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Bisogna finire, bisogna cominciare. (Oltre la destra e la sinistra) III parte

di Marino Badiale, Massimo Bontempelli - 28/07/2010

7. Per una economia del bene comune.
Destra e sinistra hanno abbandonato ormai da trent'anni l'idea che uno Stato civile debba poter disporre di una sfera pubblica dell'economia per essere in grado di assicurare gratuitamente alcuni servizi essenziali e di compiere interventi strategici di indirizzo nei mercati. L'unica economia ritenuta accettabile è oggi quella mercantile, naturalmente con forme residuali di partecipazione pubblica volte a garantire che col mercato e con la corruzione che lo alimenta ingrassino non soltanto azionisti e manager privati, ma anche pezzi del ceto politico.
La scomparsa di un'economia pubblica non ha prodotto soltanto crescenti diseguaglianze sociali, nuova povertà, distorsioni dei consumi e fattori di crisi finanziaria, ma ha avuto anche effetti culturalmente e moralmente devastanti sul piano della mentalità collettiva. Il messaggio, ossessivamente ripetuto, che il pubblico sia di per se stesso inefficiente, che il privato sia di per se stesso efficiente, e che le privatizzazioni introducano dinamismo e meritocrazia nella società, ha legittimato, con il favore di un ceto politico fradicio di corruzione in tutte le sue componenti, il perseguimento dell'utile privato al di fuori di ogni regola. Non sono forse il dinamismo e la meritocrazia socialmente più utili di qualsiasi regola?
Il fatto è che il postulato di base sulla maggiore utilità sociale del privato sganciato dal pubblico è quanto di più falso ci possa essere. Quel che la legittimazione dell'utile privato comunque perseguito produce è dunque semplicemente la diffusione universale e coatta dell'avidità come regola di comportamento.
La società ne è devastata come da una metastasi cancerosa. La soluzione di ogni problema sociale viene fatta passare attraverso attività private (non importa se formalmente del tutto tali, o come forma di gestione privata del pubblico), e le attività private passano soltanto attraverso l'avidità di guadagno. L'avidità, da elemento soggettivamente motivante di una realizzazione socialmente utile, diventa di fatto l'unico fine da realizzare. Non vengono dati appalti per compiere un'opera, ma è l'opera che viene compiuta per dare appalti. Così ogni opera costa tre o quattro volte quello che dovrebbe costare, e spesso, quando sono già state incassate le prebende dei privati e le tangenti dei politici, non viene portata a compimento. Le cosiddette grandi opere non sono messe in cantiere per la loro utilità, neanche per la loro utilità strettamente economica, ma per il giro d'affari che mettono in movimento con la corruzione e le tangenti. Tutto ruota attorno all'avidità, e l'idea stessa di un bene comune scompare. Il mercato compie una selezione meritocratica a rovescio, nel senso che le aziende che sanno come manovrare gli appalti e farseli pagare, perché collegate o alla malavita o al ceto politico o a entrambi, prosperano e si allargano, mentre le aziende fondate sul talento di imprenditori e operai, se fuori dal giro della corruzione, non ottengono appalti e si vedono negare o ritardare i pagamenti per i lavori fatti, finendo così fuori mercato.
