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L’origine della musica è situata al di là di ogni individuazione. Massimo volume

di Valerio Zecchini - 01/09/2010

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“L’origine della musica è situata al di là di ogni individuazione, principio che si dimostra da solo, secondo la nostra disamina del dionisiaco. […] Non è dunque possibile discorrere di una necessaria relazione tra la poesia e la musica; poiché i due mondi del suono e dell’immagine, qui confrontati, sono così estranei da non aver niente più che un collegamento superficiale; la poesia è puro simbolo e sta nei confronti della musica come il geroglifico egizio della prodezza sta nei confronti di un prode guerriero”. Così Friedrich Nietzsche nella “Nascita della tragedia” dichiara la superiorità assoluta della musica su tutte le altre arti; sulla scorta del pensiero di Schopenauer, egli crede che la musica rappresenti la metafisica di ogni fisica del mondo.

Secondo Nietzsche la musica ha prodotto da sé il mito tragico: è questa la nascita della tragedia dallo spirito della musica; nel dominio della creazione artistica il contrasto appare tra l’arte – dionisiaca e non figurativa- del musico e quella – apollinea- dello scultore e dell’epico; ovvero, come Nietzsche spiega secondo un’analogia fisiologica, tra i separati mondi artistici dell’”ebbrezza” e del “sogno”.Se dunque si accostano musica e poesia, il sogno non riuscirà a interferire più di tanto con l’ebbrezza, al massimo potrà servirle da accompagnamento, e inevitabilmente “ il contenuto verbale naufraga inascoltato nell’universale mare sonoro”. E ciò accade anche perché in realtà il poeta compone solo per sé stesso: “Una lirica, una musica vocale, è solo per chi canta: l’ascoltatore vi sta di fronte come a una musica assoluta”.

Stando alle più palesi testimonianze, il genere operistico iniziò proprio a causa dell’esigenza dello spettatore di comprendere la parola; siccome ancora oggi c’è bisogno di voluminosi programmi di sala per far comprendere trama e dialoghi al pubblico dei teatri d’opera, come non dar ragione a Nietzsche? Allo stesso modo il grande pubblico della musica pop odierna presta poca attenzione ai testi delle canzoni, al massimo memorizza qualche ritornello particolarmente orecchiabile, e soprattutto s’innamora del tono e del timbro vocale – raramente del significato delle parole. Ultimamente c’è stato però chi, nell’ambito della scena rock/pop italiana, ha voluto agire contronatura: ha cercato cioè di far prevalere il “sogno” rispetto al predominio dell’ “ebbrezza”, recitando i testi delle canzoni (o poesie, o racconti) invece che cantarli – insomma una ferrea volontà di ribaltare i ruoli, per mettere in risalto il più possibile il significato del testo. Pioniere di questo nuovo genere fu Giovanni Lindo Ferretti negli anni ottanta con i suoi CCCP (poi CSI e in seguito PGR), il quale continua ancora oggi con successo la sua carriera da solista. Dagli anni novanta in poi questo filone musical-letterario si è arricchito e variegato: i principali gruppi che ne hanno sviluppato ed esplorato le possibilità si chiamano Massimo Volume (post-rock), Virginiana Miller (folk rock), e in ambito elettronico ed electro-noise Post Contemporary Corporation e Offlaga Disco Pax – ma potremmo includervi certi brani della coppia Manlio Sgalambro-Franco  Battiato.

E’ importante non confondere questo genere col rap e l’hip-hop: il rapper infatti crea le proprie rime per innestarle sulle ritmiche della canzone, mentre nella letteratura elettronica/rock (proviamo quest’etichetta) è la musica a mettersi al servizio del testo, del suo significante e del suo significato, seguendo come si è detto la ferma volontà di andare contronatura, alla ricerca di atmosfere inedite. Anche la cosiddetta poesia sonora non rientra in questo genere, in quanto si tratta in fondo di reading poetici accompagnati da suoni particolarmente elaborati e dove la voce viene amplificata ed effettata elettronicamente.

