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Si alla carne, ma allevata come si deve

di George Monbiot - 13/09/2010

   
   

Il motivo etico contro il consumo di carne un tempo sembrava chiaro. Ma c'è un nuovo libro che è un mattatoio per le argomentazioni ambigue.

Non mi sarà facile scrivere questa rubrica. Sto per buttar giù 1200 parole a favore di un libro che, sin dall'inizio, sferra attacchi contro di me. Tuttavia, è riuscito a convincermi che mi sbagliavo, anzi, mi ha aperto gli occhi su alcune affascinanti complessità di quello che sembrerebbe essere un caso in bianco e nero.

Nel 2002, nel Guardian, ho parlato dell'enorme aumento della quantità di bestiame del mondo, e il rapporto tra il loro consumo di cereali e la malnutrizione umana. Analizzando le cifre, sono giunto alla conclusione che il veganismo “è l'unica risposta etica a quella che è probabilmente la più grave questione di giustizia sociale del mondo”. Ancora penso che trasformare sempre più vaste aree arabili da fonte di nutrimento per le persone a fonte di nutrimento per il bestiame sia ingiusto e grottesco. Ed è quello che sostiene anche il libro di cui vi parlo. Non sono più del parere che l’unica soluzione etica sia smettere di consumare carne.

In Meat: A Benign Extravagance (Carne, una stravaganza salutare, ndt), Simon Fairlie ringrazia vivamente i vegani per aver aperto il dibattito. Si tratta della prima trattazione oggettiva sul tema. Il libro è un mattatoio di proteste fuorvianti e inaffidabili, per entrambe le prospettive da qui si guarda la questione..

Senza dubbio, il sistema del bestiame ha preso una direzione tremendamente sbagliata. Fairlie descrive l’industria dell' allevamenti in feedlot di bovini negli USA (in cui gli animali vengono tenuti in recinti) come “uno dei maggiori fallimenti ecologici della storia contemporanea”. Gli animali da fattoria vengono alimentati con cereali e foraggi pompati, che risultano meno digeribili per loro, in modo tale che producano carne grassa abbastanza per la produzione di hamburger. Il bestiame riesce ad assimilare benissimo l’erba, ma non i foraggi concentrati, più indicati per produrre carne suina.

Nel frattempo, in molte zone del mondo, ai suini è stato impedito di fare ciò che sanno fare meglio: trasformare i rifiuti in carne. Fino ai primi anni ’90, nel Regno Unito, solo il 33% dei mangimi composti per suini era costituito da cereali adatti al consumo umano, il resto era composto dagli scarti dei raccolti e dai rifiuti alimentari. Da allora, la proporzione di cereali salutari nell’alimentazione dei suini è raddoppiata. Le ragioni sono molteplici: le norme stabilite dai supermercati, il dominio delle grandi società nell'industria dei mangimi, in cui non è possibile utilizzare qualsiasi tipo di rifiuto, ma soprattutto l’eccessiva reazione di panico al morbo della mucca pazza e alla crisi per l’afta epizootica.

Nutrire i bovini con alimenti derivati da carne e ossa non era salutare. Farlo con i suini, la cui dieta naturale comprende anche la carne, avrebbe senso, finché viene fatto nella maniera adeguata. Lo stesso vale per le brodaglie di scarto. Dando ai maiali avanzi sterilizzati si risolverebbero due problemi contemporaneamente: lo smaltimento dei rifiuti e l'utilizzo alternativo dei cereali. Al contrario, gettiamo o inceneriamo milioni di tonnellate di potenziale cibo per maiali e lo sostituiamo con la soia, la cui produzione sta minacciando l’Amazzonia. Fairlie stima che i rifiuti alimentari del Regno Unito potrebbero produrre 800.000 tonnellate di carne di maiale, o un sesto del consumo totale di carne. Ma Fairlie sostiene che queste idiozie non sono affermazioni contro chi mangia carne, ma contro l’attuale sistema di allevamento. L’autore dimostra che abbiamo usato il paragone sbagliato per giudicare l’efficienza della produzione di carne. Invece di citare un semplice indice di conversione alimenti-carne, dovremmo comparare la quantità di aree necessarie per produrre la carne a quelle necessarie per produrre prodotti vegetali dallo stesso valore nutrizionale per gli esseri umani. I risultati sono radicalmente differenti.