Gli apologeti del mercato, di fronte a queste evidenze, ribattono in genere che quello che abbiamo appena descritto non è il Vero Mercato. Ma si tratta dello stesso atto di fede di chi si appellava al Vero Comunismo per rendere inoffensive le critiche all’ideologia comunista basate sulla realtà dei paesi socialisti. L’evidenza pratica e le riflessioni teoriche degli studiosi non appiattiti sull’apologia dell’esistente mostrano che il mercato reale è sempre stato attraversato e strutturato da brutali rapporti di forza esterni alla pura concorrenza su costi e prezzi, e questi rapporti di forza sono nell'Italia di oggi determinati dalla malavita organizzata e dalla corruzione politica interna, oltre che dalle pressioni finanziarie esterne. Il mercato reale è questo, non quello astrattamente pensato da Walras e mai realizzatosi nella storia, proprio come il comunismo reale è stato quello dell'Unione Sovietica e dei paesi satelliti, e non quello astrattamente pensato da Marx e mai realizzatosi nella storia.
Se si capisce questo si capisce come oggi occorra combattere con la massima durezza i privilegi del ceto politico per il costo che fanno gravare sull'Italia non tanto in termini economici, quanto in termini culturali e sociali. L'autoreferenzialità privilegiata del ceto politico ne fa infatti il perno dell'asocialità, dell'antimeritocrazia e della criminalità dell'attuale economia di mercato, e della diffusione universale dell'avidità come unico criterio comportamentale. Siamo tutti lesi, nella nostra vita quotidiana, da rapporti sociali posti in essere soltanto dall'avidità.
Una nuova forza politica, capace di andare altre l'orizzonte della destra e della sinistra, dovrebbe imporre la competenza e la disposizione alla solidarietà come criteri ineludibili di carriera, e nuove regole che stronchino sul nascere, con la massima durezza, ogni avanzamento di chi, anche senza commettere reati specifici, abbia mostrato, da comportamenti oggettivamente rilevabili, di essere mosso soltanto dall'avidità. Ricordiamo Piscicelli, l'imprenditore che esulta la notte del terremoto a l'Aquila per gli affari che gli farà fare. È reato ridersela alle tre di notte, al telefono con un socio d'affari, dei morti di un terremoto? No, non è un reato. Ma dovrebbe bastare ad escludere per sempre il figuro da ogni affare in cui metta soldi lo Stato.
Oppure ricordiamo D'Alema e Fassino che esultano, perché, grazie a Consorte, “abbiamo una banca”. È reato esultare perché il proprio partito fa buoni affari economici? No, non è reato. Ma comportamenti simili dovrebbero escludere da ogni carica politica.
L'Italia ha disperato bisogno, per non sprofondare sempre più nella melma, di una soluzione radicale: occorre cacciare via non soltanto tutti i politici visibilmente corrotti, ma anche quelli che sono stati in partiti che non hanno individuato i corrotti prima dei giudici e non li hanno espulsi, e che non hanno rinunciato al sostegno di sistemi corruttivi. Si tratta, è evidente, di una rivoluzione, e certo una rivoluzione autentica non può essere fatta per via giudiziaria, ma ha bisogno di una forza politica. Si tratta di crearla.
Una nuova forza politica, capace di andare oltre l'orizzonte della destra e della sinistra dovrebbe battersi per togliere al ceto politico, di destra e di sinistra, ogni status differenziato da quello della popolazione comune che esso concordemente si autoattribuisce. Non si tratta di una rivendicazione da perseguire per un suo supposto valore generale. Se i politici del dopoguerra (De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa, Almirante) avevano uno status differenziato, esso era loro in qualche misura dovuto per le funzioni politiche che svolgevano. Ma oggi la politica non svolge più alcuna funzione, se non quella di lasciar dettare dall'economia le sue leggi e di non interferirvi se non come mediatrice d'affari, per lucrarne finanziamenti. I politicanti di oggi non meritano quindi alcuno status differenziato. Quello che si danno ha l'effetto di far loro subordinare ancora di più la politica agli affari, e ad allontanarli ancora di più non si dice dal risolvere, ma anche soltanto dal pensare di dover affrontare, i problemi della società.
