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Bisanzio, un ponte sulla Grecia antica

di Luciano Canfora - 06/07/2010

  

Fabrizio Conca ha curato l’edizione del secondo volume dell’Antologia Palatina, una raccolta di epigrammi greci risalente al X secolo d.C. Compilata a Costantinopoli da uno studioso bizantino di nome Costantino Cefala, figura di spicco della cultura e della politica del tempo, l’opera raccoglie materiali e temi molto diversificati tra loro. L’importanza dell’opera sta nel suo enorme significato letterario, ma anche storico: essa permette, infatti, di comprendere quale fossero i riferimenti culturali, scientifici e filosofici del mondo bizantino. L’Antologia getta nuova luce su un mondo che, pur permeato di cultura cristiana, teneva in grande considerazione gli autori della tarda antichità.

L’Antologia greca, di cui la Utet ha appena mandato in libreria il II tomo ottimamente curato da Fabrizio Conca, è una raccolta composita di epigrammi e di componimenti anche molto estesi che la dottrina di epoca bizantina ha raccolto e messo in salvo. Il carattere onnivoro della scelta dipende dall’ambizioso progetto alla base dell’iniziativa.
La raccolta è anche il segnale del ridestarsi di un effettivo interesse per la poesia antica nel Medioevo greco. Raccolte di epigrammi si erano venute costituendo già dall’epoca ellenistica. Quando nell’anno 917 Costantino Cefala, «cappellano» della corte imperiale, mise insieme i quindici libri dell’Antologia, vi incluse materiali che si erano venuti stratificando nel tempo e li classificò sulla base del contenuto (votivi, erotici, funerari eccetera). Ma prudentemente mise in prima fila quelli, noiosissimi, cristiani (libro I). Nel 1299 il monaco Massimo Planude mise insieme un’altra raccolta (sette libri) che in parte raccoglieva gli stessi materiali, in parte materiali non compresi nell’Antologia maggiore (circa 390 epigrammi, che i moderni stampano in appendice all’Antologia greca come libro XVI). Dell’antologia di Planude si conserva l’autografo, nella Biblioteca Marciana di Venezia. Della raccolta maggiore fu ritrovato alla fine del Cinquecento il prezioso manoscritto, che entrò nella prestigiosa e ricca biblioteca-simbolo della cultura protestante, la Biblioteca Palatina di Heidelberg. […]
La storia dei testi si intreccia ab origine con la storia del mondo circostante, anche se talvolta questo dato essenziale viene dimenticato: il che contribuisce a far apparire gli studi sull’autenticità come vecchiumi remoti. Ricco e a tratti modernissimo è il contenuto di questa raccolta. Il tomo ora in libreria comprende i libri VIII-XI. Il libro VIII include gli epigrammi di Gregorio di Nazianzo, personaggio gigantesco, e complesso, della cristianità tardo-antica. Il IX, del quale diremo ora, comprende quelli «epidittici». Il X e l’XI sono molto più vivaci e, secondo il punto di vista, anche divertenti.
Nel IX ci sono epigrammi che valgono anche come rilevantissimi documenti storici. Ci riferiamo a quel manipolo di epigrammi di Leone il filosofo (790-869 d.C.) che descrivono i libri profani che Leone fece ricopiare. L’importanza di queste «tracce» è enorme. Leone infatti è, insieme con suo zio Giovanni il Grammatico, un personaggio chiave di quella che è stata chiamata la «Rinascenza iconoclastica». Giovanni il Grammatico fu patriarca di Costantinopoli dal 21 gennaio 837 al 4 marzo 843 e impersonò la scelta austera ostile al culto, notoriamente idolatrico, delle immagini sacre. (La vicinanza dell’Islam anch’esso ostile alla voga paganeggiante delle immagini aveva il suo peso). Giovanni mise insieme una raccolta di testi cristiani che militavano contro tale culto. Questa raccolta fu realizzata nell’814 e segnò la ripresa della ricerca dei libri travolti nei secoli «ferrei» e bui (VII e VIII). La ricerca dei libri da lui promossa si volse in tutte le direzioni: e vennero fuori libri sepolti «nei conventi e nelle chiese» dice una fonte: anche profani. Era quello il momento in cui si cominciava a ricopiare nella nuova scrittura minuscola ciò che sembrava di maggior interesse e degno di essere conservato.
Ecco perché sono importanti le segnalazioni librarie che il nipote di Giovanni, Leone il filosofo (allineatosi opportunisticamente alla vincente ortodossia favorevole alle immagini), dissemina nei suoi epigrammi. E colpisce la materia da lui prescelta: il libro di Meccanica di Quirino e Marcello (Antol. IX, 200), l’Introduzione alla astronomia e all’influenza degli astri di Paolo di Alessandria (IX, 201), l’opera sulla geometria di Proclo e l’astronomia di Teone (IX, 202). Teone era il padre della geniale Ipazia massacrata nel 415 d.C. da fanatici monaci cristiani su istigazione del terribile vescovo Cirillo. Segue un epigramma attribuito a Leone ma anche, dubitativamente, al grande patriarca Fozio (IX, 203). È una ammirata segnalazione del romanzo di Achille Tazio Leucippe e Clitofonte. Romanzo insigne per la ricchezza di intrecci, di avventure, di audace erotismo.
Insomma questo IX libro dell’Antologia apre una finestra su una realtà cruciale: ci accosta a quelle importanti figure dell’alta cultura di Bisanzio — allora vera capitale del mondo «civilizzato» a fronte di un Occidente più rozzo e arretrato —, le quali hanno tentato di conciliare la cappa soffocante della ortodossia religiosa con l’apertura mentale. Leone e ancor più Fozio sono personaggi simbolo di tale sforzo. Che è poi il modo con cui la chiesa ha saputo giocare su più tavoli tentando di conciliare antico e moderno, tolleranza e oscurantismo. Un gioco che dura ancora.

Antologia Palatina, Volume II, Utet, pp. 918, € 115, a cura di Fabrizio Conca.