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Quando la scienza usa la lingua della poesia

di Edward O. Wilson - 13/07/2010


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Non è vero che il linguaggio degli scienziati sia il regno del freddo raziocinio e che solo quello degli artisti sia emotivamente coinvolgente.
Per conservare le forme viventi sulla Terra, i due codici vanno combinati


I prodotti della scienza e delle arti creative differiscono radicalmente nello stile e negli obiettivi. La conoscenza scientifica rappresenta ciò che sappiamo del mondo materiale e delle leggi per mezzo delle quali esso funziona. Le asserzioni scientifiche sono fattuali, in altre parole esse sono basate sull´evidenza fisica, trasparente e replicabile. Un articolo scientifico comincia descrivendo l´oggetto su cui si è condotto lo studio. Con precise citazioni, l´articolo riconosce il lavoro svolto dagli scienziati che hanno contribuito alla conoscenza dell´oggetto della ricerca. Il riconoscimento è cruciale, nella cultura scientifica, non solo per inquadrare l´argomento, ma per attribuire il giusto merito agli autori che ci hanno preceduto. Il riconoscimento delle proprie scoperte e la reputazione che ne deriva rappresentano la moneta corrente nel regno della scienza. Il resto sono chiacchiere.
In quasi tutti i casi, una scoperta scientifica è riconosciuta come tale dagli altri scienziati solo quando è stata sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sotto forma di articolo da una rivista specializzata che gli esperti ritengono confacente all´argomento trattato. L´articolo deve indicare le procedure e i materiali utilizzati nella ricerca, il modo in cui i dati ottenuti sono stati analizzati, e le conclusioni derivate dall´analisi. Sono permesse alcune digressioni, anche di carattere speculativo, al fine di allargare la discussione, ma sono scoraggiate le metafore non essenziali e l´espressione di emozioni.
Qui troviamo la differenza fondamentale tra la scienza e le arti creative. Le metafore utilizzate per evocare emozioni sono proibite nei rapporti scientifici, ma sono la ragione primaria – oso dire l´anima? – dell´arte.
Questo vuol dire che la scienza è freddo raziocinio mentre solo le arti creative sono emotivamente coinvolgenti? È questa la differenza fondamentale tra loro? Niente affatto. Lo scienziato di successo ragiona come un poeta e lavora come un contabile. Ma nella sua mente la poesia non si affievolisce mai. Nei dialoghi di corridoio e in altri incontri informali, gli scienziati colpiti da una particolare pubblicazione ne discutono l´importanza, l´eleganza, la bellezza. E coloro che scrivono di scienza con intenti divulgativi sono liberi di usare gli strumenti emotivi della poesia, senza per ciò tradire lo spirito scientifico. Non è un errore scrivere in maniera artistica di scienza.
Un aneddoto personale può illustrare come scienza e poesia interagiscano creativamente nell´emergere da una stessa fonte estetica. Appena laureato, nei primi anni Cinquanta, ero rimasto incantato dalla teoria della dominanza faunistica formulata dai biogeografi americani William Diller Matthew e Philip J. Darlington. In breve, essi erano giunti alla conclusione che certi gruppi di animali, come la famiglia dei canidi (Canidae) e i roditori comuni (Muridae), dopo essere comparsi in certe parti del mondo, in particolare nei climi temperati dell´Eurasia o nei tropici del Vecchio Mondo, si diffusero per tutto il globo sostituendo i gruppi fino ad allora dominanti (per esempio, i marsupiali) e occupando le loro nicchie ecologiche.
Questo grande modello ciclico di dominanza era per me la biologia al suo meglio, epico e nobile. Ero affascinato da una domanda che sembrava non avere risposta: come e perché, nel corso di milioni di anni, alcuni gruppi si impongono come dominanti e altri si estinguono?
Ebbi la possibilità di esaminare la questione quando, poco più che ventenne, ricevetti una borsa di studio per studiare le formiche del Pacifico meridionale. Viaggiando per gli arcipelaghi della Melanesia, dalla Nuova Guinea alla Nuova Caledonia, ricostruii la distribuzione di centinaia di specie di formiche, deducendo origine e direzione della loro diffusione, e identificai le nicchie ecologiche occupate da ciascuna specie.
Durante questo periodo da contabile, avevo ben chiaro di essere il primo a studiare un grande ciclo di dominanza faunistica a livello di singola specie. Ma un giorno in cui non ero impegnato nella ricerca, in uno di quei momenti che ci fanno esclamare a-ha!, riconobbi la componente ecologica del processo di successione, che combinata con la moltiplicazione delle specie chiamai il «ciclo del taxon».
Il ciclo del taxon è stato foriero di nuovi sogni, metafore, fantasie, quasi sempre evocate in soliloqui o durante conversazioni con altri biogeografi. Il risultato fu un nuovo prodotto dell´immaginazione: l´equilibrio delle specie o, come lo chiamavamo all´epoca, la saturazione delle specie. E la domanda che ora si presentava era: esiste un limite al numero delle specie che possono abitare una certa isola, così che quando una specie colonizzatrice si insedia, in media, una specie residente si estingue? La risposta, se mai fossimo stati in grado di offrirla, avrebbe aiutato a spiegare la storia complessiva della dominanza faunistica. E di qui, ancora, altri sogni, entusiasmi, piste false e piste giuste, metafore.
A questo punto, nel tentativo di formulare la risposta corretta, unii le mie forze con Robert H. MacArthur, un giovane e brillante ecologo e matematico. L´anno era il 1960; io avevo trentun anni e MacArthur trenta (sarebbe morto nel 1972, una grande perdita per la scienza). Elaborammo insieme la «teoria della biogeografia delle isole», per fornire alcune risposte parziali alla questione chiave dell´equilibrio delle specie – sapevamo bene che tutte le teorie scientifiche sono sempre parziali.
La teoria della biogeografia delle isole sarebbe poi risultata fondamentale per la nascita di discipline emergenti come gli studi sulla biodiversità e la biologia della conservazione. Prevedere il destino delle isole è davvero importante. Il mondo naturale è stato convertito dagli esseri umani in arcipelaghi sempre più frammentati: foreste e praterie sono state spezzettate dalle attività umane in un mosaico irregolare; l´innalzamento di dighe ha separato i corsi d´acqua l´uno dall´altro e gli affluenti dal fiume principale; i laghi sono stati trasformati in stagni da siccità artificiali causate dall´uomo.
Al fine della conservazione delle forme viventi della Terra, scienza e arti creative vengono combinate assieme. Era questo uno degli scopi del mio recente romanzo, Anthill (La collina delle formiche), che racconta la storia di un ragazzino, cresciuto nelle campagne dell´Alabama, che dedica la sua vita a salvare un frammento di un´antica savana su cui incombe la minaccia di deforestazione da parte degli alfieri dello sviluppo.