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150esimo. Unità nazionale e storia condivisa

di Mario Bortoluzzi - 20/07/2010


Non passa giorno nell’imminenza di questo centocinquantesimo anno che celebrerà l’unità d’Italia senza che esponenti della maggioranza e dell’opposizione, novelli sacerdoti del culto d’Amor Patrio, non esaltino, da “destra” e da “sinistra”, il valore dell’unità nazionale.

Vien quasi il sospetto che tanto fervore nel difendere i valori patriottici sia messo in campo proprio ora, allo scopo di contrastare le pulsioni secessioniste della Lega, dimenticando però che le prime Lighe nacquero nel nord est proprio in quegli anni 70 in cui più alto fu il livello dell’attacco all’Amor di Patria e ai simboli della Nazione da parte di tutte le sinistre nostrane, complice una Democrazia Cristiana imbelle e tremebonda. Magari a qualcuno di questi zelanti neofiti si potrebbe ricordare che in quegli anni il Tricolore, simbolo dell’unità nazionale, lo portavano in piazza solo i missini mentre, ovunque, trionfava il colore rosso, simbolo partigiano di una fazione. Si potrebbe ricordare che su quel Tricolore qualcuno in nome dell’internazionalismo proletario o di altre fregnacce simili ci arrivò pure a sputare, accusando chi lo sventolava di essere “fascista”.

Qualche tempo prima perciò delle sparate leghiste sulle rive veneziane…

Ma va benissimo così: “solo i paracarri non cambiano mai idea” ci insegna il Presidente della Camera – e se lo dice lui deve essere senz’altro vero. Accogliamo perciò con gioia questo tripudio della Sinistra tricolore versione 2010 (il simbolo del PD ne è la plastica rappresentazione) e diciamo “benvenuti, vi stavamo aspettando da tanto tempo”. Meglio tardi che mai.

Però… però rimane ancora sospesa una questioncella non da poco e legata all’affermarsi nel nostro Paese del senso dell’unità nazionale e alla storia patria.

Se il processo unitario porta in sé la storia italiana, allora quest’ultima dobbiamo accettarla e farla nostra totalmente. Senza cesure temporali, né demonizzazioni manichee. Per essere chiari, se accettiamo ed esaltiamo una storia risorgimentale con tutte le luci e ombre che ben conosciamo (l’impresa dei Mille ma anche la feroce repressione delle insorgenze meridionali, le Cinque Giornate di Milano ma anche il referendum truffa che consegnò il Veneto al Regno Sabaudo e via dicendo), allora è forse tempo di smettere di ignorare che fu la Prima  Guerra  Mondiale a stringere i popoli italiani in un comune sforzo unitario che portò alla Vittoria e alla successiva reazione dei reduci, dei nazionalisti, dei futuristi, dei sindacalisti rivoluzionari affrancatisi dal socialismo, alle continue violenze comuniste del Biennio Rosso, fino all’affermarsi del movimento fascista nel 1922, con le sue luci appunto e le sue ombre.

Pensiamo forse che  l’impresa di Fiume sarebbe mai riuscita se non ci fosse stata quella dei Mille a indicare a D’Annunzio e ai suoi legionari la via per continuare il cammino verso il ricongiungimento con l’Italia irredenta ?

Senza ignorare  poi che gli ultimi garibaldini viventi, proprio perché nel fascismo avevano riconosciuto le ragioni della loro militanza giovanile, solidarizzarono da subito con le Camice nere.

Non fu un’invasione di marziani. Ancora oggi nei manuali di storia dei licei (con buona pace di Renzo De Felice…) viene insegnata la favoletta per cui in Italia, all’improvviso,  sono apparsi dei pazzi in camicia nera che hanno iniziato sadicamente  a manganellare qua e là per instaurare una feroce dittatura  durata vent’anni…

Non ci furono cesure. Per la stragrande maggioranza degli italiani di allora il fascismo, nel solco della tradizione patria, salvò l’Italia e la liberò dalla minaccia imminente di una rivoluzione in stile sovietico,  dotando il Paese durante gli anni  di governo di un  possente  e  avanzato corpus giuridico e sociale che il regime riuscì a costruire, con senso dell’unità nazionale, da Bolzano a Catania, inverando – di fatto – il sogno risorgimentale .

Queste in estrema sintesi le luci. Le ombre le conosciamo tutti e ci consentono di affidare il fascismo al novero dei totalitarismi del Novecento ma senza espungerlo dalla storia nazionale perché tutto appartiene alla nostra storia, Resistenza e Repubblica Sociale incluse ( certe anime belle, folgorate sulla Via di Montecitorio, che recentemente hanno parlato del Fascismo come del  Male Assoluto  si vadano a leggere le lettere dei condannati a morte, partigiani e fascisti: vi ritroveranno lo stesso amore per la Patria e la stessa buona fede) e tutte le storie delle famiglie italiane sono attraversate da una storia più grande che è quella nazionale.

Non dimentichiamo poi che il sentimento nazionale, il senso di appartenenza a una nazione fu svilito e ridicolizzato solo dopo il ’68. Intere generazioni allevate nell’ignoranza, o peggio nell’ostilità, verso l’amor di Patria e successivamente trasformate in masse di consumatori cosa potevano produrre se non la disgregazione del sentimento nazionale nell’identità collettiva?

Non furono però i politici a porvi rimedio.

Come il lento lavorìo di un fiume carsico, il primo segnale di risveglio ci fu incredibilmente offerto il 17 giugno 1970 ai mondiali di calcio… quell’Italia-Germania 4-3 riversò in ogni piazza d’Italia milioni di uomini e donne con il Tricolore in mano in una manifestazione di orgoglio nazionale senza precedenti nel dopoguerra (se si escludono le giornate per Trieste italiana).

Fu l’inizio di una lenta inversione di tendenza ancora oggi in corso e che potrà considerarsi ultimata solo quando ci saremo riappropriati di tutte le pagine della storia nazionale, raccontando tutta la verità e non solo una parte, senza omissioni, senza paure, lungo un filo conduttore ininterrotto, dal Risorgimento ai giorni nostri.

Fatto questo, saremo finalmente un popolo degno di essere Nazione, magari federale ma Nazione e potremo celebrare degnamente i 150 anni della nostra storia unitaria.