Pensiamo al drammatico problema sociale della difficoltà, quasi proibitiva per i giovani, di trovare un posto di lavoro sensato e sensatamente retribuito, anche quando avrebbero il talento per svolgerlo. I politici non conoscono questo problema, e non lo conoscono i loro figli, parenti, amici, i quali, anche quando sono desolatamente privi di capacità e meriti, ottengono sempre ottimi e ottimamente retribuiti posti di lavoro, preesistenti o appositamente inventati. Vogliamo un ceto politico che possa assaggiare il sapore amaro della mancanza di un posto di lavoro, e sia quindi motivato a visualizzare il problema nella società? Battiamoci per diminuire i posti di lavoro a disposizione dei politici: per abolire, quindi, consigli ed assessorati provinciali, del tutto inutili; per dimezzare il numero dei parlamentari, dei ministri (che non dovrebbero essere più di dodici-quindici, più che sufficienti per ogni compito possibile), dei consiglieri regionali e degli assessori regionali; per limitare per legge il numero degli incarichi assegnabili da ministri, governatori regionali ed altre figure politiche, e via dicendo. Chi non trova posto rimanga disoccupato e senza trattamento pensionistico, e si arrangi come gli altri comuni mortali.
Pensiamo al drammatico problema della casa. Occorrerebbe un divieto esplicito, per conflitto di interessi, di dare in affitto ai politici edifici di proprietà pubblica, ed occorrerebbe un apposito, severo monitoraggio degli affitti privati, per evitare che nascondano scambi di favori. Che anche il ceto politico abbia da pensare al problema della casa.
Questo ed altri provvedimenti dovrebbero servire, più che a moralizzare un ceto politico ormai irrecuperabile, in ragione del modo in cui è stato selezionato, a favorire la sua cacciata e l'ascesa di politici nuovi, disposti da accettare nuove regole di condotta per la loro funzione. Una nuova cerchia di politici, che sappia mettere al passo un ceto capitalistico anch'esso corrotto, capace di far soldi solo sfruttando in modo brutale il lavoro e usando quel denaro pubblico (ed altri tipi di favori) che non vuole venga dato in servizi sociali .
Una nuova forza politica dovrebbe cercare spasmodicamente di aprire le menti degli italiani su quali classi non dirigenti, ma “digerenti”, hanno sulle spalle nell'economia e nella politica, e delle quali non sono per nulla migliori, se le accettano. C'è una recente, splendida vignetta di Massimo Bucchi che dice a questo proposito la verità: si vede una persona reclinata in atteggiamento disperato su una poltrona che dice: “sono senza lavoro e con una classe dirigente da mantenere”.
La prima cosa che dovrebbe essere chiesta ai politici, e di cui essi mancano del tutto a destra, al centro e a sinistra, suscitando ciò nonostante una indignazione molto inferiore a quella che sarebbe naturale, è l'attenzione verso ogni grave fattore di disagio a cui vengono richiamati dalle persone. Faccia il lettore un esperimento mentale. Immagini che in una qualsiasi città (escludendo quindi i piccoli borghi, perché lì il sindaco è talvolta vicino ai suoi compaesani, non in quanto politico, ma appunto in quanto compaesano), un qualsiasi cittadino, senza usare alcuna violenza, senza entrare in un gruppo di pressione, e senza usare forme drammatiche di protesta, segnali un suo grave fattore di disagio: ad esempio è sotto sfratto e non ha altra casa dove