Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’Italia e la Cooperazione allo Sviluppo nella sponda est del Mediterraneo

L’Italia e la Cooperazione allo Sviluppo nella sponda est del Mediterraneo

di Pietro Longo - 26/06/2010


 
L’Italia e la Cooperazione allo Sviluppo nella sponda est del  Mediterraneo


Nel corso di una recente analisi dal titolo Stato di Salute della Siria dei “Leoni” è stata sostenuta la tesi di un “immobilismo strategico” del regime di Damasco, ovverosia la tendenza a mantenere inalterato lo status quo in determinate questioni di politica estera (come nel caso delle contese Alture del Golan e più in generale nei confronti di Israele) sulla base di alcune considerazioni. Fra le ipotesi avanzate era stata annoverata la possibilità di una crisi economica latente, che il regime certamente non dichiara per evitare di proiettare su di sé un’immagine di debolezza. L’assunto iniziale, di matrice realista, poggia sull’idea che esista una perfetta aderenza tra la condotta estera e gli affari interni degli Stati. Meglio ancora che siano i secondi ad influenzare prepotentemente la prima. Nel caso di un regime monolitico questa prospettiva necessita di essere parzialmente revisionata: la dialettica tra i partiti e l’alternanza ciclica possono imprimere delle spinte differenti alla PE di uno Stato, in genere sulla base dell’orientamento politico prevalente in un dato spazio temporale. Un regime invece, come sostenuto nel sopraccitato articolo, potrà cambiare il proprio allineamento per i motivi più disparati, a prescindere dalle idee e dai valori.

Così accade che mentre le due ali del Partito Comunista siriano, entrambe ammesse nell’ombrello delle organizzazioni di governo, lamentano il progressivo allontanamento dalla pianificazione economica (con un processo di liberalizzazione che sta colpendo le fasce più deboli della società), il partito dominante Ba’th (di estrazione socialista) ha recentemente ottenuto per il paese lo status di osservatore presso il WTO. La richiesta di adesione era stata in realtà presentata già nell’ottobre del 2001 ma era stata bloccata dal veto statunitense considerando che proprio in quel periodo venne riesumato lo slogan di “Axis of Evil” e fu coniato quello di “Rough States”. Il passo successivo fu compiuto dal regime di Damasco nel 2005 quando il governo ufficialmente approvò il transito verso una forma di “economia sociale di mercato”. Infine, considerando i passi compiuti in direzione del liberismo economico e presumibilmente una condotta meno “canagliesca”, è giunta l’ammissione come osservatore e la possibilità di divenire membro effettivo del WTO, a seguito di futuri negoziati. Frattanto la Siria ha ceduto grosse fette della propria economia (soprattutto a partner arabi della zona e alla Turchia) e ha siglato un “Accordo di Associazione” con l’Unione Europea, necessario per creare un’intelaiatura di cooperazione con i paesi extra-comunitari. Questo tipo di strumento in genere richiede all’interlocutore l’implementazione di riforme strutturali (sia a livello politico che sul piano economico) in cambio dell’istituzione di aree di libero scambio. L’Accordo tuttavia è rimasto in sospeso perché nel 2004 l’UE ha ritenuto “non propizie” le circostanze politiche.

Per valutare in modo oggettivo i risvolti di questa virata (neo)liberale è necessario guardare ai numeri. I dati macro-economici relativi al PIL riportano effettivamente un segno positivo, indice di una seppur lenta crescita. Damasco è passata da un prodotto interno pari a 59 mld di dollari nel 2003 a 83 mld nel 2008. Tuttavia osservando l’andamento del tasso di crescita del PIL si noterà che il paese è passato dal 3,50% nel 2003 ad un picco negativo di 2,30% nel 2005 per arrivare nuovamente al 3,50% nel 2007 e assestarsi al 3,30% nel 2008. I dati relativi al 2009 riportano un calo addirittura al 2,2% a seguito della crisi economica globale, di contro ai pronostici dell’IMF che nel 2008 si aspettava per l’anno successivo un’impennata al 5%. Alla stessa maniera, se pare che il tasso di disoccupazione sia sceso passando dall’interessare il 20% della forza lavoro totale nel 2003 al 9% nel 2008, l’inflazione è schizzata dallo 0,9% al 15,40% nello stesso lasso temporale ed il livello salariale, registrato nel 2009 dalla General Social Security Organization, indicava che il 44,19% dei lavoratori percepisce uno stipendio di 6.000 sterline siriane, pari a soli 127 dollari.

Questa lunga premessa era necessaria per delineare l’attuale quadro dell’economica nazionale, prima di focalizzare l’attenzione sugli ultimi sviluppi. La Siria, come molti dei paesi dell’area, è evidentemente un paese in via di sviluppo. L’aver abbracciato le regole economiche maggiormente condivise è una chiara manifestazione della volontà del regime di voler partecipare alla spartizione dei dividendi, in un’ottica di cooperazione win-win. Ma è anche una dimostrazione della volontà siriana di evitare l’isolazionismo entro il quale il paese era stato relegato durante la passata amministrazione statunitense.