Questo genere tutto italiano ha invece avuto antecedenti importanti nel rock d’avanguardia americano: Patti Smith (che infatti nasce come poetessa e mantiene il recitato in alcune delle sue prime canzoni), Laurie Anderson (diverse delle sue composizioni sono veri e propri racconti musicati) e soprattutto Lou Reed; quest’ultimo, nel suo terzo album con i Velvet Underground (1969) inventa di sana pianta il racconto musicato – ce ne sono due e sono due capolavori: “The gift” e “The murder mystery”. La musica qui funge da vero e proprio commento sonoro del racconto; inoltre, la musica esce da una cassa dello stereo e la voce dall’altra, creando un potente effetto straniante. Lou Reed manterrà questa forte impronta letteraria in tutta la sua produzione discografica solista e raggiungerà il suo apice con “The Raven” (2003), concept-album su Edgar Allan Poe. Per il resto, l’inglese Anne Clark è l’unico nome importante in Europa ad applicare il recitato (spoken word) alla sua musica elettro ambient, con un meritato successo di critica e di pubblico.

I Massimo Volume si erano sciolti nel 2002. Il leader Emidio Clementi, dopo un’interessante avventura in territorio elettronico-sperimentale come “El Muniria” (con Dario Parisini, leggendario chitarrista già con Disciplinatha, Post contemporary Corporation e gli stessi Massimo Volume), che produsse il pregevole disco omonimo, continuò i suoi reading con accompagnatori vari e la sua attività di scrittore; fino al 2008, quando i Massimo Volume si sono riformati, con un nuovo chitarrista proveniente dall’ambito della musica contemporanea, Stefano Pilia. “Bologna Novembre 2008” documenta il tour del rientro sulle scene nella loro città d’origine, Bologna. Si tratta di un concerto eccellente, che presenta il meglio del loro repertorio e mostra una band in ottima forma. La voce profonda, stentorea e sempre sull’orlo della disperazione di Clementi, l’impeccabile precisione della sezione ritmica e i riff  lancinanti e possenti delle due chitarre ne fanno a mio avviso uno degli album più belli della storia del rock italiano, al livello di capolavori come “Felona e Sorona” delle Orme o “La cura” di Franco Battiato.

“Matilde e i suoi tre padri” è invece l’ultima prova letteraria del Clementi scrittore e narra una vicenda familiare ambientata a Bologna, sua città d’adozione, tra gli anni settanta e ottanta. La bambina Matilde e sua madre si muovono tra i tumulti del Movimento del ’77, l’amore libero e le droghe, i viaggi in una California vissuta come terra promessa. La piccola osserva questo mondo di grandi fatto di regole infrante e di neofamiglie allargate, cercando ogni volta, a modo suo, di raggiungere un personale precario equilibrio. Comincia però a capire che “la gente che mi ama non è in grado di proteggermi” e intuisce che deve darsi da sola una disciplina di vita che la renda forte. Il romanzo scivola così dal sogno che lasciavano presagire i lisergici anni settanta verso una realtà sempre più amara, mentre quella che doveva essere una rincorsa verso la felicità si tramuta bruscamente in un desiderio di normalità.

Clementi narra con uno stile asciutto e gradevole, racconta senza giudicare, anche se emerge talvolta una visione del mondo un po’ semplicistica. Qui sembra proprio contraddire sè stesso:”Nell’era della flessibilità anche la famiglia diventa un organismo a geometria variabile: pochi figli, genitori a tempo, soluzioni improbabili. La ricetta sembra funzionare”. Ma sappiamo tutti benissimo che non è così. Anzi, è vero il contrario e se ne ha la netta sensazione soprattutto dopo aver finito questo libro.

Si ha anche l’impressione che per Clementi (ma purtroppo è un’opinione assai diffusa) esistano oggi solo due modi di vivere: la normalità e il quotidianismo borghese, o in alternativa la marginalità da neohippy o da punkabbestia dei centri sociali – ma per fortuna c’è dell’altro. In definitiva, un’opera più che egregia, ma continuiamo a preferire il Clementi frontman dei Massimo Volume e la potenza evocativa dei suoi mini-racconti rock.

 

EMIDIO CLEMENTI

MATILDE E I SUOI TRE PADRI
RIZZOLI

 

MASSIMO VOLUME
BOLOGNA NOVEMBRE 2008

MESCAL CD/VINILE