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Perche' tanti falliscono pur avendo buone idee e ottime capacita' lavorative?

di jacopo fo - 19/07/2010

Fonte: jacopofo

http://www.turismomatera.it/warehouse/photos/artigiano_lavora_largilla_sul_tornio.jpg

Ci ho messo quei trent’anni e passa ad arrivarci ma alla fine ci sono riuscito.
In tutti questi anni ho potuto realizzare molto, e di questo ringrazio la fortuna. Sono meriti miei invece i numerosi fallimenti.
Negli ultimi 35 anni si e' ripetuta innumerevoli volte la scena del fallimento di un mio grande progetto.
Fino ad un certo punto andava tutto bene, si ottenevano buoni risultati ma poi a un certo TRACK, tutto andava a sbattere contro un muro invisibile.

Faccio un esempio: realizzi una serie di incontri con un comune, viene fuori un progetto strepitoso, inizi a lavorare, realizzi un primo intervento di efficienza energetica a costo zero, funziona tutto, tutti sono entusiasti, tu tiri fuori un progetto di ristrutturazione globale del sistema energetico, tutti sono entusiasti. Il progetto parte, poi rallenta e muore. Hai ottenuto 10 ma quando cerchi di smuovere 100 succede qualche cosa. Cambia il sindaco, si ammala, diventa buddista, si innamora di una minorenne.
Ogni volta che succedeva una di queste sfighe mi dicevo: “Puo' capitare… Qualche cosa e' andata storta…  riproviamo…” Ma poi passano gli anni, i decenni, tu ti sforzi come un pazzo a limare, migliorare, riorganizzare, aspetti una nuova onda positiva curando piccoli gioiellini ben fatti, arriva l’onda, parti, tagli il traguardo per primo alla prima tappa, trionfo, poi al traguardo della seconda tappa, quella con il super premio, non ci arrivi mai.
Elencare tutte le volte che abbiamo vinto la prima tappa e perso il Giro D’Italia sarebbe lungo e noioso. Ma sono proprio tante.
A un certo punto ho pensato di avere una tara che mi impedisce di andare oltre un certo livello.
Poi, in un periodo di depressione, ho iniziato a sospettare di essere finito su di una lista nera dei reietti.
Da un certo punto in poi ho avuto una sorta di illuminazione prerazionale. Non me la sono piu' sentita di buttarmi da solo nelle storie. Se trovavo una persona molto quadrata che ci stava avevo il doppio di probabilita' di riuscita. Cosa volesse dire poi “Trovare una persona piu' quadrata di me” non mi era chiaro. Andavo a tentoni.

Qualche giorno fa, discutendo con Gaetano e Dario delle difficolta' enormi che incontriamo a convincere i sindaci a compiere scelte di efficienza energetica, ho capito che cosa non avevo capito.
Una grande luce si e' accesa nel mio cervello e io mi son detto: “Sono un idiota.”
La soluzione del problema che mi ha angustiato per decenni e' ovvia, banale.

La mia idea e' che io vado da un sindaco, gli parlo, gli spiego cosa potrebbe fare, gli porto esempi realizzati e verificabili, credenziali scientifiche, certificazioni, avvalli di enti rispettabili, un pacchetto semplificato, preconfezionato. Tutto perfetto, tutto in ordine, tutto chiaro, onesto, trasparente e conveniente, e non faccio la cosa essenziale.

Vorrei spiegarmi bene, cosi' mentre lo spiego lo capisco meglio anche io, perche' e' un’idea nuova.
Allora: cosa porta un sindaco a decidere di compiere un’azione elementare come isolare termicamente tutti i tetti del comune?
La convenienza, il buon senso, gli ideali ecologici?
No. Il meccanismo e' completamente diverso.
E non sto parlando di un sindaco corrotto, no, parliamo di un bravo sindaco che vuole il bene dei cittadini.
Il mio errore e' pensare che il sindaco ha tutto il potere.
Il sindaco non ha il potere, e' un mediatore. E’ uno strano animale che e' riuscito a convincere persone che a volte si odiano a mettersi insieme per farlo diventare sindaco.
Tra la sua intenzione di isolare il tetto e la realizzazione di questo progetto c’e' di mezzo un mare di eventualita'.
Innanzi tutto il sindaco deve fare 600 cose urgenti e sa benissimo che 500 dovra' rimandarle (se tutto va bene).
Se hai mai gestito un’azienda sai che comandare vuol dire in gran parte decidere cosa puoi non fare restando a galla comunque.
Quindi perche' la tua proposta vada in porto deve succedere che una serie di persone, che hanno dei rapporti organici con il sindaco, gli dicano che la tua proposta e' piu' urgente del festival delle lumache sorde e dei problemi che il sindaco ha con l'amante e con sua zia con la sciatica.