andare ad abitare, oppure ha un congiunto invalido che non è in grado di assistere, oppure non gli arriva ai rubinetti che acqua inquinata, oppure non può arrivare a casa senza passare per una strada deserta e non illuminata dove si sono verificate aggressioni, oppure deve attraversare in bicicletta una rotonda dove sono all'ordine del giorno investimenti da parte degli automobilisti, oppure abbia qualche altro problema. Immagini il lettore che il cittadino faccia presente il suo disagio a qualche autorità deputata ad interessarsi di cose del genere da lui richiamate ed a risolverle. Si prosegua nell'esperimento mentale: che cosa succederà? Niente. Nessuno presterà attenzione al suo disagio, per non parlare di risolverlo. Ecco: questa disattenzione come regola segnala che abbiamo a che fare non con politici, ma con miserabili politicanti, e con autorità di nomina politica che non sono autorità, ma complici del degrado. Come quel Mauro Moretti amministratore delegato di Trenitalia che non ha avuto la minima attenzione di fronte alle richieste dei viareggini di rinforzare il muro di separazione tra abitato e ferrovia, con le conseguenza che sappiamo. E come negli infiniti altri casi in cui non si risponde ai problemi che vengono segnalati. Si tratta di una forma estrema di inciviltà, che tuttavia non è propria del solo ceto dirigente politico e dominante economico, ma di tutto un paese che non manda a casa i suoi politici perché essi rispecchiano in larga misura, con il loro comportamento, i suoi rapporti interni. Si pensi a quanta indifferenza verso il disagio ritroviamo quotidianamente tra il personale degli ospedali e dietro gli sportelli di un ufficio. Ai politici, se fossero tali, dovrebbe essere richiesto di inibire, anche con adeguate forme di repressione, comportamenti incivili diffusi nel tessuto della vita quotidiana, e con i quali ognuno lede i suoi vicini. Perché tollerare gli automobilisti che mettono i pericolo l'incolumità di pedoni e ciclisti? Perché tollerare che strombazzino per farsi largo nelle strade, che non dovrebbero essere loro, ma di chi vuol passeggiarvi? Perché tollerare gli schiamazzi notturni? Perché tollerare l'insudiciamento delle strade? Perché tollerare le musiche a tutto volume nella notte? Perché tollerare che i gas di scarico dei motori avvelenino l'aria delle città? Il fatto che vi siano norme in proposito non vuol dire nulla, perché una forma di inciviltà dall'Italia è quella di abbinare norme complicate alla mancanza di qualsiasi intervento che le faccia rispettare. I politici di destra, di centro e di sinistra non si preoccupano di inibire i comportamenti incivili perché, essendo loro stessi incivili, non si lasciano coinvolgere da simili problemi, e perché possono utilmente (dal loro infame punto di vista) deviare il disagio su capri espiatori la cui persecuzione è portatrice di consenso elettorale. Così il degrado urbano viene attribuito agli extracomunitari, o alla vendita di merci contraffatte, o ai turisti che girano d'estate e torso nudo, o a chi sosta a rinfrescarsi sulle scalinate dei monumenti, e simili piacevolezze, mentre le città affogano nello smog, nel rumore, negli ingorghi delle automobili, nella sporcizia. Ma, al solito, i politici sono così degradati perché la popolazione stessa è degradata.
Compito di una nuova forza politica è anche, e fondamentalmente, quello di risvegliare l'esigenza di una rinascita di civiltà dei rapporti umani. È un compito di destra, di centro o di sinistra? È un compito nuovo, perché sono state la destra, il centro e la sinistra del nostro spettro politico che ci hanno spinto all'attuale inciviltà.

