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Stato quotidiano

di Simone Olla - 05/07/2010


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Il lontano non è mai stato così lontano, rimosso, escluso completamete dalle invasive (e invasate) cronache del quotidiano: la prospettiva temporale di lunga data è ormai logora e inutilizzata forma d'essere: la modernità è minata nel/dal quotidiano; ecco la postmodernità, quotidianizzazione esplosa dell'esistenza. Viviamo uno stato quotidano, una prospettiva che dura il levarsi e il calare del sole, un sentimento di presenza a progetto.
Lo stato quotidiano è uno stato mentale con il compito di gestire l'attiva passività postmoderna (Michel Maffessoli); nella vita dell'uomo contemporaneo vi è un continuo richiamo al dinamismo declinato in gestione del quotidiano: la politica è gestione del quotidiano e – attraverso i media – gestione quotidiana dell'accadimento politico; il lavoro è gestione di uno spazio/tempo; le relazioni (sociali) sono gestite e filtrate da un mezzo (telefono o internet).
Secondo Jean Baudrillard, rispondiamo con l'indifferenza all'indifferenza subita dal quotidiano: «Siamo in uno stato sociale impazzito: assenti, svaniti, senza significato ai nostri occhi. Distratti, irresponsabili, innervositi. Ci hanno lasciato il nervo ottico, ma hanno snervato tutti gli altri. In questo l'informazione assomiglia alla dissezione: essa isola un circuito percettivo, ma disinnesca le funzioni attive. Resta solo lo schermo mentale dell'indifferenza, che risponde all'indifferenza tecnica delle immagini.»[1]
La gabbia mentaltemporale all'interno della quale siamo costretti a osservare/subire il mondo, per il solo fatto di esistere, legittima e perpetua uno stato quotidiano individuale che, su larga scala, diventa stato quotidiano collettivo ovvero stato quotidiano nazionale: il superamento del quotidiano nazionale passa attraverso la dequotidianizzazione individuale; la crisi in cui versa lo Stato-nazione – crisi di sovranità popolare[2] da ricercarsi nel suo atto di nascita – è (anche) crisi di prospettiva (comune?), isolamento, annullamento. Lo stato quotidiano è alimentato da figure mitiche e da icone: le prime consentono allo stato quotidiano quel minimo di evasione temporale dionisiaca; le seconde – alimentando forma e contenuto delle prime – riportano lo stato quotidiano al qui e ora. Mito e icona contribuiscono al travestimento quotidiano della postmodernità rafforzando quella che Michel Maffessoli ha definito la trasfigurazione del politico; o passaggio dall'ideale democratico all'ideale comunitario, dall'uomo democratico all'uomo comunitario, dall'individuo alle tribù. È innegabile l'emergere di rivendicazioni di carattere etnico, religioso, linguistico, territoriale ma le sole rivendicazioni non bastano a giustificare un ideale comunitario, ancor meno quando tali rivendicazioni sono mosse dall'emozionale.[3] Queste manifestazioni di presenza/esistenza s'inscrivono dentro uno stato quotidiano di reazione a uno stimolo esterno: la condivisione necessita di un progetto per manifestarsi: siamo nell'on/off della relazione. Il principio moderno di cittadinanza, sostiene Alain de Benoist, «non tiene […] conto di lingua, cultura, credenza, sesso, etc., insomma tutto ciò che fa sì che la gente sia fatta in un certo modo e non altrimenti. Tale principio riposa sull'uguaglianza degli individui nel solo ambito del sistema politico, mentre tutto ciò che li differenzia viene confinato nella sfera privata.» La riattualizzazione del domestico segue un percorso parallelo alla saturazione collettiva del politico: gli elementi etnici e culturali della sfera politica sono banditi e confinati nella società civile, nel privato: vi è dunque la necessità di una ridefinizione in termini di spazio e tempo del principio di cittadinanza: «L'esigenza della rappresentanza unica – continua Alain de Benoist – che fa capo alla nazione politica (una sola assemblea deve rappresentare tutti i cittadini) implica che non potrebbero esserci leggi particolari che si applicano ad un gruppo specifico; non ci sono che leggi generali, che si applicano a tutti gli individui al di là delle loro caratteritiche specifiche. La nazione si identifica, allora, non più con il popolo o con la soceità, ma con lo Stato. È costituita dallo Stato e lo Stato coincide con essa.»[4]
Lo stato nazionale rimanda ogni giorno la sua fine partecipando a l'informazione del quotidiano: la macchina mediatica, nel lungo periodo, divide e tribalizza il fruitore – lettore, ascoltatore, telespettatore – che a seconda del giornale letto o dei programmi visti/ascoltati si sente emozionalmente parte di un tutto; quel tutto più vasto è un'esigenza comunitaria caratterizzante la postmodernità ma anche uno sforzo di immaginazione, forse un'illusione, o l'incapacità di fornire un senso fuori dal medium, di essere artefici di destino. Ecco lo stato quotidiano, un'emergenza di simboli e parole, una prigione nazionale che ogni giorno obbliga a un confine: lo stato quotidiano di ogni individuo è un pezzo di stampella del menomato Stato-nazione, ridotto oramai a un impazzito flusso di segni mediatici, a una cartina 1:300.000 appesa alle pareti della scuola dell'obbligo. Lo Stato-nazione è uno stato quotidiano, e la politica sembra giovarsi di questo anacronismo proseguendo nella sua pluridecennale funzione di studio e controllo dell'opinione pubblica (Cristopher Lasch). Ciò non sarebbe possibile senza l'appoggio più o meno diretto dei media: socializzando la popolazione, i media impongono uno stato quotidiano nazionale ad ogni individuo che si interfacci con loro, uno spazio temporale di brevissimo periodo, confinato, entro il quale l'unica libertà concessa è quella di subire la cultura di stato: la quotidianizzazione dell'esistenza rafforza il potere costituito: il tempo – scandito nel quotidiano da media e lavoro – è  un tempo di Stato, ideologico e non a disposizione: questo tempo non è più nostro.

NOTE
[1] Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pag. 148.
[2] Cfr. Alain de Benoist, Cos'è la sovranità in Le sfide della postmodernità, Arianna Editrice, Casalecchio (Bo) 2003
[3] Cfr. Michel Maffessoli, Icone d'oggi. Le nostre idol@trie postmoderne, Sellerio, Palermo 2009 
[4] Alain de Benoist, I principî del federalismo. Oltre lo Stato-nazione in Incursioni n. 2, luglio 2006