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Corruzione e burocrazia, nemici dell’economia

di Alessandro L. Salvaneschi - 26/06/2010

Fonte: liberaopinione



E’ assai singolare la disputa in corso tra economisti keynesiani e antikeynesiani sulla manovra di finanza pubblica. I primi pensano che sia necessario lasciare inalterata la spesa pubblica perché questa, stimolando l’economia, contribuisce alla crescita (più correttamente alla domanda aggregata, di beni e servizi). Essi sostengono che siano, addirittura, necessari stimoli monetari - stampare moneta ovvero prendere denaro in prestito dalle banche centrali - non essendo ancora comprovata l’uscita dalla crisi e ritenendo, quindi, più importante garantire lo stimolo alla economia privata, alla piena occupazione e agli acquisti, che provvedere alla riduzione del deficit statale. I secondi rilevano che, al contrario, tagliando la spesa appena usciti dalla crisi, in un momento di crescita economica  - seppur debole - come quello attuale, l’effetto recessivo sarebbe nullo o, perlomeno, molto molto basso. Inoltre, le correzioni dei conti pubblici basate sulla riduzione della spesa, e non sull’aumento delle tasse, possono incidere più energicamente sul deficit e sul debito pubblico. Sono scuole di pensiero legittime, entrambe con importanti ricerche e studi ed esempi storici volti a supportare le proprie tesi. Intanto, l’Europa nel suo complesso ha scelto la seconda strada. Tutti i governi hanno puntato a misure di contenimento dei deficit di bilancio e di rientro in parametri più consoni del rapporto debito/PIL. L’Italia ha puntato su un contenimento della spesa pubblica e sul recupero dell’evasione fiscale, non nascondendo che la manovra avrà comunque un effetto recessivo immediato - su un Prodotto Interno Lordo previsto comunque in crescita - almeno per il prossimo biennio. Chiunque può proporre le proprie soluzioni ai problemi di bilancio italiani con piena legittimità. Non esistono, a priori, ricette giuste o sbagliate, se sono proposte nell’interesse comune. Certo è che, finite le dispute macroeconomiche, che comunque nel giro di quattro-cinque anni ci mostreranno chi aveva ragione e chi torto, bisogna inquadrare ogni intervento sui conti pubblici italiani in un ambito più particolare, che gli altri paesi europei non devono fronteggiare. La spesa pubblica italiana ha l’aggravante di essere appesantita da costi impropri, che sulle altre economie europee non pesano. Quasi duemila reati l’anno tra corruzione e abuso d’ufficio, con un trend crescente negli ultimi anni,  comportano un costo complessivo valutato, dalla Corte dei Conti e dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione, tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno (3,3-4 punti percentuali di PIL ovvero quasi il doppio della cifra che viene investita ogni anno in diritti sociali, politiche sociali e famiglia). Sei milioni di aziende costrette ad affrontare un costo medio di 12.000 mila euro per impresa (secondo le stime delle associazioni di categoria) per i famosi “lacci e laccioli” della burocrazia, fanno un totale di 72 miliardi (4,8 punti percentuali di PIL ovvero una cifra che copre quasi il costo dell’intero sistema pensionistico). A questi costi va aggiunto l’onere delle mancate liberalizzazioni - ma anche quello delle liberalizzazioni e privatizzazioni fatte male - che danno un valore stimato (forse per difetto dalle associazioni favorevoli al libero mercato) in 40 miliardi (2,6 punti percentuali di PIL ovvero una somma molto vicina al costo dell’intero sistema di istruzione scolastico). Queste sono spese che non gravano sul bilancio dello Stato, ma direttamente sui bilanci delle famiglie italiane (maggiori costi per gas, energia elettrica, smaltimento rifiuti, ferrovie, trasporto aereo, trasporto locale, telefonia, credito, commercio). Tali, continuano ad essere i grandi dilemmi del nostro paese che affronta i propri problemi strutturali di bilancio con una manovra che ha un impatto massimo pari a 25 miliardi, quando avrebbe a disposizione, come abbiamo visto, almeno altri 160-170 miliardi se recuperasse la propria efficienza. Ecco, allora, che anche le più giuste ed oneste tesi macroeconomiche saltano per aria quando l’economia si scontra con i flagelli della corruzione e della burocrazia.