Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Economia e politica: troppa confusione di ruoli

Economia e politica: troppa confusione di ruoli

di Gianfranco La Grassa - 08/09/2010



   Il Presidente della Repubblica ha sentenziato alcuni giorni fa che la politica dovrebbe occuparsi di più di economia; e successivamente che occorre una politica industriale. Sembrano semplici opinioni; che tuttavia quando escono da quel pulpito, e in occasioni ufficiali, si trasformano in precise indicazioni (per non dire intimazioni) politiche. Fare politica, compresa quella economica, spetta all’esecutivo con la supervisione del legislativo. Incredibile che chi blatera di difesa della Costituzione, aggredita dai “barbari”, sia poi così strabico da non vedere che in Italia il Presdelarep è solo il garante d’essa; i suoi interventi a questo dovrebbero essere mirati, senza nessuno sconfinamento nell’esecutivo. Altrimenti, è ora che anche da noi si elegga questa carica, con metodo alla francese o all’americana, tra due schieramenti contrapposti; lasciando però la decisione agli elettori, che così sceglieranno chi deve essere l’effettivo capo dell’esecutivo, non un semplice garante di ciò che viene continuamente “strappato” a seconda delle preferenze di una parte politica.
   Veniamo poi al contenuto dell’affermazione: la politica deve occuparsi di più – e, immagino, soprattutto in questo periodo di crisi – di economia (la politica industriale è specificazione dello stesso ambito). Affermazione di per sé di buon senso; ma un po’ come quello che suggerisce di cuocere per almeno 7-8 minuti un uovo se lo si vuol avere ben duro. Intanto, ogni volta che ci sono incontri con Gheddafi o con Putin e altri del genere (recentemente anche con il Turkmenistan per un rilevante accordo sul gas), invisi ad un certo schieramento politico ben individuato, si concludono affari per miliardi, che interessano soprattutto alcune nostre grandi imprese di punta, del tutto strategiche per lo sviluppo e quindi per una possibile ripresa economica; ne beneficiano però non solo queste ultime, bensì vasti settori della piccolo-media imprenditorialità italiana. Simili affari, poiché sono promossi e patrocinati in incontri ufficiali tra capi di Governo e di Stato, appartengono all’ambito della politica economica. Incredibilmente, essi non sono valorizzati e propagandati per quello che sono nemmeno da chi li realizza, dalla parte governativa. Dagli altri, dalle sedicenti opposizioni, sono comunque combattuti ad oltranza.
   Interessarsi di economia (di politica economica) non significa però fare solo affari all’estero; certamente vi sono anche altre scelte più “interne”. Tuttavia, nell’epoca (multipolare) in cui stiamo entrando, la politica estera è fondamentale per l’economia, assai più di quando si cianciava a vuoto di “globalizzazione”, come se esistesse soltanto la “mano invisibile” del mercato mondiale. Simile visione superficiale è stata possibile per una decina d’anni, dopo il “crollo dell’Urss”, con il mondo dominato e regolato da ambienti statunitensi (non da un’unica “mente direttiva”). Oggi ricomincia un confronto più simile a quello svoltosi a cavallo tra otto e novecento, dopo il declino del dominio inglese. La politica estera degli Stati nazionali, per null’affatto scomparsi come voleva la vulgata di destra e di sinistra (in specie dei settori “estremi” di quest’ultima), è ridivenuta essenziale anche per l’economia.
   Se poi parliamo di una politica economica rivolta specialmente all’interno, è del tutto evidente che quest’ultima, come quella estera, dipende dalla compattezza di un esecutivo. Se tale compattezza viene a mancare – e perché una parte degli eletti nello schieramento di maggioranza si stacca di fatto da quest’ultimo e ne paralizza il funzionamento (tralasciamo adesso i motivi per cui lo si fa, che sono tuttavia molto scoperti) – non ha senso pretendere che l’esecutivo in questione si dedichi prevalentemente all’economia, come se questa fosse staccata da tutti gli altri aspetti della politica; e soprattutto dalla politica estera, che quella parte staccatasi dalla maggioranza contesta in toto, proprio come l’opposizione.
