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Punto di fuga

di Gianluca Freda - 13/09/2010

   
   

“Tutti concordiamo sul fatto che la vostra teoria sia folle. Il problema che ci divide è se essa sia abbastanza folle da avere una possibilità di essere corretta. La mia sensazione è che non sia folle a sufficienza." (Niels Bohr)

Hanno ragione i nostri detrattori. Noi blogger, abituati da anni a snobbare e deridere l’informazione cartacea e televisiva, viviamo sicuramente in una realtà tutta nostra. A volte perdiamo il polso della realtà esterna e non riusciamo a realizzare fino a che punto ce la siamo lasciata alle spalle.
La “realtà esterna” a cui mi riferisco è quella che sono solito definire “interpretazione condivisa” del percepibile.



Un tale cade dal cinquantesimo piano di un grattacielo e si spiaccica sul selciato. Questa è “realtà”. A nessuno verrebbe mai in mente di sostenere che la realtà possa essere qualcosa di diverso.
Ad esempio che un volo dal cinquantesimo piano possa produrre effetti differenti da quello esemplificato. Senza voler sprofondare troppo in oziose elucubrazioni hegeliane, vorrei però che il lettore provasse ad immaginare per un istante (e per assurdo) la stessa scena dal solo punto di vista oggettivo e fenomenico; immaginando cioè che non vi sia nessuna soggettività, nessuna coscienza, nessuna forma di consapevolezza interpretante (né quella dello sventurato precipitante, né quella di nessun altro) ad attribuire senso all’evento. E’ abbastanza evidente che la “realtà” che ho descritto perderebbe ogni parvenza di significato. Sul piano puramente fenomenico, i concetti di “grattacielo” e “selciato” sono privi di senso. E’ l’osservatore che separa l’uno dall’altro i componenti della materia, assegnando a ciascuno un nome. In fisica delle particelle i concetti di “vita” e “morte” sono astrazioni non quantificabili e tra un corpo vivo e uno sfracellato sul selciato non esiste una differenza apprezzabile. Per dirla tutta, la stessa distinzione tra un corpo umano e la materia circostante non ha molto significato. Anche il principio di causa/effetto, così basilare nella nostra logica (lo schianto sul marciapiede è effetto della caduta) è per l’appunto solo un prodotto della logica e non ha alcun senso, ad esempio, nella meccanica quantistica dei corpuscoli.

Il poveretto sfracellato sull’asfalto è dunque reale? Certo che sì. Ma “reale”, non bisognerebbe mai dimenticarlo, non è il mondo in sé, ma il nome che diamo ad un’interpretazione dei fenomeni che abbia raggiunto un sufficiente grado di condivisione collettiva.

Da che esiste l’uomo, sono le élite dominanti di un determinato consesso sociale a fornire i parametri su cui dovrà fondarsi tale condivisione. Per questo motivo, quasi tutto ciò che sappiamo del mondo è il prodotto di una convenzione culturale imposta per via diretta o indiretta dalle forze che gestiscono la società in cui viviamo e che abbiamo, fin da bambini, “succhiato col latte materno” dall’ambiente circostante. Gli strumenti attraverso i quali viene posta in atto questa “condivisione” che chiamiamo realtà, sono quelli della propaganda (media, scienza, letteratura, predicazione religiosa, ecc.), gestiti con ferrea determinazione da coloro che, di volta in volta, riescono a porsi al vertice della piramide sociale. La “realtà” che ci viene proposta sarà sempre, pertanto, quella più favorevole ai progetti dell’élite che guida le masse nel momento storico contingente.

Esistono però situazioni atipiche, solitamente riscontrabili in quelli che chiameremo “periodi di transizione”. Sono i momenti in cui la vecchia élite inizia a dissolversi, la “realtà” di cui si era fatta garante si indebolisce, i suoi strumenti di propaganda affannano dietro l’incalzare di nuove reti di organizzazione percettiva gestite da una nuova élite, che si fa portatrice di un nuovo schema di elaborazione dei fenomeni. Questi peculiari momenti storici sono caratterizzati da quella che potremmo chiamare una “sovrapposizione coerente” di realtà. Il mondo perde la sua univocità e si presenta in coppie di variabili non compatibili, la cui natura è spiccatamente probabilistica. In meccanica quantistica si definirebbe questo stato di coesistenza di realtà oscillanti come “onda di probabilità” indeterminate, che attende l’intervento misuratore risolutivo di un osservatore specifico per collassare in un valore definito.

