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Prolegomeni per un “Manifesto”* in divenire

di Giuseppe Di Gaetano - 27/07/2010



Parte Prima

Appunti per un eone appena iniziato

E i preliminari? Alla fine; alla fine.

G. Depardieu

Procediamo per appunti. Lasciamo ad altri la costruzione del sistema. Allo stato dei fatti e con gli elementi contraddittori in nostro possesso, risulta peraltro impossibile. Molte cose si sono chiuse ed è inutile continuarne a discutere. E’ compito da studiosi o da storici. Ma ciò che si è aperto e si mostra è sconvolgente. Solo che il dibattito è bloccato con lo sguardo volto al passato e tutto ciò che di nuovo si para dinanzi all’umanità stenta ad entrare nel circuito delle idee.

E questo costituisce oggi il primo dei problemi.

Nell’eone (1) appena concluso appare evidente la divaricazione tra filosofia e scienza. Così, nel 400 a.C. con l’unico termine s’individuavano tutte le forme del sapere e successivamente, col sorgere delle prime forme di ipostatizzazione ideologica. sono andati separandosi i campi d’applicazione, e, nella storia successiva, i due termini sono entrati non di rado in conflitto.

Ma se mi chiedete come considerare oggi Margherita Hack mi trovo in grandissima difficoltà. Se venga prima l’astrofisica, di fama mondiale, o l’instancabile agitatrice del pensiero libertario, caratterizzato dall’ateismo di fondo, non lo so.

Come non so collocare Freud e Jung. Nel gioco delle definizioni possono essere tanto scienziati quanto filosofi.

Chi è Cacciari? Uomo di lettere, filosofo, accorto amministratore. Ha molto degli uomini che più di duemila anni or sono governavano le polis della Grecia. Cambiando quel che c’è da cambiare.

Seguendo l’effetto Doppler che dalla fine del ‘700 ha contraddistinto la scienza siamo arrivati, nel giro di due secoli dalla ruota alle stelle, dal fuoco all’atomo.

Tutto previsto: il mito di Icaro e Democrito (2)  ne parlavano tempo addietro.

Entriamo nel meccanismo e proviamo a dettare l’agenda per i prossimi duemila anni.

a)      Il tempo
b)      La materia
c)      L’universo
d)      L’uomo

saranno probabilmente, e a meno che non saltino fuori novità di rilievo, gli argomenti con i quali l’umanità si eserciterà.

E, siccome le lettere sono anticipatrici, nell’Ulisse di Joyce come nei romanzi di Verne, per tacere di quei documenti straordinari che sono “2001 Odissea nello spazio” e “Eyes wide shut”, più criptico ma non  meno sconcertante del primo, è disciolto molto di quanto andremo a discutere nelle prossime puntate.

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1)      500 a. C. – 1945 d. C.

2)      Anche se l’atomo di Democrito era un principio, vi si ritrovano sorprendentemente molte delle aporie delle quali la fisica moderna sta tentando, da anni, di venire a capo.

Parte Seconda

Il Tempo

Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo
E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio
E che ciò che è reale lo è solo per un tempo
E per un solo spazio

T. S. Eliot – Mercoledì delle ceneri

Il tempo è reversibile. Non nella fantasia di qualche regista ma perché è una delle implicazioni, provata, della teoria della relatività.[1] Intendo dire che bisogna parlare non più del tempo ma dei tempi poiché ciascuno di noi vive una propria successione temporale che potrebbe non coincidere con quella degli altri. E comunque parlare è già un parlare fuori del tempo perché la parola ha una sua persistenza che trascende il vincolo temporale. I greci lo sapevano. Noi lo orecchiamo soltanto. Ma tornando alla comune esperienza significa, e anticipando le conclusioni, che un padre potrebbe tornare da un viaggio spaziale più giovane del figlio, rimasto sulla terra. Perché il suo è diventato un tempo diverso. Non che abbia vissuto di più o di meno. La percezione ch’egli ha della propria esistenza non cambia. Cambia il rapporto con il luogo nel quale il figlio ha continuato a vivere, cioè il tempo. Perché è variata la velocità relativa del mezzo col quale si è mosso.  E anche se la velocità della luce costituisce il limite, attualmente, invalicabile, ma secondo Margherita Hack, definitivamente invalicabile, esiste la possibilità teorica di spostarsi indietro nel tempo. Attenzione: di spostarsi, non di tornare indietro. Ma usciamo dal folklore buono per fare share in prima serata, magari in compagnia di qualche ufologo, ingentilito da una bella attrice e da uno dei tanti filosofi a vocazione mistica che si aggirano per la rete,  e proviamo ad inoltrarci nell’argomento.