Riflettendo su questa questione ho ripercorso la storia delle iniziative di maggior successo alle quali ho partecipato.
E mi sono reso conto che dal Male a Tango ai pannelli solari la costante e' che si sono formate delle squadre di professionisti con caratteristiche umane molto diverse. Teste che funzionavano in maniera diversa. Qualita' particolari.
Oggi penso che avremmo potuto avere lo stesso successo anche senza un paio dei grandi autori che fecero il Male. Ma se mancava Lionello Massobrio non avremmo concluso nulla. Un personaggio molto “diverso” anche se e' un regista. Lui aveva una mente fatta in modo diverso. Dovevamo stampare il primo numero del Male e non avevamo soldi. E nessuno credeva nel nostro progetto e voleva finanziarci. Arriva Massobrio e ci dice: datemi il giornale che ve lo stampo.
Ma tu hai i soldi per la tipografia?
Certo che no!
Porta il giornale in tipografia e gli dice: ti pago tra tre mesi. Poi va dal distributore e lo convince a dargli un anticipo come se avessimo gia' venduto il 25% della tiratura. Poi cerca un’altra tipografia disposta a stampare un numero con pagamento a tre mesi. Un delirio. E non oso pensare cosa sarebbe successo se il quinto numero non fosse andato esaurito, permettendoci di pagare i debiti. Avremmo dovuto fare dei mutui per ripagare tutti. Ma quando Lionello ci spiego' come si doveva fare era tutto cosi' semplice logico, ineluttabile.
Massobrio aveva il dono incredibile di parlare con dieci persone e convincerle completamente. Faceva lo stesso con le donne. Non potevano dirgli di no. Far l’amore con lui era una necessita' improrogabile primaria. Anche se non piaceva non poteva rinunciare. Sarebbe stata una follia!

Ecco, raccontando questa storia ho capito un libro che ho letto 10 anni fa: Il punto critico (I grandi effetti dei piccoli cambiamenti, di Gladwell Malcolm, Edizioni BUR)

Tra le altre cose utili racconta con dovizia di esempi storici che, perche' un nuovo comportamento si diffonda, e' necessaria la collaborazione di 3 tipologie umane: l’esploratore che trova la novita', la prova e si convince che va bene. Poi c’e' una specie di uomo delle tecniche, quello a cui chiedi consiglio se devi comprare un cellulare perche' ci capisce. E infine c’e' il comunicatore, quello che dice: “Avete visto che l’esploratore ha trovato questa cosa buona e l’esperto ha detto che e' veramente buona, anch’io l’ho provata, e' fantastica, se la provi anche tu resterai entusiasta!”
Fino a che questa squadra non si coagula intorno a un nuovo comportamento o prodotto, le cose non si muovono.

Mi sembra un concetto semplice in fondo, quando lo hai capito. La diffusione di un comportamento e' un fenomeno complesso, le persone hanno paura di sbagliare, non hanno voglia di mettersi li' a capire la novita', sono distratte.
Non basta che incontrino qualcuno che gli dice che si possono piantare pomodori migliori, non gli basta neanche vedere un campo di pomodori migliori.
Non e' un fenomeno esclusivamente razionale, non riguarda solo la comprensione. La persona che ha capito che gli conviene cambiare deve poi trovarsi in una SITUAZIONE EMOTIVA DI CAMBIAMENTO caratterizzata da un mix di fascinazione, esaltazione, desiderio, che gli permettano di superare diffidenza e paura del cambiamento e del connesso possibile fallimento.
Ho parlato di pomodori non a caso. Il libro cita uno studio sul tempo impiegato in una certa regione perche' i contadini si convincessero a adottare un nuovo tipo di pomodoro, piu' buono, piu' resistente alle malattie, piu' produttivo. Una qualita' di pomodori veramente e indiscutibilmente superiore, tanto che alla fine tutti iniziano a coltivarla. I primi campi con le prime piantine di pomodori di questa varieta' superiore si diffondono nel 1928, ma ci vogliono 7 anni perche' la meta' degli agricoltori adotti questa novita'. E altrettanti perche' il resto dei contadini si decida a gettarsi nel cambiamento.
Questo ci puo' far capire che la paura e' un cardine essenziale della nostra mente.
Attenzione, la paura ha un funzione determinante anche nello spingere gli innovatori. Solo che fa pressione su circuiti mentali diversi.