Mi sono fatto l’idea che stiamo vivendo in una realtà “oscillante” di questo tipo leggendo questo articolo di Le Monde sugli eventi dell’11 settembre 2001. Non potrebbe esserci migliore esemplificazione di come il principio di indeterminazione di Heisenberg sia applicabile alle due opposte e coesistenti interpretazioni con cui l’umanità percepisce oggi la dinamica di quei fatti. Le due interpretazioni (che definiremo “ufficialista” e “investigativa”) si presentano infatti come una coppia di osservabili non compatibili, nei quali quanto maggiore è la conoscenza di una delle due versioni tanto più completa sarà l’assenza di conoscenza sull’altra.

Ad esempio, io ero del tutto ignaro che la conoscenza degli eventi dell’11/9 da parte dei giornalisti “mainstream” (perfino giornalisti leggermente meno “embedded” della media generale, come quelli di Le Monde) fosse così paurosamente arretrata, superficiale, imprecisa come quella che mostra di possedere Heléne Bekmezian, autrice dell’articolo in questione. La Bekmezian non sa nemmeno che le torri furono colpite (secondo la versione ufficialista) da aerei di compagnie diverse, la United e la American Airlines; sembra non sapere nulla del WTC7, la terza torre crollata inspiegabilmente senza mai essere stata colpita da alcun aereo e diventata ormai tra gli artefici della versione investigativa ancor più celebre delle altre due; parla di rivendicazioni di Al-Qaeda senza sapere che il video in cui Bin Laden dichiarava la propria responsabilità negli attentati è stato dimostrato falso, da anni, al di là di ogni ragionevole dubbio; non si degna neppure di citare lo schianto di AA77 sul Pentagono e le molte ricerche compiute anche su questo improbabile avvenimento. Voglio dire: non stiamo parlando di uno dei tanti giornalisti pagati per nascondere i fatti; stiamo parlando di una giornalista che, al contrario, vorrebbe evidenziare, sia pur con estrema cautela, alcune vistose contraddizioni della versione ufficiale. Ma non sa nulla di nulla delle ricerche e dei risultati raggiunti dalle investigazioni indipendenti in questi nove anni, esattamente come io ignoravo totalmente che la visione dei fatti propria degli ufficialisti fosse rimasta alla preistoria. Siamo di fronte a due distinte e incompatibili percezioni sovrapposte della stessa realtà osservabile, una delle quali (quella degli ufficialisti) mira a tenersi disperatamente alla larga da ogni misurazione che farebbe collassare la funzione d’onda in senso ad essa sfavorevole, provocando la sua definitiva rimozione dal campo probabilistico.

Questo terrore di affrontare la fase di misurazione (vale a dire: di confrontarsi con nove anni di indagini e scoperte da parte dei ricercatori indipendenti) è particolarmente palpabile nei commenti dei lettori presenti in calce all’articolo. E’ un vero e proprio fuggi fuggi generale, una sarabanda di anatemi e urla di spavento, un disperato invito al silenzio rivolto ad una giornalista che, pur servendosi di un testo estremamente blando ed equilibrato, osa ricordare agli ufficialisti che essi sono soltanto una delle due variabili probabilistiche in superposizione. Come un atterrito gatto di Schrödinger, i credenti della versione ufficiale si aggrappano disperatamente con le unghie al coperchio della scatola in cui sono rinchiusi, tentando di scongiurare l’eventualità che un osservatore la apra per constatare il loro decesso. “Questo conferma i miei peggiori timori sul carattere pandemico delle idee cospirazioniste”, scrive un lettore di Le Monde, che vorrebbe probabilmente introdurre contro il “complottismo” un apposito vaccino, come quello contro l’influenza suina.

Un altro paragona le ricerche sull’11 settembre alle teorie sull’assassinio di Lady Diana e sull’inesistenza di Napoleone. Il problema, a suo avviso, è che “la modesta realtà di un gruppo di fanatici ben organizzati a bordo di aerei comuni è troppo piatta” per i complottisti; così ci pensa lui a ravvivarla un po’ raccontando qualche barzelletta.

Un lettore che si firma JPX la butta, con qualche ragione, sul piano dell’approfondimento giornalistico: “Ciò che principalmente si può rimproverare all’articolo è la sua vacuità. E’ vuoto, approssimativo, vagamente informativo. Sembra Wikipedia... ma il problema è che non mi sono abbonato a Le Monde per avere Wikipedia”. Se fossi in lui, farei a Wikipedia un monumento. Se davvero la Bekmezian avesse consultato e rese note le conclusioni cui sono giunti in questi anni molti gruppi di professionisti indipendenti, anziché adottare il “dico-non dico” dei felini terrorizzati, probabilmente i lettori di Le Monde avrebbero dovuto assoldare un sicario per abbatterla sul posto.