La diplomazia italiana ha il sicuro merito di essere riuscita ad intessere ottimi rapporti con Damasco. Ne sono testimonianza le frequenti visite ufficiali e di alto livello, susseguitesi in appena due anni. Ad una prima visita del Ministro degli Esteri siriano, Walid Mu’allim, ha fatto seguito quella del vice-Primo Ministro Dardari nell’ottobre del 2008. Il Capo della Diplomazia Frattini ha ricambiato la cortesia nel corso del 2009, seguito poi dal Ministro italiano per lo Sviluppo Economico e dal Presidente Napolitano nel marzo del 2010. Secondo i dati della Farnesina, l’Italia ha scambiato con la Siria 1.140.000.000 di euro nel solo 2009 guadagnandosi lo status di primo partner commerciale europeo e quarto importatore nel mondo. Quanto ai prodotti, i siriani acquistano macchinari per l’industria, prodotti chimici e apparecchiature elettroniche mentre gli italiani comprano petrolio e i suoi derivati raffinati, articoli in pelle e prodotti agricoli. Ma il vero settore di punta circa la presenza italiana nel “Bilad al-Sham” è quello delle infrastrutture. Roma infatti sta contribuendo nell’opera di potenziamento della ferrovia siriana, prestando materiali e know-how. La linea Damasco-Aleppo, patrocinata da Italferr (Gruppo Ferrovie dello Stato), vorrebbe costituire un primo tratto di un più ampio progetto ferroviario che collegherà l’Europa e la Turchia, questa alla Siria (attraverso lo snodo Aleppo-Gazientep) e quindi Giordania e Arabia Saudita prima di sboccare nel Golfo.

Nel campo edile, l’Italia ha ottenuto l’incarico di costruire centrali elettriche e a gas in diverse parti del paese e ha impiantato una Joint-Venture nel settore della produzione del cemento. Lo scorso aprile il Governo di Roma ha anche ufficializzato un prestito del valore di 20 milioni di euro a Damasco per provvedere alle riforme economiche e finanziarie necessarie. La condizione dell’accordo è stata quella di creare una commissione mista italo-siriana per controllare lo stato delle Piccole e Medie Imprese (SMEs) che hanno beneficiato del versamento di liquidità.

La cooperazione tra Italia e Siria investe anche il campo culturale e archeologico nello specifico. Missioni di scavo e restauro sono presenti nell’area a nord di Aleppo da circa 10 anni e un accordo di cooperazione interuniversitaria è stato rinnovato nel 2008. Tre lettori di lingua italiana (due a Damasco e uno ad Aleppo) sono stati strutturati nelle principali Università pubbliche a seguito della crescente domanda di apprendimento dell’italiano.

L’ultimo incontro ufficiale tra le due istituzioni risale appena al 21 giugno scorso, quando l’On. Stefania Craxi, Sottosegretario di Stato agli Esteri con delega per il Medio Oriente, si è recata a Damasco. Qui ha espresso il desiderio che l’Italia riesca a rafforzare l’interconnessione tra il Mediterraneo e l’Europa e per questo scopo è stata inaugurata il 20 maggio scorso una linea di collegamento navale che da Venezia approda al porto siriano di Tartus. A questo primo “green corridor” (ossia a canali di trasporto di uomini e mezzi) ne faranno seguito altri, probabilmente, a partire da Livorno, Genova e Ravenna. Tuttavia l’implementazione di questa politica è rallentata dall’assenza di una Convenzione quadro proprio in materia di cooperazione marittima. La Siria ha quindi in cantiere di rafforzare il suo unico e piccolo tratto di confine che sbocca al mare dove sono siti 4 porti, due dei quali, Tartus e al-Ladhiqiyya (antica Laodicea oggi nota come Lattakia) di grande importanza strategico-commerciale. Le altre tematiche affrontate durante il meeting hanno riguardato il dossier energia e la possibile costruzione della centrale elettrica di Dayr ‘Ali entro il 2013 (con la partecipazione della Grecia) e quella di Dayr al-Zur, ove sarebbero presenti anche delle costruzioni nucleari, bombardate nel 2008. L’ENI (tramite l’affiliata SAIPEM) si è insinuata con un progetto di oleodotto del valore di 3,5 mld di euro, per collegare il pozzo iracheno di al-Rumaylah (tra Iraq e Kuwait) al Mediterraneo.

