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L’intelligence di Londra: Saddam non era una minaccia

di Alessia Lai - 21/07/2010

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Apertasi il 24 novembre dello scorso anno, la Chilcot Inquiry, si sta concentrando sulle modalità con le quali si è svolto il processo decisionale che ha portato all’invasione dell’Iraq al fine di determinare che cosa sia effettivamente successo e di trarre utili insegnamenti dalla passata esperienza.
L’inutilità dell’inchiesta è un dato di fatto. Altre commissioni che hanno indagato su diversi aspetti dell’attacco all’Iraq non sono arrivate a risultati clamorosi: la Butler Review (2004), il cui obiettivo era valutare il lavoro dell'intelligence britannica sulle - inesistenti - armi di distruzione di massa in Iraq, ha concluso che l’intelligence poteva fare meglio ma sostanzialmente non ha sbagliato. La Hutton Inquiry, che avrebbe dovuto indagare sul presunto “suicidio” di David Kelly, esperto governativo di biologia, uno dei pochi ad aver letto in anteprima il celebre dossier del governo britannico sulle armi di Saddam Hussein, ha incredibilmente concluso che il professore si è tolto la vita volontariamente.
Se si considera che la commissione Chilcot non ha poteri giudiziari e non emetterà un verdetto, è facile intuire come anche questa ennesima inchiesta sarà solo un paravento per il governo britannico. Non ci saranno colpevoli e tutto verrà liquidato probabilmente con l’ammissione di troppe leggerezze, certo ben lontane da una reale disonestà di intenti o illegalità.
L’audizione di Tony Blair, avvenuta a fine gennaio, è il paradigma dell’inchiesta: l’ex premier britannico, responsabile della discesa in campo delle truppe britanniche in Iraq al seguito di Bush, è uscito a testa alta dall’audizione, dicendo di avere “responsabilità, ma non rammarico”, per quanto successo e affermando: “Sinceramente, lo rifarei”. È bastato tirare fuori l’espediente del “calcolo del rischio”. Dopotutto è stato dimostrato che Saddam non aveva le fantomatiche adm. Soluzione: se Saddam si fosse alleato con bin Laden, se avesse continuato a produrre armi di distruzione di massa, se i terroristi avessero avuto quelle armi, il rischio per l’Occidente e per la Gran Bretagna sarebbe stato altissimo. Una guerra basata su un’ipotesi, insomma.
In questo quadro le ultime deposizioni dell’ex capo dell’Mi5 perdono tutta la forza contundente che ad un primo impatto potrebbero avere. Eliza Manningham-Bulle (foto)r, alla guida dei servizi segreti interni tra il 2002 ed il 2007, ieri ha affermato davanti alla Commissione che la sua agenzia era convinta che Saddam avesse una capacità limitata di sferrare attacchi terroristici nel Regno Unito prima dell’invasione dell’Iraq, nel 2003.
Non c’erano quindi prove che il presidente iracheno pianificasse attacchi terroristici prima dell’intervento militare anglo-americano in Iraq. Saddam Hussein non rappresentava una minaccia per la Gran Bretagna, “Nel 2002, - ha rivelato l’ex capo del Mi5 - i Servizi segreti avevano avvisato il governo Blair che una minaccia diretta da parte dell’Iraq era bassa”. D’altro canto anche la Cia non credeva che fosse responsabile dell’11 settembre, ma la sua cacciata ha permesso ad al Qaida di entrare in Iraq. Un intervento fallimentare insomma, che tra l’altro ha permesso  la radicalizzazione di una generazione di musulmani residenti in Gran Bretagna, quella che ha prodotto gli attentati terroristici di Londra del 7 luglio 2005. Nel 2004, infatti, l’MI5 era “sovraccarico” di informazioni riguardo a possibili attentati nel Regno, proprio a causa di questo fenomeno di radicalizzazione. L’ex direttrice dell’MI5 ha dichiarato che la minaccia che Saddam rappresentava per il Regno Unito era “molto limitata e contenibile” e che il rischio che Saddam riuscisse a munire gruppi terroristici di armi di distruzione di massa non era all’epoca “una preoccupazione né a breve né a medio termine dei servizi”. Fatti che mettono ancor più in cattiva luce Tony Blair, che spacciò informazioni false ad un’opinione pubblica fondamentalmente contraria alla guerra per poter affiancare Washington nell’invasione dell’Iraq.