Dunque.

L’uomo avanza inesorabilmente nel tempo ma esiste la possibilità di andare indietro lungo la linea del tempo. Anche in questo caso l’arte e scienza hanno camminato insieme. Dei film di Kubrick si è già detto. E non sorprenda l’insistenza sugli stessi autori. Esistono autori che descrivono. Esistono autori che anticipano. In questo caso, ma solo in questo caso, sono più interessanti i secondi. Anche il mito di Icaro ha anticipato i voli nello spazio per tacere del “letterariamente più giovane” Ippogrifo. Uno sguardo verso il passato ci permette di proiettare la conoscenza verso il futuro. E di provare a capire.

Perché il mondo greco avvertì l’esigenza di assegnare tre nomi al tempo? Sarebbe bastato Crono, figlio di Urano e di Gea, il dio primigenio dal quale erano stati generati tutti gli altri dei; il Saturno romano al quale si collegava una mitica ed indistinta età dell’oro. Contrassegnava lo scorrere del tempo greve e implacabile. Privo di significato che non fosse quello della fine. Ma per i greci il tempo fu anche, e soprattutto, Kairos (καιρός), nelle accezioni moderne non molto distante dal “carpe diem” latino. “Momento giusto o opportuno” recita la volgata e non mi convince neanche un poco. E non convince altri autori ben più titolati. Almeno per quanto riguarda il significato che attualmente diamo a termini come “giusto” o “opportuno”.[2] Per quanto levantini possano essere stati i figli di Atene e di Sparta, molto attenti ai commerci ed al profitto, denunciano tuttavia attraverso i loro autori, un’esprit de finesse superiore al nostro e soprattutto a quello dei romani attraverso i quali è stata mediata molto della loro cultura. Per questo non è convincente una lettura “mordi e fuggi”. Non ne avevano bisogno perché già insita nel mito di Cronos.[3] “…Soprattutto per noi, “fortuna” è legata al caso, all’”accidente”, all’”opportunità”, all’”occasione”, al “momento” particolare, all’”attimo” propizio ma fuggente; ma, di nuovo, il latino dice casu aut forte fortuna, “ per caso o per fortuna” e poi usa indifferentemente casu o forte per per dire “a caso, per caso” così come fa il greco con Týchē, (Τύχη). In questa lingua si dice  kairoū tychein, “incontrare l’occasione”, “kairòn lambanein”, “prendere l’occasione, “kairòn arpazein”, “afferrare l’opportunità”, “kairòn parienai”, ”lasciar passare il momento”, “kairòn brachý métron ěchei”, “il momento favorevole dura poco”… si prenda, adesso, il termine greco kairós, che vale conveniente, opportuno, giusto punto, momento giusto, occasione, opportunità. Questi valori del greco kairós sono gli stessi del latino maturus, che ha un valore primario di “opportuno, tempestivo, al punto giusto, al momento giusto e che solo secondariamente assume il senso del nostro maturo…Più ancora che ai frutti della terra, maturus (Leonardo Magini Le feste di Venere – Edizioni L’Erma di Bretschneider).  «si applica anche a molte altre determinazioni: alle piante, agli animali, al feto prossimo a veder la luce, alle fanciulle puberi, ai giovani pronti per le attività virili delle armi, ecc…» (Maurizio Bettini – 1978)  — «Partendo dalla caratterizzazione greca originaria della temporalità come kairós, egli (Heidegger) pone una decisiva connessione tra il chronos che parla nel frammento dell’Aiace, e il topos in quanto luogo cui qualcosa appartiene per sua essenza: “il”  “tempo” da intendersi in senso greco, il chronos, corrisponde nell’essenza al topos che erroneamente traduciamo con Raum, spazio. Il topos è invece l’Ort, il luogo, e per la precisione il luogo a cui qualcosa appartiene» (M. Heidegger).

«…ripensare , con Heidegger e attraverso Heidegger, le regioni che oltrepassano la chiusura metafisica del destino occidentale, grazie a cui è possibile accostare al tempo cronologico, misurabile, continuo ed omogeneo, fondamento delle visioni occidentali del mondo, un altro tempo, istantaneo, discontinuo e incommensurabile, il cui avvenire si manifesta come effrazione del tempo cronologico» (Sandro Gorgone, Il tempo che viene…, Ed. Guida).  Kairós è la qualità del tempo. Ma ciò che dà qualità al tempo sono i contenuti. E quindi è il tempo dei contenuti o “tempo supremo” coscienza, piena consapevolezza e quindi conoscenza. È il contenuto che rende opportuno il tempo e lo rende discontinuo interrompendo l’insignificante succedersi dei momenti. È il tempo della memoria, dell’“estote parati”. È il tempo della parola che permane e non tramonta. È presenza ed è persistenza. Ed è soprattutto e prima di tutto “scelta”. Non è sicuramente un lasciarsi trasportare.