Il coraggioso ha il terrore di perdere la possibilita' di avvalersi dell’innovazione. Nella sua mente la paura di perdere un vantaggio (che lo metta al sicuro dai disastri della vita) ha un peso maggiore della paura di subire una perdita per un insuccesso.

Da un certo punto di vista potremmo addirittura affermare che il comportamento dell’innovatore che nel 1928 pianta i nuovi pomodori e' scriteriato. Infatti il danno che potrebbe trarre da un insuccesso e' maggiore del vantaggio che trarrebbe da un successo. L’innovatore gioca d’azzardo, il conservatore va sul sicuro. I suoi pomodori funzionano, ci guadagna bene. Perche' cambiare se persiste il minimo dubbio, la minima possibilita' di insuccesso? Egli cambia solo quando le certezze sui nuovi pomodori sono esattamente equivalenti a quelle sui vecchi pomodori.
Tutto questo discorso per dare un’idea della complessita' di valutazioni e paure che giocano intorno alla decisione di cambiare.
Ma torniamo al nostro sindaco che deve decidere se isolare il palazzo del comune, e mettiamolo vicino a un personaggio, che chiameremo X, che sfiora spesso un deflagrante successo ma raramente lo coglie fino in fondo. Andare fino in fondo presuppone un notevole cambiamento.
Il sindaco soffre di un’affezione alla capacita' di cambiare perche' lo trattiene il senso comune che sta nella testa del suo gruppo di potere.
Mister X soffre di un’affezione che blocca il successo, il cambiamento radicale insito nel successo totale.
Quel che ne viene fuori nella mia mente, e' che esiste un tavolo da gioco, coperto di panno verde e ben delimitato, sul quale si svolge la partita della realizzazione o della non realizzazione di un cambiamento.
Questo tavolo da gioco e' l’universo delle relazioni.
Per questo e' piu' facile vincere quando sei parte di una squadra, perche' piu' persone hanno piu' relazioni, quindi piu' potere relazionale.
Ma questo non sempre e' vero. Una banda di diseredati del Bronx ha infinitamente meno relazioni di una banda di commercialisti milanesi.
E molti studi dimostrano che possiamo calcolare il livello di successo potenziale di un individuo scoprendo di quante persone e' capace di indicare nome, cognome e 5 informazioni sul tipo di vita, lavoro, capacita'.
Ma voglio andare oltre: questi aspetti sono solo una facciata della questione.

Non basta conoscere, bisogna emozionare.

Possiamo misurare il “tasso di relazione sociale” di una persona, ma possiamo immaginare anche un “tasso di relazione emotiva”.
Ci sono persone che conoscono tutti ma che sono considerate da tutti inaffidabili.
Il che vuol dire che quando si forma una squadra di lavoro e' importante sapere che serve qualcuno che abbia carisma emotivo. Ti serve Obama, uno che quando parla alla gente si sente che sta bene.
Persone che hanno la dote di abbassare il livello di paura delle persone. Danno sicurezza.
Attenzione, non per forza poi queste persone devono essere il leader. In una buona squadra nessuno e' il leader. Se c’e' uno che comanda vuol dire che gli altri non sono abbastanza bravi. Ci puo' essere un catalizzatore. E catalizzatore e leader possono essere due persone diverse.

E attenzione attenzione, non e' detto che il comunicatore emotivo carismatico sia quello che parla davanti alla folla, a volte si', a volte no. A volte quello che parla davanti alla folla e' solo uno simpatico che racconta belle barzellette. Ma nessuno gli da' retta se propone nuovi pomodori senza avere dietro qualcuno che abbia credibilita' emotiva.

E qui improvvisamente capisco quale e' il problema di Mister X e quale e' la differenza tra le imprese che hanno avuto pieno successo e quelle che non ne hanno avuto.
La squadra. La squadra e' tutto. Ma non per quello che fa nel suo insieme, internamente, non solo per i prodotti che produce. E’ importante per la sua capacita' di produrre una rete di emozioni, una trasmissione di emozioni attraverso una rete di persone emotivamente ben disposte.

