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Il continente nero, sempre più cortile di casa yankee

di Federico Dal Cortivo - 13/07/2010

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Gli Stati Uniti dall’Amministrazione Bush hanno sempre più considerato l’Africa come il futuro “spazio vitale” per la ricchezza di materie prime, tra cui il petrolio, indispensabili alla propria economia sempre alla ricerca di nuovi territori da saccheggiare, ora più che mai vista l’attuale crisi economica e l’incrinarsi dell’egemonia sull’ex cortile di casa, l’America Latina. Ma il cosiddetto “volere di Washington” in Africa ha come scopo anche il contrasto della sempre maggiore penetrazione cinese in questo continente, dove Pechino ha stretto rapporti commerciali di grande rilievo con numerosi Stati africani, necessari a soddisfare la sempre crescente domanda della propria economia in crescita.
In passato la presenza militare statunitense si era manifestata in Africa con l’US European Command che poneva sotto di sé alcune nazioni africane, poi fu la volta dello Strike Command, divenuto poi nel 1971 Readiness Command e successivamente del CentCom e Pacific Command, ma solo nel 2007 il Pentagono annunciò la creazione di un comando tutto dedicato all’Africa.
Si è così delineata chiaramente la nuova struttura militare che rappresenta la chiara volontà di Washington di rafforzare la sua presenza militare in modo considerevole e con capacità di risposta in tempi brevi.
Posta sotto il comando del Generale William E. “Kip” Ward, l’Africom è composta da tutte le armi delle forze armate, Esercito, Marina, Aeronautica e Marines, i cui comandi sono dislocati in Italia Vicenza Us Army Africa Setaf, Napoli Us Navy Africa, in Germania Us Air Force Africa a Ramstein, Us Marine Corps Africa a Boeblingen e lo Special Operation Command Africa a Stoccarda, infine a Camp Lemonier a Gibuti Africa Orientale vi è il Combined Joint Task Force-Horn of Africa. Il Pentagono sta valutando la possibilità di mettere a disposizione di Africom ulteriori forze per accrescerne la prontezza operativa, 1000 Marines aerotrasportati, capaci di essere dispiegati rapidamente sui vari teatri operativi. Con la scusante della “lotta al terrorismo internazionale” Washington ha così stretto legami militari e diplomatici con diversi Stati africani seguendo tre direttrici principali, quella diplomatica, quella militare e di sviluppo, quest’ultima variante è come sempre un legare al proprio modello economico in posizione di subordine gli “alleati”.
Accanto al Generale Ward, è stato messo l’ambasciatore Anthony Holmes, per meglio coordinare i rapporti con gli Stati africani in vista di un impegno sempre maggiore nel continente, considerato oramai “strategico”. Tutto questo in linea con l’ultimo “Quadrennial Defense Review”presentato a febbraio di quest’anno, che ha visto un aumento delle spese militari del 2%, con uno stanziamento di 708 miliardi di dollari per il 2011 (compresi 160 miliardi di dollari per la guerra in Iraq e Afghanistan). Per il 2010 all’Africom dovrebbero aspettare 278 milioni di dollari per le operazioni e altri 263 milioni di dollari per la logistica, strutture, mezzi ecc.
La macchina bellica statunitense si appresta così a sbarcare in forze in Africa, dove già periodicamente sono effettuate esercitazioni militari congiunte in Mali, Nigeria, Marocco, Senegal.
Le ragioni geopolitiche di questa nuova propensione africana degli Stati Uniti vanno ricercate nel peso che Pechino sta avendo sempre più in Africa, grazie anche a una politica di non ingerenza negli affari interni dei Paesi interessati, in questo differenziandosi dagli Usa che prediligono da sempre il poter controllare e manipolare a piacimento i cosiddetti “governi amici”.
Con l’adozione del “Socialismo di mercato”, versione riveduta e corretta del comunismo, la Cina si è affacciata sulla scena mondiale in forze con l’imperativo di acquisire quando prima fonti energetiche in grande quantità e a buon prezzo. Sono note da tempo le buone relazioni con alcuni Stati dell’America Latina, Brasile e Venezuela in primis, svolte su un piano paritario, cosa che non guasta nel nuovo corso che questo continente sembra avere preso, a seguire gli accordi con Russia, India, Iran e Sud Africa.
Ma la partita più importante si gioca in Africa, dove ancora immense ricchezze minerarie e petrolifere sono disponibili. Il Dragone cinese è presente con investimenti di oltre 20 miliardi di dollari, in infrastrutture importanti quali ponti, centrali elettriche, strade.
Ottimi sono i rapporti con l’Angola e Sudan, e accordi sono stati fatti con l’Algeria ed Egitto dove sono presenti oltre 150 imprese cinesi. In Sud Africa è stata acquistata la Standard Bank, la maggiore banca di questo Paese ricco di minerali, tra cui oro e diamanti.
In Sudan, la scoperta di ricchi giacimenti petroliferi ha attratto l’attenzione della China National Petroleum Company, l’8% del petrolio cinese arriva proprio da questo Paese. In Algeria la China Petroleum & Chemical Corporation e la China National Petroleum hanno le gestioni dei pozzi più importanti, ma all’elenco si possono aggiungere la Nigeria, suo terzo fornitore africano di petrolio, il Senegal, Ciad, la Guinea con i suoi giacimenti petroliferi e il Camerun dove sono presenti gas naturale e petrolio.
Oggi i fronti in cui sono schierate le Forze Armate degli Stati Uniti aumentano invece di diminuire, la talassocrazia Nord Americana non può fare a meno delle risorse del cosiddetto Terzo Mondo, e così deve schierare sempre più truppe, aerei, navi in ogni angolo del globo. Uno sforzo non indifferente anche per chi destina ingenti somme alla Difesa, se pensiamo che nel lasso di tempo 2001 -2011 il bilancio del Pentagono è aumentato del 40%, e considerando le spese di guerra arriviamo al 70%. Uno vero e proprio stato di guerra permanente, anche se non dichiarato, con 400 mila uomini schierati nei vari teatri operativi nei vari continenti, come si vede da Bush a Obama nulla è cambiato.