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Berlusconi allo showdown?

di Andrea Colombo - 13/07/2010



Ha detto che ci pensa lui, e non è che possa fare altrimenti. La matassa è tutta nelle sue cavalieresche mani, ma che Silvio Berlusconi riesca a rintracciarne e poi scioglierne il bandolo, su questo oggi non scommetterebbe neppure il più temerario tra i giocatori d’azzardo. Non significa che la crisi di governo sia dietro l’angolo. Dopo oltre 15 anni di indefessa attività politica, il modus operandi di don Silvio dovrebbe essere noto: nonostante i ruggiti e le minacce sinora non ha mai comportato strappi. Neppure quando, come nel 1994, solo il coraggio di uno strappo offriva qualche chances di permanenza al potere.

Forse le cose sono davvero andate troppo avanti, e rattoppare alla meno peggio la lacerazione già consumatasi nel Pdl si rivelerà impossibile. Più probabilmente, i duellanti già cofondatori del partitone riusciranno a inventarsi qualche surreale alchimia per rinviare l’ultimo showdown. In questi casi, si sa, l’immaginazione dei politici italiani è senza limiti e senza freni. Ma queste sono considerazioni importanti solo nell’immediato. Se si allarga appena un po’ la visuale, invece, c’è poco da dubitare su quale sarà il corso degli eventi. La crisi con cui Silvio Berlusconi è oggi alle prese, sia che esploda subito sia che invece si trovi il modo per rinviarla di qualche mese o persino di un paio d’anni, è terminale e coinvolge a pieno titolo non solo questo governo ma l’intero sistema che, sia pur claudicando, regge l’Italia da oltre quindici anni.

È la differenza fondamentale tra la tempesta che sta incubando e le molte che hanno sin qui costellato il travagliato percorso della seconda Repubblica. Stavolta sono le fondamenta stesse dell’intero edificio, da sempre fragilissime, che si avviano a cedere. All’orizzonte non c’è la caduta di un governo, ma la fine del berlusconismo e, dunque, della seconda Repubblica. Perché le due definizioni sono in realtà sinonime: di questa Repubblica Silvio Berlusconi è stato il cuore e il dominus assoluto, e solo i più ingenui possono credere che il berlusconismo riguardi solo la destra e non, in misura identica, anche il centrosinistra. Non è una coincidenza se, allo smottamento del Pdl, corrisponde, specularmente, lo sfacelo del suo principale avversario. Diversi per molti aspetti, il Pdl e il Pd sono identici per parecchi altri: entrambi partiti mai davvero nati, mai riusciti a dotarsi di identità e progetto, di personalità politica. A parte il fatto, e non si tratta di un particolare, che il vuoto dell’uno è stato riempito e celato dalla dilagante personalità del fondatore, capo e padrone, mentre quello del secondo si è manifestato da subito, apertamente, in tutta la sua desolante inconsistenza.

È comprensibile che, mentre l’impero politico del Cavaliere si avvia al declino, si freghino le mani soddisfatti tutti quelli che, in questi anni, hanno pensato che fosse lui e lui solo il problema dell’Italia: un cancro estirpato il quale tutto tornerà come prima e meglio di prima, nella felicità di un paese finalmente liberato dal conflitto di interessi, dal braccio di ferro tra il politico più importante della repubblica e il potere togato, dalla presa maligna del grande corruttore.

È una lettura superficiale e molto, molto pericolosa. Silvio Berlusconi, in politica come nella fase precedente della sua vita, è stato soprattutto un furbo affarista, certo non un dittatore. Il berlusconismo ha portato danni immensi nella cultura diffusa e nella mentalità dell’Italia, ma ha anche, spesso, fatto da freno a spinte e pulsioni profonde ben più minacciose. Pochi, oggi, ricordano che, quando il padrone di Mediaset mise sul mercato politico il prodotto chiamato “Forza Italia”, la Lega Nord aveva già conquistato la maggioranza assoluta Milano e dilagava sopra la linea del Po: era, se possibile, una Lega anche peggiore di quanto non sia oggi. Pochissimi rammentano che l’onda giustizialista, cavalcata già allora con rara incoscienza dalla sinistra, stava già indirizzando il paese verso culture intimamente di destra ovunque, al nord come a Roma e nel meridione.

La fine del berlusconismo, dunque, non sarà affatto automaticamente la Liberazione, un nuovo 25 aprile. Rappresenta, al contrario, un bivio. È possibile che questo paese colga l’occasione per liberarsi non solo da Silvio Berlusconi ma anche dalla presa dei poteri che, negli anni della sua centralità assoluta, hanno riscritto di fatto la Carta fondando l’Italia sulla disparità e sull’ingiustizia. È altrettanto possibile che, invece, l’uscita di scena dell’affarista di Arcore spalanchi le porte a una destra ancor più incarognita e feroce, più determinata nel perseguire un metodico attentato a ogni libertà, più spregiudicata nello stringere alleanze con quei medesimi poteri che, farneticando di modernizzazione, hanno riportato l’Italia a una dimensione da XIX secolo, col 50% della ricchezza in mano al 10% della popolazione.

Però a decidere tra questi indirizzi alternativi non sarà un lancio di dadi, il capriccio bendato del caso, bensì, in larga misura, la capacità della sinistra politica, sociale e culturale di affrontare la sfida di una crisi di sistema al livello che questa esige, rinunciando al piccolo cabotaggio, ai calcoli furbetti, alla meschinerie politiche che la hanno negli ultimi quindici anni devastata. Se non ne sarà capace, non è affatto escluso che, tra dieci anni o giù di lì, ci troveremo a rimpiangere Silvio Berlusconi, proprio come oggi molti, dopo averla a lungo combattuta, rimpiangono la Democrazia cristiana.

L’articolo

FINE DEL BERLUSCONISMO

è stato pubblicato dal settimanale Gli Altri, nell’edizione di venerdì scorso, 9 luglio, ed è qui ripreso per gentile disponibilità dell’ Autore e della Direzione.

La redazione