Le accuse di blasfemia sono un coro, strepitato con voce rotta dall’incredulità: “Questo articolo è indegno. Esso apre la porta ad una follia di natura religiosa, fondata sulla credenza popolare e sul mito. Ed è su Le Monde! Allucinante. A quando un articolo favorevole ai negazionisti corredato di qualche indirizzo internet?”. Speriamo presto. Poche cose, nella vita, sono più divertenti di un prete che va fuori dai gangheri di fronte a chi gli contesta la Trinità.

“Assolutamente INESCUSABILE che una giornalista dia spazio ai deliri cospirazionisti di estrema sinistra che circolano su internet...”, scrive un disperato nel timore di veder crollare il suo piccolo e comodo mondo in cui destra e sinistra sono le uniche direzioni consentite nella circolazione semaforica del pensiero.
I lettori troppo spaventati per emettere suoni intelligibili, si aggrappano alle minacce di boicottaggio economico (“ho intenzione di disdire il mio abbonamento!”) oppure all’accusa fine-di-mondo di fare il gioco del Satana Islamico (“Le bugie e la disinformazione, soprattutto via internet, fanno il gioco degli islamisti radicali. Complimenti a coloro che mettono in dubbio un crimine efferato di cui sono capaci solo i razzisti radicali”).

Tutta questa cagnara, si badi bene, per un articolo che, alla fine dei conti, non dice niente di niente, che si limita ad accennare in modo estremamente generico a “dubbi” sulla versione ufficiale, senza minimamente citare le molte certezze sulla demolizione controllata degli edifici del WTC cui è giunta la ricerca investigativa nel corso degli anni. Vero è che, tra tanti lettori in fuga dinanzi all’ignominia della verifica sperimentale, ve ne sono anche alcuni che si complimentano con l’autrice per aver osato portare su un giornale dell’establishment l’empietà sacrilega della negazione della fede. Curiosamente, costoro non vengono né maledetti, né insultati, né tantomeno (ovviamente) affrontati sul piano dialettico. Ci si limita a ignorarli, a fingere di non vederli, ad abbassare lo sguardo di fronte alla loro presenza come un asceta cristiano chiuderebbe gli occhi dinanzi ad un’apparizione di Osiride.

Ne traggo due conclusioni. Primo: tra le due realtà in superposizione, quella degli ufficialisti è, nel pacchetto d’onda, dotata del valore minimo di distribuzione delle probabilità. Il più piccolo intervento di misurazione da parte di un qualsiasi osservatore rischia di innescare il suo decadimento dallo stato metastabile, confinandola nella periferia probabilistica dei “molti mondi” everettiani a tenere compagnia a Giulio Cesare mentre si reca, con le tre caravelle, alla scoperta dell’America. Gli ufficialisti lo sanno bene e sono molto nervosi. Le ultime rilevazioni statistiche dicono che il 74% circa degli americani (e figuriamoci il resto del mondo!) li ritengono ormai, abbastanza apertamente, l’equivalente, per affidabilità scientifico/interpretativa, di un doppio cheeseburger con senape. Non provate ad aprire la loro scatola o vi graffieranno, miagolando e strepitando come gattacci impazziti.

Secondo: sul tema dell’11/9 stiamo assistendo ad un conflitto fra stati probabilistici di realtà che presuppone necessariamente l’esistenza di un conflitto retrostante tra élite culturali, in lotta per la prevalenza e dotate di mezzi di propaganda contrapposti. Questa constatazione mi crea qualche problema interpretativo. Se infatti è evidente la natura dei mezzi di comunicazione in conflitto (stampa e tv da una parte contro le nuove tecnologie informatiche dall’altra), mi risulta assai difficile individuare i connotati della nuova élite che li sta utilizzando per emergere progressivamente su quella in fase d’obsolescenza. Siamo forse noi smanettoni, chattari e bloggettari, ad essere in procinto di relegare i vecchi demiurghi della realtà nella periferia quantistica dei mondi a bassa frequenza probabilistica? E’ arduo da credere. Non mi sento così importante e non sono così superbo. E’ invece più probabile che la nascita della rete informativa di internet rifletta l’instabilità dello scenario politico attuale, in cui gli spazi di libertà comunicativa apertisi all’improvviso sono il portato di una nuova fase multipolare, con nuove realtà statuali ed economiche che si affacciano alla scena del mondo, contendendo l’alloro della supremazia alla decrepita Unica Superpotenza Amica in fase di declino e di perdita di controllo. In parole povere: non siamo noi (ahimé) la nuova élite, semplicemente ci muoviamo, più o meno liberamente e consapevolmente, fra le crepe aperte nella vecchia realtà dall’esplodere del conflitto tra élite. I risultati di questo conflitto e i caratteri del gruppo neocontendente sono elementi non ancora ben definiti, ma una cosa è certa: chi ha adottato come strumento divulgativo le nuove tecnologie (e permette indirettamente, tra le altre cose, la diffusione della versione “investigativa” sull’11/9) sta avendo, per il momento, la meglio. E alla grande.