Conclusioni
Questa seconda parte potrebbe ovviamente continuare ancora a lungo affrontando i tanti problemi che oggi si pongono a chi abbia a cuore gli ideali di emancipazione e giustizia sociale che furono della sinistra. Concludiamo qui perché questo saggio è già molto lungo e non era nostra intenzione scrivere un programma di partito, ma solo indicare il tipo di impostazione mentale con la quale una forza politica di alternativa dovrebbe affrontare la realtà contemporanea. La creazione di una forza politica che, a partire dall’esaurimento storico delle categorie di destra e sinistra, imposti, secondo le linee indicate, la lotta contro la crisi di civiltà alla quale l’attuale sistema economico e sociale ci sta portando, è oggi il compito fondamentale per gli uomini e le donne “di buona volontà”.

Note

1.     M.Badiale, M.Bontempelli, Il mistero della sinistra, Graphos, Genova 2005. Id., La sinistra rivelata, Massari editore, Bolsena 2007.

2.     Come Norberto Bobbio nel suo fortunato pamphlet: N.Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli editore, Roma 1994.

3.     E’ l’interpretazione di Paul Krugman: “L’America ha ridotto l’inflazione nel modo più classico: congegnando un congruo periodo di stagnazione produttiva e di forte disoccupazione per indurre i lavoratori a ridimensionare le loro rivendicazioni salariali e le imprese a moderare i loro aumenti di prezzo. Durante gli anni Ottanta il governo federale degli Stati Uniti ha deliberatamente posto l’economia nella più profonda depressione sperimentata dopo gli anni Trenta” (P.Krugman, Il silenzio dell”economia, Garzanti, Milano 1991, pag.66).

4.     “Possiamo pertanto affermare che, da svariati punti di vista, l’economia internazionale è stata più aperta nel periodo precedente il 1914 di quanto non lo sia mai stata in un qualsiasi momento successivo, incluso il periodo dalla fine degli anni Settanta in poi”. P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione dell’economia, Editori Riuniti,  Roma 1997, pag. 43.

5.     2010

6.     Giugno 2010.

7.     Corriere della Sera, 17 giugno 2010.

8.     Pescando qua e là: ”Io credo sia il tempo di un grande patto tra i produttori. Un patto non per fronteggiare un'emergenza ma per un cambiamento radicale”; “il nostro è un Paese che ha una profonda malattia che si chiama assenza di innovazione”; “la Cgil deve stare dentro una sfida di innovazione”.

9.     Claudio Mezzanzanica “La soluzione? La gestione passi ai lavoratori”, Il Manifesto, 17 giugno 2010.

10.   “Una politica che cerchi di stabilizzare la domanda passa attraverso una diversa distribuzione dei redditi. È inutile strillare che la domanda è in calo se al tempo stesso ci si frega le mani perché la concentrazione della ricchezza è crescente. Politiche di riequilibrio sono assolutamente necessarie per uscire da questa recessione”, loc.cit.

11.   Le vicende successive, con la scelta della FIAT di spostare parte della produzione in Serbia, confermano il nostro giudizio. Secondo le analisi apparse sulla stampa, la FIAT va in Serbia essenzialmente per approfittare di finanziamenti UE e locali, e probabilmente con lo scopo di avviare la produzione per poi cederla. Si tratta in sostanza di un ulteriore passo della strategia di sganciamento dall'automobile perseguita dalla proprietà..

12.   Eugenio Scalfari, “A Pomigliano comincia l’epoca dopo Cristo”, La Repubblica, 20 giugno 2010.

13.   Diverso è il discorso sul piano intellettuale: molti intellettuali di valore, in rotta con la società borghese ma disgustati dal conformismo menzognero dei partiti comunisti ufficiali, finivano per aderire alle piccole formazioni comuniste dissidenti, e ivi trasportavano la propria intelligenza, cultura e capacità di analisi. In questo modo, pur in mezzo a molta paccottiglia dogmatica, emergevano talvolta da questi ambiti produzioni intellettuali di grande interesse.

14.     Come provano con solare evidenza le vicende della crisi economica recente: prima si sono trasformati debiti e passività del mondo finanziario in debiti pubblici, perché altrimenti la finanza sarebbe crollata e questo avrebbe bloccato il meccanismo dello sviluppo capitalistico; poi questo debito pubblico, accollato agli Stati per salvare la finanza, diventa occasione per attacchi speculativi della finanza stessa agli Stati, e questa situazione a sua volta si traduce in un attacco generalizzato alle condizioni di vita dei ceti subalterni, come quello realizzato dalla recente manovra finanziaria in Italia, e dalle analoghe misure prese negli altri paesi europei.

15.   Un altro punto che mostra come le tecnologie”ecologiche”, se messe al servizio dello sviluppo, abbiano effetti negativi, è quello del cosiddetto “effetto rimbalzo”: le tecnologie di risparmio energetico, proprio perché rendono più conveniente il  consumo, possono in realtà stimolare un aumento del consumo stesso. Su ciò si veda per esempio C.Gossart, Quando le tecnologie “verdi” spingono a maggiori consumi”, Le Monde Diplomatique-edizione italiana, luglio 2010.

