuggente”  Al-Qaeda con la resistenza legittima ad uno stato di indigenza e vessazione continua di organizzazioni come Hamas, tra l’altro, democraticamente elette.  
D’altronde è Ben Stephens, editorialista del Wall Street Journal, a ricordare come la strategia di Obama stia mostrando i suoi limiti riconoscendo le ragioni dei neoconservatori in politica estera, riaffermando così come la “fiducia nel potere sia meglio della speranza”. La macchina dei neoconservatori, quindi, continua a funzionare ancora e a pieno regime come dimostrano  le continue attenzioni nei confronti dell’Iran e le ingerenze volte alla destabilizzazione del regime degli ayatollah.  Un limite alle azioni dei gendarmi internazionali potrebbe trovarsi nella nascita di un concorrente internazionale; per cultura e per i rapporti ultrasecolari tessuti con i paesi del  vicino e del medio oriente tale compito spetterebbe all’Europa ma questa, vincolata da remore e limiti derivanti dalla funzione geo-strategica svolta all’epoca dalla guerra fredda (si pensi alle basi americane dislocate in lungo e largo nel nostro continente) resta al palo, incapace di scuotersi, confacendosi, passivamente, al ruolo di imbelle disegnatagli da Kagan e allontanandosi, irrimediabilmente, dai tempi nobili dei vessilli alati.