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Pkk: “Pronti al disarmo in cambio dei diritti per il popolo kurdo”

di Carlo M. Miele - 22/07/2010




Il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), impegnato in un sanguinoso e quasi trentennale conflitto con Ankara, sarebbe pronto a deporre le armi. In cambio l’organizzazione armata (accusata di terrorismo da Turchia, Stati Uniti e Unione europea) chiede il riconoscimento dei diritti politici e civili del popolo kurdo.

A formulare la proposta è stato Murat Karayilan.

In un’intervista concessa alla Bbc il leader sul campo del Pkk ha detto che, se la Turchia proclamasse il cessate-il-fuoco e accettasse determinate condizioni, sarebbe pronto a ordinare il disarmo ai suoi uomini, da compiere sotto la supervisione delle Nazioni Unite.

Tra le richieste avanzate da Karayilan vi è la cessazione degli attacchi delle forze di sicurezza turche contro i civili kurdi nel sudest del paese e lo stop immediato agli arresti dei politici kurdi.

Al tempo stesso il Pkk chiede un riconoscimento reale dei diritti linguistici e culturali dei kurdi, che in Turchia ammontano a 12 milioni di persone, costituendo quasi un quinto della popolazione totale del paese.

Un rifiuto da parte di Ankara – ha precisato lo stesso Karayilan – porterebbe a un inasprimento del conflitto. In quel caso, ha detto al network britannico, “dovremo annunciare l’indipendenza”.

No comment

Per il momento da Ankara non è arrivata una risposta ufficiale.

L’unico commento è quello di un funzionario del governo guidato da Recep Tayyip Erdogan, secondo cui la Turchia “non ha l’abitudine di commentare le dichiarazioni dei terroristi”.

Del resto, altre volte il Pkk ha proposto alla Turchia di abbandonare le armi in cambio dell’accoglimento delle proprie richieste, ottenendo sempre come risposta un secco “no”.

Eppure – come ha sottolineato anche il reporter della Bbc Gabriel Gatehouse, che ha effettuato l’intervista a Karayilan nel suo rifugio nel nord dell’Iraq – questa volta la proposta kurda non lascia spazio a dubbi e potrebbe essere accolta in maniera differente rispetto al passato.

L’aspetto più rilevante è che per la prima volta il Pkk non pone come condizione la liberazione dei guerriglieri detenuti nelle carceri turche, né fa riferimento allo status di Abdullah Ocalan, il leader storico dell’organizzazione condannato all’ergastolo e imprigionato nel carcere dell’isola di Imrali.

Al tempo stesso è diverso il clima generale in Turchia. Solo un anno fa il Partito di giustizia e sviluppo (Akp), la formazione attualmente al governo, aveva alimentato le speranze di pace annunciando una “iniziativa democratica” per il riconoscimento dei diritti della popolazione kurda, che tuttavia non ha mai avuto seguito.

Nuova svolta nel conflitto?

L’abbandono di quella che lo stesso Karayilan ha definito “la via democratica” ha condotto negli ultime settimane a un nuovo inasprimento dello scontro armato nel sudest, con decine di morti e feriti su entrambi i fronti.

A inizio giugno il Pkk ha abbandonato ufficialmente il cessate-il-fuoco proclamato unilateralmente e negli ultimi giorni in Turchia si è tornato a parlare di una possibile massiccia offensiva in nord Iraq, contro i rifugi della guerriglia kurda.

Le inattese dichiarazioni di Karayilan potrebbero anticipare una nuova svolta in questo lungo conflitto.