Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Prove tecniche di ribaltone

Prove tecniche di ribaltone

di Gianluca Freda - 19/07/2010

   
   

L’assedio si stringe intorno a Berlusconi e sembra che stavolta si sia arrivati alla resa dei conti. Inutile ripetere cose già dette, ma è ormai chiaro che ciò che avviene nella politica italiana ha ben poco a che vedere con dinamiche interne al nostro paese, spesso neppure con gli interessi apparenti dei politici coinvolti negli scandali e nelle intercettazioni che hanno sostituito da tempo sulla stampa ogni discorso sulla direzione politica da imprimere a qualsivoglia settore della vita nazionale. Ciò a cui stiamo assistendo, fra spaccature della maggioranza, “tradimenti” di settori fondanti del PdL, fronda sempre più esplicita degli alleati leghisti, attacchi quotidiani, sempre più feroci, della stampa contro l’esecutivo, proposte di alleanze fra sinistra e finiani, visibile avallo del Presidente della Repubblica alle manovre ribaltonesche in corso, risponde ad un progetto geopolitico elaborato a livello internazionale e che ha come fine ultimo l’eliminazione definitiva del “servo infedele” Berlusconi dallo scenario politico italiano.



Questo assedio, che ha negli ambienti statunitensi la propria mente e nei settori parassitari della finanza e dell’industrialismo assistito d’Italia i propri esecutori materiali, è in corso ormai da molti anni. In origine aveva essenzialmente lo scopo di tenere sotto controllo, attraverso il ricatto costante, l’insofferenza di Berlusconi per ogni forma di direzione dall’esterno che assumesse connotati troppo rigidi. Ma dopo lo “sbilanciamento” dell’arcoreo presidente verso Russia e Libia e gli incauti accordi energetici con la Gazprom, che rischiano di concedere all’Europa e all’Italia un’autonomia energetica almeno parziale dalle forniture americane, le bordate e le cannonate contro il capo dell’esecutivo si sono fatte incessanti e poderose. A nulla è servito il maldestro tentativo di riconciliazione attuato dal governo con le dichiarazioni di amicizia verso Israele (longa manus degli USA in Medio Oriente) e la condanna del programma nucleare iraniano. La Casa Bianca non ci è cascata e preme ormai senza sosta per una rapida uscita di scena di Berlusconi e per una sua sostituzione con maggiordomi meno indipendenti e imprevedibili (possibilmente Fini, ma anche qualche esponente vegetale del sottobosco di sinistra il cui massimo anelito sia quello di agire su ordini altrui).

Sotto attacco non è soltanto l’esecutivo, ma anche quei rimasugli d’industria italiana a partecipazione pubblica che potrebbero garantire all’Italia una qualche autonomia dallo strapotere dei dominanti: l’Eni, in primis, ma anche Finmeccanica, i cui alti dirigenti sono stati colpiti lo scorso mese da una campagna di stampa che li accusava di aver costituito fondi neri e compiuto curiose operazioni in paradisi fiscali. Tutte faccende di cui non si è capito un granché, ma che sono bastate a gettare l’ombra del sospetto su una delle poche aziende vitali rimaste nel nostro paese e ad azzopparne la dirigenza, o perlomeno a renderla meno agguerrita nella rincorsa a commesse di armamenti internazionali che potessero far gola ai concorrenti americani. 

Non sappiamo come finirà questo assedio, che in sedici anni di alterne vicende ha condotto allo stremo non tanto Berlusconi, quanto l’Italia tutta. Da quando Berlusconi vinse a sorpresa le elezioni del 1994, bagnando il naso agli ex comunisti, che si preparavano ad assumere la guida del paese per conto degli USA dopo averne spazzato via con Mani Pulite la vecchia classe dirigente, l’Italia si è impantanata in un clima di golpe permanente, attivato ma mai portato a compimento definitivo. Ciò ha prodotto il doppio svantaggio di dover subire tutte le iatture del golpe (mancanza di libertà di movimento in politica interna, dipendenza parossistica da diktat esterni, assenza totale di una politica estera) senza neppure poterne accarezzare i risicati lati positivi (stabilità politica e chiarezza programmatica). Sembra improbabile che l’esito del braccio di ferro ormai quasi ventennale possa essere favorevole a Berlusconi, nonostante l’ormai verosimile ricorso alla carta delle elezioni anticipate. Questo perché il PresDelCons è, a dispetto del suo potere, uomo di rara insipienza politica e di nessuna lungimiranza strategica.  

Egli ha costruito il proprio successo politico sull’immagine superomistica propagandata dai suoi canali televisivi e sulla denigrazione costante dell’avversario. E’ convinto che questo stratagemma possa essere riutilizzato con successo un numero infinito di volte e che rappresenti la carta vincente per uscire trionfante dalle future elezioni anticipate, dopo la probabile eutanasia dell’esecutivo. Non sa concepire altro che questo. Ed avrebbe anche qualche ragione a crederlo, se solo le elezioni politiche fossero la cosa cristallina e “democratica” che la povera gente immagina nei suoi discorsi sul tram. Ma lui, più di chiunque altro, dovrebbe sapere che le elezioni politiche sono manipolabili ed “interpretabili” e che di fronte ad una congiuntura cruciale come quella presente, in cui gli Stati Uniti si giocano la propria capacità d’influenza sul nostro paese e su buona parte dell’Europa, uno scrutinio elettorale è un risibile ostacolo sul cammino dei disegni di dominio. Già in questi giorni iniziano a circolare sulla stampa sondaggi “mirati”, con i quali si attribuisce ad un eventuale partito centrista guidato da Fini addirittura il 22% delle preferenze elettorali. Cifre a dir poco improbabili, ma che non mancheranno di materializzarsi nelle urne, se sarà necessario, per garantire una proficua alleanza tra le forze di sinistra e quelle dei rinnegati di Fini e per costituire, finalmente, un esecutivo al tempo stesso solido e totalmente prono alle direttive d’oltreoceano.            

