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Alleato... "d'Egitto"

di Romolo Gobbi - 27/07/2010

L'attacco israeliano alla nave turca Mavi Marmara il 31 maggio di quest'anno, che ha provocato l'irrigidimento diplomatico della Turchia nei confronti dell'alleato israeliano, è stato condannato anche dall'Egitto, l'altro grande alleato di Israele in Medio Oriente. Il presidente egiziano Hosni Mubarak ha dichiarato che si trattava di "un uso sproporzionato della forza". La dichiarazione egiziana è solo apparentemente moderata e, in effetti, si tratta di una smentita della precedente condivisione della politica di forza usata da Israele contro il governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Fin dal 2007, infatti, l'Egitto "ha chiuso il confine con la Striscia di Gaza, sostenendo che la riapertura del valico di Rafah costituirebbe il riconoscimento del controllo di Hamas su quel territorio (...) ha inoltre distrutto molti tunnel sotto la frontiera con la Striscia, attraverso i quali Hamas si riforniva di armi, ma che costituivano anche un mezzo per aggirare l'embargo".
Ma non è tanto la dichiarazione di Mubarak a preoccupare Israele e il suo grande protettore americano, quanto la condizione di salute del presidente egiziano. Secondo l'arabista Steven Cooc del Council on Foreign Relation, le prospettive di sopravvivenza di Mubarak, malato di cancro, "non vanno oltre i 12 - 18 mesi (...) Un intero piano dell'ospedale nel quartiere di Mahdi è pronto ad accogliere Mubarak, in qualsiasi momento, nel frattempo gli iniettano una sostanza che gli consente di essere in condizioni sufficienti per apparire in pubblico". D'altra parte, Suleyman 'Awad, portavoce ufficiale della Presidenza egiziana, accusa Israele e gli Stati Uniti di fabbricare rapporti menzogneri sulla salute del presidente Mubarak: "Dietro le voci sulla salute del presidente vi sono dei rapporti redatti da Israele e dagli Stati Uniti, non verificati e non documentati".
Il perchè di tanta preoccupazione per la salute del presidente egiziano è chiaro, se si pensa che per gli USA l'Egitto "è il più stretto alleato nel mondo arabo, perno della pace con Israele, nonchè destinatario di 1,5 miliardi di aiuti. La Casa Bianca ha creato un gruppo di lavoro ad hoc per tenere aggiornato Obama su ogni sviluppo".
Gli israeliani hanno cominciato a preoccuparsi da quando Mubarak ha dichiarato alla TV di Chanel One: "Non parlo dell'Iran con un israeliano, dal momento che Israele, una volta risolto il problema nucleare, si accorderà con Teheran, come è già successo in passato. Io non lo farò mai, perchè l'Iran vuol cambiare l'Egitto dal di dentro". Cosa intendesse Mubarak non è chiaro, ma certamente fin dalla fine degli anni novanta, quando con una "legge il governo si propone di controllare tutte le moschee del Paese. Secondo Zaqzuq, in Egitto ci sono 25 mila moschee, appartenenti al suo ministero, mentre quelle che sfuggono al controllo dello Stato sono 30 mila. Il ministero ha predisposto un piano quinquennale per mettere sotto la sua tutela 6 mila moschee l'anno, cosicchè nel 2002 tutte le moschee egiziane sarebbero state sotto il controllo statale". Non sappiano se questo piano sia andato a buon fine; certamente il fondamentelismo islamico non è totalmente sotto controllo, se si pensa che, secondo le previsioni americane: "se si votasse oggi, a prendere più voti sarebbe il partito islamico dei Fratelli Musulmani, anche se sulla carta non ha candiadati". Tra i potenziali successori di Mubarak, oltre al figlio Gamal, che è segretario del partito nazional-democratico, vi è anche l'ex-presiedente dell'AIEA, l'Agenzia nucleare dell'ONU, Mohammed El Baradei, che potrebbe forse concentrare il voto dei Fratelli Musulmani. La forza di questi ultimi può essere valutata dal fatto che questi, "banditi, ma formalmente tollerati, alle parlamentari del 2005 hanno ottenuto il 20% dei seggi". El Baradei gode anche dell'appoggio delle giovani generazioni che vogliono un cambiamento in senso democratico, ma gli USA temono "che la fine del regno di Mubarak possa coincidere con un'apertura, anche blanda, alla democrazia rappresentativa e che questo possa essere il grimaldello che consentirebbe al radicalismo islamico di salire al potere, come accadde in Algeria nel 1991. E allora vanno bene i valori democratici, ma magari non adesso. Ed ecco quindi che Washington congela un fondo distribuito attraverso l'ambasciata americana del Cairo ad un gruppo pro-democrazia, non riconosciuto dal governo egiziano. Per questo la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato premono perchè Mubarak formalizzi la successione e la blindi, prima delle elezioni".
Più che alle elezioni del 1991 in Algeria, il riferimento più prossimo è quello della vittoria del partito islamico moderato al potere attualmente in Turchia, la cui posizione attuale nei confronti di Israele può fare testo.
Nell'eterno conflitto per la supremazia nel mondo islamico, più che l'Iran, è proprio la Turchia ad avere più chances e se si allineano le posizioni dei due più grandi alleati nel mondo islamico, circa 80 milioni l'Egitto e altrettanti la Turchia, per Israele sarebbe una gravissima perdita.