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I predatori delle foreste. Un affare da 30 miliardi

di Emanuele Bompan - 26/08/2010


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Gli strumenti finanziari alla base dei processi di riforestazione e riduzione delle emissioni di CO2 dovrebbero sempre incentivare interventi virtuosi. Ma troppo spesso prestano il fianco a truffe colossali.

Volo Milano-Barcellona: 1,21 tonnellate di emissioni di CO2 prodotte. Oggi esiste un modo per mitigare inquinanti azioni: si chiama offsetting, ovvero uno strumento finanziario fatto per ridurre le emissioni di gas serra dove i soldi raccolti compenseranno l’emissione prodotta tramite finanziamento di progetti per produrre energia pulita o per limitare le emissioni. Sul sito dove state comprando il vostro biglietto però avete un’ulteriore opzione. Pianta un albero. Per compensare il danno all’atmosfera della vostra azione potete contribuire ad un progetto di riforestazione o di preservazione di una foresta che una compagnia privata si premurerà di piantare o di tutelare da qualche parte nel mondo.
 
La CO2 catturata dalle piante vi assolverà da ogni peccato. Ma come nel medioevo l’introduzione del principio della perdonanza tramite oblazione questo spingeva ad eccedere nei propri peccati, anche l’offsetting non è sempre una soluzione veramente sostenibile, in quanto giustifica lo status quo piuttosto che spingere ad una decrescita sostenibile. E spesso chi assolveva era esso stesso un peccatore. La storia nel mondo dell’offsetting non è in fondo diversa. Spesso i processi di riforestazione hanno suscitato tanti dubbi dando luogo spesso a processi virtuosi e a truffe colossali. Foreste mai piantate, distruzione di boschi naturali sostituiti da piantagioni, meccanismi imperfetti. Sono una parte minoritaria di un meccanismo virtuoso? Indubbio, ma una mela marcia che può danneggiare l’intera cassa. Ma come è strutturato il sistema dell’offset e del carbon sink (riserve naturali che catturano la CO2)?
 
Capo Almir Narayamoga della tribù dei Surui, in Amazzonia, lo scorso dicembre, grazie ad un parere legale della firma Baker & McKenzie, è diventato proprietario di una fetta rilevante di certificati di emissione per scambiare crediti di emissioni di CO2. «Per noi il carbon offset è uno strumento importante per riconoscere i diritti delle popolazioni indigene a gestire il carbone delle proprie foreste». Improvvisamente la sua foresta primordiale ha acquisito un valore che può mantenere, preservandola nella sua integrità. Un progetto di successo per battere la deforestazione che in paesi come Brasile, Indonesia e Africa centrale è responsabile di una quota importante di emissioni di gas serra. In pratica il CO2 che le sue piante catturano viene dato ad imprese che sforano i tetti di emissione o sono interessate a compensate le emissioni di gas serra.
 
Quello di Almir è un esempio di successo di un meccanismo speciale dove se una foresta viene tutelata  da chi vigila realmente su di essa, si può generare un guadagno economico, tutelare la foreste primordiali e permettere a compagnie inquinanti di compensare le emissioni di CO2. Questo sistema è nato sotto gli auspici dell’Onu e si chiama Redd scheme (Reducing emissions from deforestation and forest degradation), e si occupa esclusivamente di foreste tropicali. Redd crea dei crediti che posso essere usati per compensare emissioni e tutelare i polmoni verdi del nostro pianeta mentre allo stesso tempo le nazioni in via di sviluppo possono vendere i certificati emissioni per raccogliere finanziamenti per proteggere le foreste o sviluppare progetti di energie rinnovabili.
 
Ne esiste una versione Redd+ (plus) un fondo da 4 miliardi di dollari che implementa il semplice Redd inserendo principi conservazione, gestione sostenibile delle foreste, incremento dell’assorbimento del carbonio. L’idea sulla carta è fantastica, ma i miliardi in gioco (oltre 30 quelli del mercato privato e continuano a crescere) sono davvero tanti. Il rischio che venga giocata una partita poco pulita è alto. Molte compagnie e governi lo sanno bene: la finanza del clima è un terreno oscuro, come lo è stato  quello dei derivati, dove i predatori possono fare ottimi guadagni.
 
Ad oggi, non essendo ancora stato approvato nessun nuovo accordo all’interno dei negoziati per il clima che costituisca un framework legale, esistono numerose aree grigie. Con il Redd, un albero tropicale vale circa un dollaro sul mercato internazionale delle emissioni, al netto del costo del CO2 (10 $ per tonnellata di CO2) scambiata sulle piazze internazionali. Ma chi prende il dollaro? Principalmente compagnie americane e europee. A Guaraqueçaba, Brasile, ad esempio sono arrivate numerose compagnie Usa. Hanno comprato con l’aiuto di alcuni “ambientalisti” pezzi di foresta sottraendoli alle popolazioni locali per pochi spiccioli.
 
Queste foreste hanno ricevuto crediti che poi potranno essere rivenduti sul mercato con ricavi milionari. Questo albero, per valere il suo dollaro, deve essere sottratto a coltivazioni illegali (specie soja) e ai tagliatori di boschi di frodo. Scagnozzi di gruppi criminali a volte o agenti di multinazionali senza scrupoli, ma spesso semplici contadini o indigeni che basano la loro esistenza su quegli alberi. «Dopo aver venduto gli indigeni scoprono che non possono più usufruire del legno della foresta in nessun modo», spiega Susanne Breitkopf, esperta di foreste e carbon finance di Greenpeace durante un’intervista rilasciata a Washington a Terra, «nonostante sia fondamentale per le loro capanne e per il fuoco e anche per alimentarsi».
 
Sono tranchant le associazioni di supporto alle tribù indigene. «Il Carbon trading e il carbon offsets attraverso le foreste degli indigeni sono crimini contro l’umanità e il Creato», afferma Tom Goldtooth, Executive Director del Indigenous Environmental Network. Chi s’introduce nelle foreste protette può essere arrestato da speciali unità di “green police”, forestali che pattugliano queste foreste manu militari e che impediscono qualsiasi accesso. E spesso aprono persino il fuoco. Come è successo al ventiquattrenne Henrique Souza Pereira, ucciso il 16 marzo 2010 dalla polizia privata della società Fibria. La “squadraccia” dichiarato che Henrique stava rubando del legno. D’altro parere il padre rimasto ferito durante l’azione della polizia.
 
«Siamo rinchiusi in aree piccolissime e non abbiamo risorse, stavamo solo raccogliendo solo qualche ramo». Storie simili anche dall’altra parte del globo. Secondo World News Australia una compagnia coinvolta in un progetto di Redd ha rapito Abilie Wape, il capo di una tribù di nativi in Papua New Guinea. Secondo Wape, sarebbe stato minacciato di morte dalle forze di sicurezza private se la sua tribù non avesse concesso i diritti sul carbone della foresta dove risiedono. In altri casi, denunciano associazioni come il Fern (Forests and the European Union Resource Network) e Greenpeace, le compagnie comprano pezzi di foresta, tagliano e ripiantano piantagioni come la palma da olio o  alberi da legno come il teck. Come è successo in Indonesia dove lo scorso 23 febbraio è emerso che il ministro per le foreste Zulkifli Hasan starebbe lavorando per accordi a porte chiuse per includere la palma da olio («non è nemmeno un albero», precisa Breitkopf) nella definizione di foresta in modo da includerla nei Redd.