Le realizzazioni, e le idee per il futuro, summenzionate sono una chiara testimonianza di quella “Nuova Siria” che Bashar al-Asad sta cercando di edificare. Bisogna comunque considerare che in un paese con una moneta debole e inflazionata, poche risorse, un processo di industrializzazione ancora in fase di innesco e soprattutto con un Walfare-State non certamente all’avanguardia, gli sforzi di ammodernamento potranno gravare per intero sulle spalle degli strali medio-bassi della società.

Rapporti Italo-Israeliani

L’Italia dal canto suo sta portando avanti una politica ambivalente nel quadrante mediorientale. Come ha commentato l’On. Craxi tra i siriani l’immagine è quella di un “Paese amico con una diplomazia non invasiva e un sistema economico pronto a collaborare”. Se questo è vero, è altrettanto vero però che proprio mentre il Sottosegretario si trovava a Damasco, Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati, volava a Tel Aviv. Fini e lo Stato ebraico hanno una relazione sedimentata e duratura, da quando l’allora dirigente di AN nel 2003 vi si recò per la prima volta per fugare le critiche mosse contro il suo partito. Da quel momento è diventato il “miglior amico di Israele” o quanto meno uno dei.

Anche qui la presenza delle più alte cariche italiane si fa sentire con una certa frequenza (va detto, ancor più che in Siria e in qualunque altro paese della regione). L’ultima visita risale al febbraio scorso, allorché la delegazione guidata dal Premier Berlusconi ha siglato ben 8 accordi di cooperazione di varia natura (si veda l’articolo “I rapporti Italia-Iran-Israele, tra affinità elettive e relazioni pericolose”). In quel caso però il Cavaliere espresse anche la propria vicinanza al popolo ebraico, continuamente minacciato dal regime iraniano e in tutta risposta all’atteggiamento favorevole alle sanzioni, Tehran avrebbe impedito all’ENI il rinnovo dei contratti di sfruttamento di giacimenti petroliferi. Durante questa nuova visita, Fini ha ribadito l’assenza, in Italia, di partiti o movimenti che inneggiano al fascismo, definito in passato come “male assoluto”. Inoltre ha commentato i recenti fatti relativi alla “Freedom Flotilla”: a) la Turchia avrebbe dovuto operare maggiori controlli sulle imbarcazioni b) si deve comprendere il panico entro cui è relegato ormai da anni lo Stato ebraico c) è necessario prendere sul serio le affermazioni di estinzione di Israele lanciate dall’establishment iraniano. Dunque la posizione del Presidente della Camera è a) morbida nei confronti di Tel Aviv e in merito alla responsabilità per la morte dei pacifisti b) dura verso i paesi non-democratici che lanciano gravi minacce ai danni degli alleati.

In materia di collaborazione tra i due paesi, l’ISTAT rivela che nel solo 2009 il commercio ha prodotto un interscambio di 2 miliardi e mezzo di euro e secondo fonti israeliane, l’Italia è all’8° posto tra gli acquirenti e al 5° posto tra gli esportatori a livello mondiale (2° posto in Europa dietro la Germania). Roma esporta verso Israele apparecchiature meccaniche e tecnologiche, derivati del petrolio, prodotti chimici e metalli mentre importa prodotti e materie plastiche, derivati dell’agricoltura, raffinati del petrolio e componenti per la navigazione aerea e spaziale. Dato lo sviluppo delle relazioni economiche, nel 2005 è entrato in funzione l’Italian Business Desk con sede a Tel Aviv, punto di incontro tra l’Ambasciata italiana, l’ICE e la Camera di Commercio Italo-Israeliana. Da parte israeliana sono acquistate anche tecnologie farmaceutiche, di comunicazione e satellitari ed un discreto sviluppo ha conosciuto ultimamente il settore immobiliare.

Rapporti Italo-Libanesi

La sponda est del Mar Mediterraneo comprende un terzo attore di vitale importanza: il Libano. Noto come la Svizzera del Medio Oriente per la sua ricchezza di servizi bancari e l’enorme disponibilità di liquidità, il Paese dei Cedri ha vissuto una fase di instabilità politica iniziata a seguito del ritiro israeliano (2000) e siriano (2005) dal suo territorio. Questi due eventi infatti da un lato hanno visto il rafforzamento, finanche la legittimazione delle milizie irregolari formatesi proprio in funzione anti-israeliana (Hezbollah in primis) ma dall’altro hanno acuito lo scontro tra i settori sociali libanesi, distinguendo nettamente tra fazioni pro-siriane e fazioni, come la minoranza cristiana, apertamente contrarie. Nel 2006 il Libano è stato territorio di scontro proprio tra l’esercito israeliano e le truppe del Partito di Dio, fatto questo che ha gravemente danneggiato il paese a livello economico e infrastrutturale ed a condotto al rinnovo del mandato della missione ONU UNIFIL II, dal 2007 sotto guida italiana. Roma ha mostrato un atteggiamento incline a favorire il dialogo tra le fazioni libanesi e la riconciliazione nazionale, talvolta però ha espresso parole severe proprio nei confronti di Hezbollah, costituitosi nel frattempo come partito e sorretto dalla popolazione di fede shi’ita, tanto da disporre di ben 13 seggi entro la propria coalizione.