Con i Carmina Burana (1230) si preparano i tempi moderni. “Questi i famosi versi che descrivono il Kairos: “Verum est quod legitur, fronte capillata, sed plerumque sequitur occasio calvata”; cioè “è vero ciò che si sente dire, la fortuna ha la fronte chiomata ma, quando passa, è calva”. Ma in tutto ciò esiste molto dell’uomo in carriera nostro contemporaneo. Il travisamento è bello che avviato. Il tempo indistinto di un’ “età dell’oro” in cui tutto è buono, tutto è bello, tutti sono felici, anche se qua e là nel mondo gruppi di “eroi” imbottiti di esplosivo si fanno saltare trascinando nella propria rovina ignari passanti, anche se un cartello di benestanti d’oltre oceano scommette sul debito greco rovinando milioni di famiglie, dopo aver ceduto a mezzo mondo prodotti finanziari guasti e aver innescato una crisi i cui esiti ancora ci sfuggono.

La “fortuna” alla quale si riferisce il codice goliardico non ha nulla a che vedere con quel che i greci avevano osservato. Il tempo ha uno sviluppo orizzontale, ha uno spessore(verticale), ha una sua unità. «Il kairós apocalittico non è, allora, fuoriuscita dal tempo cronologicamente e ‘volgarmente’ concepito, ma simbolo del tempo vero, revelatio di un tempo irriducibile alla voracità di chronos, visione escatologica della verità ultima del tempo. La trascendenza del kairós è il segno, il riflesso di Aión[4]; essa si annuncia a coloro che, vigilando e discendendo nel profondo di sé, ricordano [er-inneren] e ad-tendono nell’inquietudine l’ineffabile irraggiare di Aión che ac-cade come kairós, come pienezza del tempo, congiunzione di memoria ed oblio, immemorabile passato ed imprevedibile futuro. Heidegger e il kairós”»(Sandro Gorgone,  Alle origini della concezione heideggeriana della temporalità come Ereignis, 2005).

Il kairós È il luogo dell’essere come presenza mentre l’Aion  è il luogo in cui si necessita l’essere inteso come assenza di materia[5]. Aion, per il quale esistono solo passato e futuro.

L’essenza dell’aion si percepisce attraverso la forma più alta di conoscenza, la noèsis, e si esprime attraverso il logos.

Non paia strano che dopo il passaggio medioevale e rinascimentale di cui al “tempo della Chiesa e tempo del mercante” di Jacques Le Goff, i pensatori (e gli scienziati) degli ultimi due secoli abbiano volto il loro sguardo alla Grecia classica. Dalla quale proveniva tutto ciò che si andava concludendo, ma non finiva. Quello che si è appena concluso è stato l’eone dell’Uomo[6]. Passando per il medio evo. Anche in questo caso, è inutile stare a ripetere ciò che altri hanno già scritto. E bene: Nella comunità (koinè) del tempo cristiano condiviso comincia a farsi strada, a partire dal Basso Medioevo, l’idea di un tempo diverso che è il tempo dei commerci, del periodo che separa l’impegno di pagamento dal saldo. Come ha insegnato Le Goff, al tempo della Chiesa comincia ad affiancarsi il tempo del mercante: il primo appartiene a Dio, il secondo appartiene all’uomo. Venne allora dibattuta la questione se il tempo, che appunto appartiene a Dio, potesse essere oggetto di scambio e compravendita come avviene nelle dilazioni di pagamento o nell’usura. Eppure aldilà delle quaestiones teologiche, il tempo diviene misurabile, segna le distanze in giornate di viaggio delle merci, scandisce le giornate e gli orari dei mercati pubblici: si diffondono le torri degli orologi erette spesso di fronte alle torri campanarie, il tempo si urbanizza e si distacca progressivamente dal ritmo dell’ambiente naturale, della semina e del raccolto.