Cito un’esperienza personale: nel luglio scorso mi sono trovato a partecipare agli esami di maturità presso un istituto per geometri. Si è presentato un ragazzo, con una tesina sul grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa di Dubai. Parlando con uno degli altri insegnanti, ha iniziato ad esporre le caratteristiche tecnico/ingegneristiche dell’edificio, studiate apposta per limitare i danni strutturali in caso d’impatto con i velivoli. D’istinto, mi è venuto alla mente il parallelismo con gli edifici del WTC, che, secondo le assurdità sostenute dagli ufficialisti, sarebbero crollati fino alle fondamenta – caso unico nella storia dell’edilizia – a causa dell’impatto con un aereo, come se i progettisti non avessero tenuto conto, nel costruirli, di questa eventualità (e sorvoliamo sul WTC7, che avrebbe fatto la stessa fine a causa di un semplice incendio). Mi sono morso la lingua per non fare al ragazzo la domanda che mi veniva alle labbra: “secondo te, si tratta dell’unico grattacielo costruito con questi criteri?”. Una domanda del genere mi avrebbe portato direttamente a parlare dell’11/9 e di ciò che penso della teoria dei 19 arabi telediretti dalla bat-caverna in Afghanistan. Preferivo evitarlo. Agli esami di maturità ci si trova in istituti esterni, fra professori, studenti e presidi che non si conoscono. Inoltre, per la mia esperienza, gran parte del ceto insegnante (con qualche vistosa ma infrequente eccezione) sposa istintivamente le tesi dell’ufficialità, come legittima e spontanea forma di tutela della propria posizione. Non mi sembrava il momento opportuno per tenere una conferenza sulle tecniche di manipolazione mediatica delle masse.

Invece, con mia somma sorpresa, è stato proprio uno dei membri interni della commissione a proporre l’obiezione che avevo in mente io. Ha poi espresso, con grande chiarezza e con la competenza di un conoscitore della materia, tutte le sue perplessità sul crollo degli edifici del WTC. Ne è nata una breve e liberatoria discussione in cui ciascun insegnante ha proposto i suoi dubbi sulla versione ufficiale all’attenzione degli altri. C’era nell’aria un senso di sincera sorpresa, come se a ciascuno sembrasse irreale poter rendere esplicita la propria convinzione che l’informazione ufficiale sia un cumulo di ridicole e puerili menzogne. Se nemmeno gli insegnanti delle scuole superiori si fidano più della realtà confezionata dagli ufficialisti e dai loro strumenti di tutela dell’ortodossia, vuol dire che i teorici del “complotto islamico del malvagio stregone” hanno i giorni contati.

Non è colpa loro. Le loro fandonie erano abbastanza stupide e folli da entrare nell’immaginario collettivo e rimanerci per secoli, come la favola dei bambini fenici sacrificati al dio Cronos inventata da Diodoro Siculo in funzione anticartaginese. Un fumetto splendido, d’idiozia sublime e rutilante realizzazione, con tutte le carte in regola per entrare a far parte delle favole della buonanotte che gli studenti di tutto il mondo studiano con sollecitudine sui testi di storia. Come potevano sapere che si sarebbero trovati a vendere la propria realtà proprio nel momento in cui essa entrava in superposizione con un’altra, nel bel mezzo del declino precipitoso dei loro referenti culturali, alla vigilia di una fase di misurazione della funzione d’onda, il cui collasso non promette, per il loro universo, niente di buono? Potete chiamarli venduti, se volete. Ma a casa mia, signori, questa si chiama sfiga.

Gianluca Freda