Che si sia arrivati al redde rationem lo dimostrano anche le esternazioni sempre più esplicite dell’entourage berlusconiano contro gli ambienti statunitensi da cui è arrivato l’ordine di sostituirli. Fino a pochi mesi fa, l’argomento era tabù: Berlusconi aveva additato fin dall’inizio come sua nemesi i fantomatici e generici “comunisti” (magari esistessero ancora!) e la loro malvagia e generica incarnazione giudiziaria, le famose “toghe rosse”. Ancora adesso, nelle dichiarazioni pubbliche, continua ad additare alla comune esecrazione questi feticci puerili, senza avere il coraggio di spiegare ai suoi restanti elettori come stiano realmente le cose e da quali ambienti internazionali provenga realmente la minaccia alla sua permanenza a capo dell’esecutivo. Questo grave errore di comunicazione credo derivi più da un suo limite intellettivo che non dalla paura di ritorsioni. Quali ritorsioni potrebbe mai temere un capo di governo che vive da anni con un cappio al collo e cammina su una botola pronta ad aprirsi? Ma Berlusconi ha costruito il proprio personaggio sullo scempio di un cadavere, quello del comunismo, appunto, che era già in fase di avanzata putrefazione all’epoca della sua “discesa in campo”; e sull’apologia dello status quo del consumismo cialtrone e dell’imprenditoria allegramente intrallazziera dell’America dei primi anni ’90, anch’essi passati ormai nel regno dei più. Dovrebbe avere la capacità di rinnovare l’immagine di se stesso e i propri tormentoni elettorali sulla base dell’ormai evidente realtà delle cose, ma sembra quasi che abbia finito per credere lui stesso alle fesserie che racconta o che non abbia fede sufficiente nella capacità del suo elettorato di digerire un ribaltamento a 360 gradi della dimensione fantastica in cui fino ad oggi è vissuto. Se fossi in lui, io farei almeno un tentativo di spiegare come realmente stiano le cose. Potrebbe scoprire che i suoi fans sono meno deficienti di quel che sembrano, nella vita non si può mai dire; o magari che lo sono ancora di più e sono disposti a seguirlo senza fiatare in questa plateale inversione di rotta. Varrebbe comunque la pena di provarci, piuttosto che continuare a macerare se stesso e i suoi seguaci in questa ormai ridicola crociata contro il comunismo, mentre i suoi storici referenti ideologici pagano sicari per farlo fuori. In ogni caso, se Berlusconi si è incartato nella cristallizzazione della propria immagine ideologica, gli ambienti politici e giornalistici a lui vicini non si rassegnano a sparire dalla scena senza prima vuotare il sacco. Così, da qualche mese, sui giornali berlusconiani e sulle bocche di insigni esponenti del PdL è tutto un fiorire di accuse (finalmente sincere) contro le manovre degli Stati Uniti per defenestrarli. Su Repubblica di ieri, ad esempio, compare un articolo da cui riporto l’illuminante trafiletto che segue:  

La vicenda Cosentino è solo l'ultimo tassello, così come l'infinita tela di Penelope del disegno di legge sulle intercettazioni: agli occhi di Berlusconi sono tutti incastri di una stessa macchina che "qualcuno" sta costruendo per ingabbiarlo, sfregiarlo nell'immagine e, infine, condurlo alla resa. Che questo "qualcuno" possa essere solo italiano ormai sono in pochi a pensarlo nel giro stretto del Cavaliere. "Alcuni giorni fa - confida una fonte del Pdl - il sottosegretario Saglia, che ha la delega per l'energia, ha avuto un incontro con un esponente dell'amministrazione Usa. E gli è stato chiesto conto della politica di Berlusconi di appoggio a Gazprom per il gasdotto South Stream". Allo stesso modo i sospetti portano a immaginare una grande tela di ragno fatta di convenienze reciproche: dei magistrati, dei finiani, degli editori, dei poteri forti. Tutti uniti per arrivare a una "rupture" e a un rimescolamento del quadro politico…

Verrebbe da chiedersi se le geniali “fonti del PdL” da cui proviene questa esternazione si siano rese conto solo adesso della situazione o se solo adesso abbiano deciso di renderla pubblica. E chissà se prima o poi si decideranno a smettere di parlare per insinuazioni e a spiegare la situazione con chiarezza e con qualche dettaglio. Craxi, all’epoca della sua destituzione – che fu progettata nell’ambito degli stessi ambienti internazionali - partì per l’esilio senza chiarire, limitandosi ad accennare, alludere, suggerire ciò che stava accadendo in mille e mille capriole dialettiche incomprensibili ai più. L’omertà, se troppo praticata, diventa una seconda natura. Sarebbe buffo se lo stesso reticente silenzio accompagnasse l’uscita di scena dell’uomo che aveva fatto della comunicazione la punta di diamante del proprio successo elettorale.  

Gianluca Freda