I rapporti economici italo-libanesi sono limitati per cause di forza maggiore. Il Paese dei Cedri si trova ancora in una fase di ricostruzione e solo adesso sta conoscendo una reale ripresa economica: tra il 2006 ed il 2007 (durante la Guerra dei 34 Giorni) il tasso di crescita del PIL registrava un andamento pari a -6,40%, anche se nei 3 anni successivi ha toccato vertici positivi di 6 o 7%. Con queste basi di partenza, è chiaro che anche il commercio estero si è ridotto: Italia e Libano hanno scambiato valori per 786 milioni di euro, Roma esportando prodotti petroliferi, macchinari e prodotti tessili e importando prodotti chimici e metallurgici, minerali e derivati dell’agricoltura. Le imprese italiane coprono comunque diversi settori, tra i quali quello energetico, edile, dei trasporti e del ripristino o rinnovamento delle infrastrutture portuali e viarie. Più di recente si sono impiantati in suolo libanese anche istituti italiani di credito ed assicurativi e imprese specializzate nella comunicazione e nelle nuove tecnologie IT.

Conclusioni

Questa analisi ha preso spunto dalla recente visita di esponenti dell’apparato diplomatico e di governo italiano in Siria e Israele per scandagliare lo stato dei rapporti e delle implicazioni tricolore in quel settore geopolitico. Tralasciando la Palestina che meriterebbe uno studio attento e dedicato, è stato considerato brevemente anche il Libano, paese nel quale l’Italia è presente anche sul piano militare.

I dati economici dimostrano che il commercio è florido con tutti e tre gli Stati, laddove però con Israele dà luogo a transazioni dal valore doppio rispetto alla contropartita siriana. Nel caso libanese invece i valori sono ben più limitati per i diversi motivi summenzionati. Osservando il paniere dei beni scambiati si nota anche come con lo Stato ebraico prevalga la tendenza a esportare merci dal contenuto tecnologico (ad esempio le componenti per la navigazione spaziale) o frutto della ricerca (come ritrovati farmaceutici). Nel caso siriano invece i beni venduti si limitano a macchinari per l’industria o a prodotti come il cemento. In molti casi gli italiani vendono anche le proprie competenze specie nel campo ingegneristico e delle infrastrutture. È palese che questo squilibrio deriva da una differenza nella struttura dei rispettivi sistemi economici: la Siria necessita ancora di tutti quegli elementi, come una rete ferroviaria rapida e capillare, che costituiscono le precondizioni allo sviluppo, senza contare problemi come l’approvvigionamento energetico o la pressione sociale che potrebbe derivare da una fase di liberalizzazione poco controllata.

L’ampio spazio che la “questione siriana” ha occupato in questo articolo è indice dell’importanza che Damasco riveste a est del Mediterraneo, sia come partner commerciale (per l’Italia ma non solo) sia come interlocutore con quella parte del mondo arabo/islamico che si suppone non sia moderato. Quello di al-Asad è pur sempre un regime. Tuttavia piuttosto che essere additato, dovrebbe essere incoraggiato ad una trasformazione, che sulla scia del pensiero di R. Dahl possa sfruttare la leva economica per transitare da una “egemonia chiusa”, se non direttamente ad una “poliarchia” quanto meno a una “egemonia inclusiva”.

Il Libano dal canto suo ha dato segni di sviluppo industriale dopo una fase di stagnazione, ma bisognerà vedere se la macchina politica statale non si ingolferà per un problema tanto antico quanto irrisolto, cioè quello del settarismo. L’Italia ha relazioni sedimentate con tutti e tre questi paesi e ha creato, nel tempo, un terreno fertile per il dialogo e la cooperazione. Il problema resta unicamente di natura politica.

La politica per sua natura è partigiana. In quest’area l’Italia è riuscita ad incunearsi e a beneficiare di rapporti economici, anche tra paesi antagonisti, proprio in virtù di un atteggiamento politicamente cauto per tradizione. Un grave errore sarebbe proprio quello di porre, direttamente o indirettamente, la clausola della “Nazione Favorita” e giacché ufficialmente la diplomazia italiana si è sempre detta favorevole alla risoluzione di tutti conflitti in Medio Oriente ed ha abbracciato la dottrina “dei due Stati”, ne consegue che l’atteggiamento più consono sarebbe quello di mantenere una certa “equidistanza strategica” tra gli attori ed evitare giudizi o accuse ad personam.

* Pietro Longo, dottorando in Studi sul Vicino Oriente e Maghreb (Università l’Orientale di Napoli), è collaboratore di “Eurasia”