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Monocolture, nuovo flagello per l'Africa

di Serena Milano - 05/07/2010


 

 
 
Vi raccontiamo la storia emblematica dell’agricoltura della Guinea Bissau, un piccolo paese incastonato fra il Senegal e la Guinea Konakry.
Guinea Bissau significa riso: la gente mangia mezzo kg di riso al giorno e, se non ha mangiato riso, vi dirà che non ha mangiato affatto. Fino agli anni ’60, ne produceva a sufficienza ed esportava le eccedenze. Alcune varietà, selezionate dai Balanta - principale etnia del paese - erano (e sono) coltivate in acque salmastre, grazie a una tecnica raffinata, che consente di regimare le acque interne (profonde insenature marine), costruendo dighe di terra e mangrovie.
Oggi il numero delle varietà si è ridotto e la produzione è precipitata: non si coltiva riso a sufficienza neppure per il consumo interno. Il deficit è colmato con il riso che arriva a basso prezzo dalla Tailandia. Lo trasportano – nel viaggio di ritorno - le navi che raggiungono le coste asiatiche per portare 100 mila tonnellate di anacardi guineensi. La Guinea, infatti, negli anni ’80, ha puntato su questo prodotto da esportazione, lasciando da parte tutto il resto. L’anacardo, oggi, è la vera moneta del paese; dal mese di maggio, tutti si dedicano alla raccolta e le donne abbandonano gli orti dei villaggi.
Il caso della Guinea è emblematico di quanto sta accadendo in Africa: si passa dall'agricoltura tradizionale - basata sulla diversità – all'agroindustria: che significa monocolture destinate all'esportazione e ricorso alla chimica. Un modello che riduce la biodiversità, distrugge le economie locali, annulla l’identità culturale delle comunità.

tratto da Agricoltura - La Stampa