La pittura introduce la prima dimensione temporale con l’approfondimento del campo e la visione simultanea delle figure in azione, la letteratura rivoluziona il tempo del racconto, dalla visione eterna o atemporale (la grande visione dantesca) alla visione storica, dinamica, fatta di cornici, flash-back, intreccio.[7]

Ma una cosa è avvertire l’insufficienza di una concezione ed altro è trasformarla in formule e renderla operative. Come per l’atomo o per il volo ci sono voluti più di duemila anni. Oggi per quanto riguarda il tempo noi abbiamo le formule e qualche idea ma non ne abbiamo fatto ancora esperienza se non modestissima La concezione del tempo esce dalla relatività ristretta di Albert Einstein completamente sconvolta. Non più passato, presente, futuro in sequenza. Il famoso padre in viaggio nello spazio ha semplicemente vissuto meno anni di quelli vissuti dal figlio sulla terra. Misurati secondo la logica di Crono. Il tempo è reversibile. Come lo spazio.


[1] La verifica sperimentale si è avuta quando gli americani hanno infilato uno di due orologi atomici sincroni dentro una navicella spaziale. Benché alla velocità relativa modesta (40.000 Km/h) rispetto a quella limite della luce si è osservato lo scostamento previsto dalle formule di trasformazione.

[2]Zaccaria Ruggiu ricostruisce esemplarmente la storia concettuale del termine. Kairos è – a differenza di aion – un momento breve, istantaneo, addirittura contratto e per questo quasi irripetibile… In Aristotele il kairos è connesso alla teoria dell’azione e come si legge nell’Etica Nicomachea (1096a 27), kairos è la declinazione del bene del tempo proprio perché «l’agire deve allora riferirsi al kairos, al momento opportuno, cioè deve afferrare il tempo debito quando esso viene a maturazione e decidere l’azione» di Francesco Verde da Il giornale di filosofia

[3] …è interessante rilevare ed evidenziare – come hanno fato alcuni studiosi italiani contemporanei – che il Tempo è stato scoperto dai Greci nei momenti in cui “era assente”; la parola Cronos, in Omero, è usata per indicare “il tempo negativo o vuoto” riferito cioè a quei momenti in cui l’azione ristagna (l’eroe riposa o fa un inutile tentativo o si tormenta invano) e quindi non c’è bisogno di indicare la quantità di tempo che trascorre. Nei momenti, invece, in cui c’è l’azione – che si identifica con il tempo narrativo – non c’è alcuna necessità di nominarlo.

Se un eroe combatte e il poeta ne descrive le imprese, non c’è alcuna necessità di indicarne la durata; il tempo si manifesta tramite l’azione. Se invece l’eroe dorme o piange, ecco la necessità di indicare il tempo che queste azioni – anzi “non azioni” – consumano. – L’intuizione del tempo nella storia greca e nel mondo cristiano – di Alberto Restivo

[4] Aion (αἰών) aei-on= “sempre-essente”

[5] Rimando al capitolo successivo.

[6] Uso il termine “eone” in senso lato. Intendo un periodo piuttosto esteso di tempo determinato da un elemento di coerenza (in questo caso l’Uomo). Giustificherò successivamente questa affermazione, nel capitolo sull’uomo.

[7] Il tempo dell’orologio ci è stato imposto dalle esigenze dell’economia capitalista, che, come è noto, non sono a misura d’uomo, ma di portafoglio; ed è uno dei fattori che contribuiscono ad allontanarci dalla nostra vera essenza, dal nostro io più profondo.

Essere svegliati al mattino dal suono della sirena che chiama gli operai nelle fabbriche non è precisamente la stessa cosa che essere svegliati da quello delle campane che chiamano i fedeli alla preghiera mattutina. Il primo è un suono brutale, che entra con prepotenza nella nostra vita e ci ricorda la nostra schiavitù nei confronti delle macchine e del circuito produttivo, del quale siamo soltanto dei miseri ingranaggi; il secondo fa appello alla nostra interiorità, al nostro spirito ed apre la nostra consapevolezza alle dimensioni superiori della realtà.

Certo, noi non possiamo più liberarci dalla schiavitù del tempo laico per eccellenza, quello economico; non possiamo più levarci dal polso la catena della nostra schiavitù, simboleggiata dall’orologio, che ci è indispensabile per giungere puntuali al lavoro.

Possiamo, però, incominciare a liberarcene psicologicamente e spiritualmente, riconoscendo il carattere puramente pratico e strumentale del tempo profano e rivolgendo costantemente i nostri pensieri a quell’altro tempo, il tempo dell’anima, senza il quale noi regrediamo alla condizione di automi fabbricati in serie, le cui uniche funzioni sono produrre e consumare merci senza posa, in un circolo vizioso che finirà solo con la nostra autodistruzione. (Francesco Lamendola, Tempo della chiesa e tempo del mercante – Arianna Editrice.)

*La Heliopolis Edizioni di Sandro Giovannini sta lavorando ad un “Manifesto” che coinvolge diverse personalità. Quello che segue è un primo contributo di Giuseppe Di Gaetano.

La redazione