Il risultato di questo discorso mi spiega finalmente che cosa sto facendo ormai da qualche anno, in modo istintivo.
Mi fa capire fino in fondo una cosa che alla grossa in effetti avevo gia' compreso da tempo ma che ora mi appare con una nitidezza e un peso preponderanti.
Mi sembra di scorgere il nucleo.
In pratica bisogna rovesciare un paradigma operativo: “ho una buona idea-la propongo a chi trarrebbe vantaggio dall’usarla” diventa “buona idea-trovo una squadra-la squadra genera un campo emotivo positivo intorno all’idea-qualcuno vuole la nostra idea”.
E la cosa essenziale e' il CAMPO EMOTIVO POSITIVO.
Infatti se guardiamo il mondo vediamo che i malvagi si occupano essenzialmente di questo. Vivono per questo.
La Massoneria, i complotti, i party mondani, i motoscafi, le fondazioni letterarie, i consigli di amministrazione degli enti, i giri di magnaccia e puttane, i sensali, i mediatori, i sostegni elettorali, il clientelismo. Sono tutti sistemi che potremmo inscrivere nella categoria degli strumenti utili a determinare un Campo Emotivo Positivo intorno al disonesto.
Tenere le fila di favori e controfavori, debiti e crediti, contatti e credenziali e' l’attivita' essenziale.
Quel che produce il gruppo e' indifferente, l’importante e' avere i mezzi emotivi per imporre che sia comprato (per MEZZI EMOTIVI in questo caso leggi: mazzette, favori, pistole, ricatti)
Per inciso proprio perche' la costruzione di un campo emotivo e' una cosa di una complessita' che supera le capacita' umane di gestione, io non credo alla possibilita' del successo dei complotti. Essi diventano automaticamente una bolgia di campi emotivi con sottoinsiemi emotivi discordanti. Il complotto si spezza in sotto-complotti con gruppi di complottatori che cercano di fregare altri gruppi per prendere il controllo del complotto.
E questo funziona anche per i complotti dei buoni.
(La soluzione e' la rete capace di cooperare in modo semplice sulle singole azioni senza proiezioni di cervellotici modelli onnicomprensivi. La realta' e' complessa e imprevedibile).

E per finire cosa faro' da grande

Nonostante tutte le meditazioni pacifiste la mia formazione resta militarista. Quindi penso ai 7 samurai.
Forse esiste un film senza spade che racconta come un gruppo di giocatori di qualche sport si mette insieme per formare una grande squadra, ma non me lo ricordo.
E poi nei 7 samurai il processo di aggregazione del gruppo e' grande.
Tutto comincia con due contadini paurosi e ignoranti che partono a cercare dei samurai che difendano il villaggio dai briganti. Per pagarli hanno solo riso. Una follia. Sono loro gli esploratori, i primi eroi della storia. E sono loro che poi riescono a mediare col villaggio. Ma non hanno avuto l’idea. L’idea l’ha avuta un vecchio saggio. E la prima persona che devono trovare e' qualcuno che poi comandi i samurai, uno capace di formare un gruppo, di dare fiducia.
E cosi' via. E il settimo samurai e' un pazzo. Interessante. Nel gruppo devono esserci grandi biodiversita', grande tolleranza e comprensione. E alla fine e' l’elasticita' di questo samurai anomalo e istrionico a risolvere la situazione. Lui in realta' non e' un samurai, e' della casta infima dei contadini. Ma e' lui che diventa il leader, che parla ai contadini del villaggio che hanno paura di combattere. Lui conosce la loro vita. Li insulta, li deride, gli fa vedere che non cambiare sarebbe sicuramente peggio di cambiare, gli mostra che la strada del cambiamento e' l’unica via possibile. E allora, finalmente, si crea una grande squadra. E la tecnica della battaglia sara' quella di dividere gli avversari e poi buttarsi tutti sul gruppo piu' piccolo di nemici. Li ammazzano tutti, due per volta, combattendo sempre in trenta contro uno.

Bene, ti auguro di trovare alla svelta gli altri 6 samurai del tuo gruppo e che siano simpatici.
Questa e' la mission, poi colleghiamo i gruppi di samurai (o di calciatori) e facciamo una super rete di stati emotivi.
L’inquinamento, la fame e la guerra hanno i giorni contati.