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Mamma li turchi

di Romolo Gobbi - 15/07/2010

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Alla fine degli anni novanta la rivista di geopolitica Limes, del gruppo editoriale l'Espresso, inneggiava alla "Nuova alleanza" tra Turchia e Israele: "Addio caro vecchio Medio Oriente! Sotto i nostri occhi sta emergendo uno spazio geopolitico nuovo, dal Mediterraneo orientale alle frontiere cinesi, con al centro il duumvirato turco-israeliano, patrocinato dagli Stati Uniti". Si parlò addirittura di "rivoluzione geopolitica". In realtà si trattava di un'alleanza militare, che consentiva alla Turchia di ottenere da Israele tecnologia militare avanzata. L'accordo, siglato il 26 agosto 1996, premetteva "all'esercito turco - con la benedizione del Pentagono - di acquisire armi e tecnologie che esso non può sperare di ottenere in Europa o negli Stati Uniti a causa delle violazioni dei diritti umani e del suo conflitto con la Grecia". Con un accordo firmato sei mesi prima tra Turchia e Israele erano previsti: "lo scambio di visite, di delegazioni, di navi ed aerei delle rispettive forze armate (...) e le due aviazioni militari possono dispiegarsi otto volte l'anno, previo coordinamento tra le parti, sugli aeroporti militari dell'altro partner". Con questi accordi, Israele otteneva l'allargamento della sua strategia di deterrenza nei confronti di Iran, Siria e Iraq, tutti confinanti con la Turchia. Infine, ma non meno importante, Israele ottenne 150 milioni di metri cubi di acqua dalle abbondanti riserve turche. Quanto alla Turchia, l'accordo con Israele sembrava esprimere un "revival della mitologia panturanica, l'ideologia geopolitica che offre ai dirigenti turchi vasti orizzonti di mobilitazione. Spazi immensi, superiori alla taglia economica e strategica della sola repubblica di Ataturk, perciò obbligata ad associarsi a israeliani e americani".
A parte le nostalgie dell'Impero Ottomano, la Turchia con queste nuove alleanze cercava di uscire dall'empasse in cui si trovavano le trattative per l'adesione dell'Unione Europea.
Tutti questi scenari mitici sono tramontati improvvisamente il 31 maggio di quest'anno, quando commandos israeliani hanno attaccato in acque internazionali la nave Mavi Marmara, che portava aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, uccidendo nove attivisti turchi filo-palestinesi. Immediatamente, la Turchia ha richiamato il proprio ambasciatore a Tel Aviv, mentre il presidente Erdogan, in visita in Sud America, ha definito l'episodio come "terrorismo di stato". Il presidente turco ha quindi spiegato che "Israele ha calpestato tutte le leggi internazionali, aggredendo una nave che portava generi di prima necessità a persone sofferenti". Erdogan inoltre si proponeva di sottoporre alla NATO, di cui la Turchia è membro effettivo fin dagli anni '50, l'episodio che poteva anche configurarsi come attacco ad una nazione alleata. Nei giorni successivi, "L'ONU ha detto si alla Commissione d'Inchiesta, ma gli USA chiedono che venga affidata ad Israele, mentre Turchia e Paesi Arabi vogliono un'indagine indipendente". Contemporaneamente, la Turchia pretendeva il rilascio immediato di tutti gli attivisti turchi, mentre "le famiglie dei diplomatici israeliani lasciavano ieri a precipizio l'ormai minacciosa Ankara". Il giorno dopo, il presidente della Repubblica Turca, Abdullah Gul, ha dichiarato: "Da questo momento, i rapporti turco-israeliani non saranno più gli stessi: questo incidente ha lasciato una cicatrice irreparabile e profonda. Israele ha commesso uno degli errori più gravi della sua storia". Una dichiarazione altrettanto drastica è stata rilasciata il 4 giugno dal presidente Erdogan in appoggio dei militari di Hamas: "Si tratta di patrioti che difendono la loro terra dall'oppressore".
Nel frattempo l'ONU approvava una nuova risoluzione contro l'Iran, senza l'approvazione della Turchia, che nel mese precedente aveva firmato con l'Iran, in accoppiata con il Brasile, un accordo nel quale venivano accettate le richieste dell'ONU, per non arrivare a nuove sanzioni: "La Turchia è preoccupata che la decisione del Consiglio di Sicurezza possa nuocere agli sforzi diplomatici e lla finestra di opportunità per una soluzione pacifica sulla questione del programma nucleare iraniano".
Ma è sulla questione dell'attacco israeliano alla Navi Marmara che le posizioni di Ankara restano durissime. Questa volta, a parlare è stato il ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu, che, il 5 luglio, ha dichiarato ai giornalisti: "Israele ha tre possibilità: si deve scusare, deve accettare i risultati di una commissione internazionale che investighi sul raid o la Turchia taglierà i rapporti". Non solo: "Davutoglu ha confermato ai giornalisti che la Turchia ha chiuso il suo spazio aereo a tutti i velivoli militari provenienti dallo Stato Ebraico". Il giorno dopo, intanto, il presidente israeliano incontrava Obama a Washington e, a conclusione di grandi sorrisi e vecchie promesse sulla costituzione di uno stato palestinese, ha dichiarato: "se fate attenzione a tutte le mie dichiarazioni pubbliche degli ultimi 18 mesi, vedrete che c'è una costante riaffermazione della nostra solida partnership".
Questo appoggio sviscerato a Israele, anche nell'affare Navi Marmara, potrebbe pregiudicare la più vecchia alleanza tra USA e Turchia. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni altisonanti di tutte le parti, resta il fatto che, secondo il New York Times, i rapporti tra Turchia e Israele non sono molto cambiati: "I due Paesi continuano a fare affari come al solito"