16.   Ovviamente né destra né sinistra pongono in discussione il fatto che la distinzione fra “regolari” e “clandestini”è una arbitraria creazione delle leggi del paese di arrivo, nel nostro caso l'Italia.

17.   Su questi temi si veda il Dossier statistico immigrazione 2008, a cura della Caritas-Migrantes.

18.   Questo tema è approfondito in M.Pallante, Decrescita e migrazioni, Edizioni per la Decrescita Felice, Roma 2009.

19.   Guido Viale “L'alternativa a Marchionne”, Il Manifesto, 17 giugno 2010.

20.   Non casualmente, Guido Viale non riesce a trovare un soggetto politico al quale fare carico delle sue proposte, ed è costretto nel suo articolo a rivolgersi ad una generica “iniziativa dal basso”. Poiché tutte le attuali forze politiche sono interne all’orizzonte dello sviluppo, le proposte di Viale non possono essere prese in seria considerazione da nessuna di esse.

21.   Una simile definizione rinvia a molte altre domande basilari (ad esempio: chi e come decide il ruolo di ciascuno nella società? E dove sta la giustizia nell’accesso ai ruoli?), le risposte alle quali sono depositate nella storia della filosofia. Qui ne prescindiamo, per arrivare diritti allo scopo del nostro discorso.

22.   La sinistra aggiunge, alla sua totale sottomissione di fatto alla logica dei mercati, la disgustosa ipocrisia degli omaggi verbali alla Costituzione e agli ideali emancipativi della sinistra storica. Ciò vale anche per la cosiddetta sinistra radicale, che quando è stata al governo ha lasciato mano libera al mercatismo di Prodi.

23.   Le stime sull'entità di tali risorse sono ovviamente approssimative.

24.   Ci sarebbe una quinta fonte di finanziamento: l’esproprio delle ricchezze della criminalità organizzata. Non l’abbiamo inserita nell’elenco precedente, perché in questo intendevamo elencare le fonti permanenti di entrate. Coltiviamo la speranza che la criminalità organizzata non sia destinata ad essere una realtà permanente per l’Italia. L'importanza di tali misure di esproprio sta soprattutto nel fatto che permetterebbero la ricostituzione di un patrimonio pubblico (immobiliare, agricolo, edilizio) da utilizzare per una politica economica di tipo nuovo.

25.   In qualche edificio vicino di proprietà pubblica, se c’è, o in qualche appartamento che dovrebbe essere requisito alle società immobiliari per ragioni di pubblica utilità.

26.   La Stampa, 10 luglio 2010, pag.5.

27.   Inseriamo la sinistra radicale nell’arco della politica istituzionale perché ha dimostrato nei fatti che quello è il suo unico ambito di interesse, anche se per i suoi stessi errori ne è momentaneamente estromessa.

28.   La vicenda è raccontata per esempio all’indirizzo http://preve.blogautore.repubblica.it/2009/10/29/piano-casa-stoppata-la-colata/. All’ovvio rilevamento della contraddizione, Moreno Veschi ha risposto che dodici ore prima non aveva letto il documento in questione.

29.   Per altri esempi dell’insensatezza del linguaggio della sinistra radicale si veda M.Badiale, Rumore molesto, in R.Massari (cura di), I Forchettoni rossi, Massari editore, Bolsena 2007, pp.217-255.

30.   Un discorso a parte meriterebbe l'argomento fondamentale della lotta alle mafie, ma è un discorso che non facciamo per non allungare ulteriormente questo scritto. Il punto fondamentale qui è capire che le mafie non si sconfiggono senza spazzare via l'intero attuale ceto politico, che per convenienza ad esse si intreccia.

31.  L'esempio migliore viene dalla Marcegaglia, attuale presidente di Confindustria, la cui ditta di famiglia ha ricevuto a prezzi bassissimi tratti di costa sarda in occasione del G8 del 2009.