Se i suini venissero alimentati con avanzi e scarti, e i bovini con paglia, scarti di mais ed erba, provenienti da terre coltivate a maggese (prodotti per i quali non c'è competizione con l'uomo), la carne diventerebbe un'efficientissima fonte di produzione di cibo. Malgrado sia innalzato dall'uso smisurato di cereali nei paesi più ricchi, il rapporto di conversione medio mondiale tra alimenti vegetali utili e carni utili non è, come molti sostengono, di 5:1 o di 10:1, bensì meno di 2:1. Se smettessimo di dare cereali commestibili agli animali, potremmo ugualmente produrre circa la metà dell'attuale disponibilità di carne, senza perdite per la nutrizione umana: si tratta di un significante guadagno.

L'abitudine dei paesi ricchi a rimpinzare gli animali di cereali, in modo da aumentare il consumo di carne e latte, riduce le disponibilità di cibo totali. Se si togliesse questa parte, si avrebbe un incremento di risorse alimentari in grado si soddisfare 1,3 miliardi di persone. Fairlie spiega che potremmo permetterci di usare piccole quantità di cereali per l'allevamento estensivo, permettendo agli animali di spazzar via l'eccesso di cereali nelle annate floride, e macellarli durante le annate magre. In questo modo, consumeremmo poco più della metà dell'attuale quantità di prodotti di origine animale, il che significa una riduzione anche nella dieta media occidentale.

L'autore continua abbattendo un ammasso di dogmi. Spesso, senza riflettere, ho ripetuto la frase di molti ambientalisti, ovvero che sono necessari 100.000 litri d'acqua per produrre un chilo di carne bovina. Fairlie dimostra che queste cifre sbagliano e triplicano l'entità della situazione effettiva. Questi dati nascono dall'assurdo presupposto che ogni goccia d'acqua che cade su un pascolo viene assimilata dall'animale che vi vive, per non riaffiorare più. Una quantità ridicola di acque fossili viene impiegata per il bestiame in California, ma questa non è che un'eccezione.

Presupposti ugualmente sciocchi sono alla base della famosa protesta della FAO, che afferma che l'allevamento è responsabile del 18% delle emissioni di gas serra del mondo, molto di più in proporzione ai veicoli a motore. Fairlie dice che sono stati fatti tanti errori. La deforestazione culminata nella creazione di allevamenti in Amazzonia è stata attribuita al bestiame: in realtà è dovuta soprattutto dalla speculazione sulle terre e al disboscamento, che aggiunge una quantità esagerata di emissioni all'inquinamento che gia c'è. Altre gaffe consistono nel calcolo di ossido di nitrito e metano, in cui si fa confusione tra produzione netta e lorda (viceversa, l'organizzazione sottovaluta il consumo di combustibili fossili, considerando le cifre del suo rapporto, che sembrano essere state fornite da potenti influenze contrarie all'allevamento estensivo).

In generale, Fairlie stima che gli animali allevati producono circa il 10% delle emissioni del mondo: ancora troppo, ma molto meno rispetto ai veicoli a motore. Inoltre, dimostra che molti oli vegetali hanno un ruolo molto più rilevante dei grassi animali, e ci ricorda che anche l'agricoltura vegana causa abbattimenti su larga scala o l'eliminazione ecologica di alcuni animali, ovvero quelli infestanti. Dall'altra parte, l'autore sopprime la richiesta di alcuni allevatori circa il carbone agricolo che possono conservare.

Il sistema di produzione della carne appoggiato da Fairlie si distingue radicalmente da quello attualmente operante nel mondo industrializzato, dato che è a basso consumo di energia, su bassa scala, e con sprechi minimi. Ma se lo adottassimo, potremmo mangiare carne, latte e uova (anche se in quantità minori), con la coscienza pulita. Tenendo al di fuori del dibattito il modo in cui dovrebbe essere tenuto il bestiame, coloro che appoggiano il veganismo hanno favorito il prevalere di un allevamento crudele, distruttivo e responsabile delle carestie. È giunto il momento di darsi da fare.


Fonte: www.guardian.co.uk
Link: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2010/sep/06/meat-production-veganism-deforestation


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STEFANIA MICUCCI