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Diffidate gente del cibo senza un territorio

di Roberto Burdese - 06/09/2010






La protesta dei pastori sardi, le grandi preoccupazioni del settore vitivinicolo alla vigilia della vendemmia e la crisi del pomodoro da industria sono le ultime 3 istantanee della sempre più sofferente agricoltura italiana. L’interrogativo che ci poniamo ormai tutti è «come usciremo da questa crisi?». Una delle risposte convincenti consiste a mio avviso nel riaffermare il binomio cibo/territori, su cui si può tentare di rifondare tutta la nostra agricoltura. Il legame tra un cibo e i suoi territori di origine non è questione di marketing, quanto piuttosto una visione complessiva da adottare e poi perseguire in ogni passaggio della filiera produttiva. La nostra agricoltura ha parecchie complessità, che in altre visioni sono considerate limiti e inefficienze: un territorio principalmente collinare se non montano, una grande varietà di climi e suoli, una ricca biodiversità, per citare solo alcuni caratteri. Tutto quanto porta valore aggiunto al prodotto finale e questo va raccontato e valorizzato, a partire dal fatto che alle sue spalle c’è un territorio: un cibo senza territorio è un cibo senza identità, di cui non è sbagliato diffidare. Non dimentichiamo poi che senza territori non ci sarebbe cibo e sciogliere questo vincolo forte significa snaturare gli uni e l’altro. Abbiamo scelto “cibo e/è territori” come tema portante di Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre 2010, convinti che rafforzare questa relazione possa essere la carta vincente per tutte le agricolture buone, pulite e giuste del mondo.

 

 

Tratto da Agricoltura - La Stampa