   A questo punto, prima ancora di parlare di economia e politica industriale, si deve scegliere che cosa s’intende per “democrazia”, alla quale, sia chiaro, il sottoscritto non è per nulla affezionato; non almeno a quella meramente elettoralistica. Tuttavia, i semplici giochi parlamentari per paralizzare un governo e arrivare, con il beneplacito del “garante della Costituzione”, a vararne un altro che si “interessi di economia” – in realtà che rovesci completamente l’indirizzo generale della politica (in primis quella estera) del precedente, quello che aveva ricevuto la maggioranza dei voti – non hanno proprio nulla a che vedere con questo tipo di “democrazia”, su cui si blatera invano a ruota libera. Per essere coerenti con la visione “democratica” che si sostiene, è invece indispensabile interpellare nuovamente i cittadini consegnando loro la scheda elettorale. Si chiarisca infine, senza tanti balbettii, di quale “democrazia” si sta parlando; di quella di “una testa, un voto”, oppure dei giochi parlamentari guidati da potentati italiani e stranieri che vogliono i cittadini italiani simili a greggi di pecore?
   Parlare di economia – come accennato dal Presidente della Repubblica in merito a politiche che spettano all’esecutivo – è, nell’attuale mefitico contesto politico fatto di passaggi di campo e tranelli vari, del tutto ambiguo nella sua assoluta genericità. Può destare inoltre molti sospetti, soprattutto tenendo conto che si sta perdendo tempo prezioso proprio per l’economia a causa dell’impossibilità di varare, e soprattutto applicare senza tentennamenti, energiche misure in tale direzione. E tutto questo solo perché si vuol estromettere un uomo dal Governo, anche a costo di creare un’ammucchiata indecente, priva di qualsiasi denominatore comune, di un qualsivoglia progetto politico salvo quell’unico scopo di estromissione; che non concerne per nulla un uomo (ritenuto “indegno”) – questa la verità che l’ignobile gioco in atto cela – giacché si vogliono semplicemente esaudire i desideri della “manina d’oltreoceano” e dei suoi complici industrial-finanziari italiani.
   Questi tentativi vanno respinti, finché non si dichiarano apertamente gli scopi politici del contendere. Alcuni si trincerano dietro la morale: o sessuale o dei presunti ladrocini. Altri, più navigati, dirottano con dichiarazioni improprie l’attenzione sull’economia, uno dei pochi campi (forse il solo) su cui il governo ha fatto qualcosa, soprattutto – lo ripeto – per quanto concerne gli importanti affari conclusi all’estero. Ecco a che cosa serve il non rispetto dei diversi ruoli. Tuttavia, sia chiaro, tutto il ceto politico, non soltanto una parte d’esso, è responsabile dello sconquasso che si sta provocando. Una parte si comporta in cotale modo perché composta solo di emeriti provocatori, ammucchiatisi alla rinfusa per servire chi si è già detto; un’altra parte perché, servendo in fondo gli stessi padroni, non ha alcuna forza per dire basta e “tagliare alla radice” ogni provocazione e ogni confusione di ruoli.
   “Ovunque il guardo io giro”…….non vedo proprio l’“immenso Dio” di Metastasio, ma uomini piccoli piccoli, le cui “opre” non ammiro affatto e in cui non mi riconosco per nulla; anzi “s’i’ fosse foco, arderei” questo mondaccio di voltagabbana, di mestatori, di “giocatori delle tre carte”, insomma di uomini meschini che si arrogano il diritto di vessarci con le loro desolanti manovrine. E sono stati eletti “democraticamente” da “nostri simili”; ma che ci avranno in testa! “Uana gana, texas, kaansas citi” diceva l’“americano a Roma” (per la verità, il suono sconnesso non era proprio questo ma grosso modo simile, cioè simile alla sedicente politica dei politicanti italiani che accarezzano la “manina d’oltreoceano”). Si combattano i nuovi “americani d’Italia”.