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L'ambiente è parco

di Lorenzo Stella - 15/09/2010

Le riserve naturali sono uno strumento fondamentale per la tutela del paesaggio e delle identità nazionali
La conservazione dell’ambiente naturale è parte integrante della nostra cultura da sempre, da ben prima che nascessero l’ecologia e l’ambientalismo moderni. Sin dalle ere più remote piante e animali sono state oggetto di culto e venerazione, così come la natura, intesa quale grande madre. Ma è nelle diverse epoche storiche che l’uomo ha cominciato a porsi il problema della salvaguardia del territorio e già i Romani, ad esempio, emanarono leggi a difesa dei boschi e degli alberi: alcuni consoli crearono nelle loro tenute le prime “riserve naturali” per garantire la tutela di alcune specie animali.
Nell’Italia moderna la difesa del patrimonio ambientale passa soprattutto per la creazione dei parchi naturali, nati negli anni ’20 nel Gran Paradiso e in Abruzzo. Soltanto nel dopoguerra, però, fu inserito nella Costituzione, un esplicito riferimento che nella prima stesura aveva una formulazione assai più decisa - “I monumenti storici, artistici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale e sono sotto la protezione dello Stato” - di quella che l’articolo 9 della Carta ottenne nella seconda versione: “La Repubblica (...) tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
L’osservazione, anzi la lamentela, è formulata da Mario Tozzi, divulgatore scientifico televisivo (“Gaia”, “Terzo pianeta”, “La gaia scienza”), geologo, primo ricercatore del CNR, nonché Presidente del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano, il più grande Parco marino d’Europa tutela 56.766 ettari di mare e 17.887 ettari di terra. Un’esperienza, quest’ultima, alla quale ha dedicato un saggio Nel nome del parco. Un anno sull’arcipelago uscito di recente per “effequ”. Proprio all’Elba, l’isola maggiore del capoluogo, il CNR ha peraltro scoperto meccanismi straordinari di assorbimento dell’anidride carbonica che potrebbero giocare un ruolo significativo in questa congiuntura climatica.
Ad integrare il dettato costituzionale dopo anni di discussioni, venne la Legge quadro del 1991, sulle aree protette che ha aggiunto ai primi cinque parchi nazionali storici (Stelvio, Abruzzo, Gran Paradiso, Circeo, Calabria) gli altri, fino ad arrivare agli attuali 23. Successivamente si è assistito alla creazione di diverse riserve naturali, marine, zone umide protette e parchi naturali regionali, tanto che la percentuale di territorio protetto del Paese è passato dal 3% di venti anni fa a oltre il 10% di oggi. Questi numeri da soli mostrano chiaramente quanto la situazione italiana sia articolata e del tutto particolare, anche in considerazione dello stretto legame tra patrimonio ambientale- paesaggistico e culturale che rende l’Italia un caso praticamente unico.
È significativo non solo come un terzo dei comuni italiani sia compreso in un parco, ma soprattutto come tale percentuale salga al 68% se si considerano i comuni sotto i 5mila abitanti, che peraltro sono la maggioranza in Italia. Questi dati rendono chiaro come la protezione di un territorio in gran parte montuoso si leghi a una forma di insediamento umano diffuso che a sua volta è la matrice di una dimensione “provinciale” o “local” che in epoca di globalizzazione culturale costituisce il dna più profondo dell’Italia, la nostra più autentica “identità nazionale”.
Tuttavia, proprio per l’importanza che il legame tra comunità umane e paesaggio naturale assume nella salvaguardia di tale identità, i numerosi elementi critici non possono essere sottovalutati. Le interferenze della politica, in questo come un po’ in tutti i settori, hanno agito come fattori di disturbo: «Al cambiamento di maggioranza politica corrisponde un’instabilità di governance ambientale di cui non si sente alcun bisogno, uno stop and go che non fa bene all’ambiente», osserva Tozzi.
E poi c’è il problema drammatico dell’incultura diffusa e della endemica presenza di comportamenti incivili e criminali che costituiscono per l’ambiente una minaccia costante. Nel 2007, solo per citare un esempio, circa 10mila ettari di territorio appartenente ai parchi nazionali italiani sono stati bruciati: una quantità spaventosa, se si considera che in genere si tratta di zone protette e sorvegliate.
Ma non solo. Anche le aree marine e i loro territori limitrofi si trovano a fronteggiare pericoli dovuti all’impatto antropico inteso come sfruttamento incontrollato delle risorse e del paesaggio. Le analisi condotte dai ricercatori mostrano che il 42% del spiagge italiane è in costante erosione. Una totale mancanza di lungimiranza ambientale ha portato le dune costiere sul punto di essere cancellate da quasi tutti gli 8mila km di confine marino. Un danno grave, se si considera che, oltre a rappresentare un importante ecosistema meritevole di conservazione, le coste svolgono un ruolo rilevante nella difesa della costa dall’aggressione del mare: così, secondo alcune stime, 4.500 kmq di litorale sono ormai a rischio di inondazione.
Ma forse l’aspetto più inquietante è che solo il 29% delle coste italiane (circa 2.200 ettari) è libero da insediamenti umani e completamente fruibile, quale patrimonio naturale e paesaggistico, da parte di tutta la collettività: quasi il 60% dei litorali è invece stato già fatto oggetto di occupazione intensiva da parte di privati.
Eppure una fruizione intelligente, che non escluda affatto lo sfruttamento commerciale tramite il turismo, può essere un punto d’equilibrio perfettamente raggiungibile, come dimostra l’esempio citato da Tozzi delle Cinque Terre, che hanno allungato la stagione grazie proprio alla protezione ambientale del parco nazionale. Oppure di Castellana Grotte, dove negli anni Settanta si toccavano quasi 500mila presenze annuali che mettevano in pericolo l’ecosistema ipogeo, fonte stessa di quei guadagni. E dove gli amministratori locali hanno deciso di ridurre il flusso a meno di 300mila persone, ma legandolo a un circuito turistico che comprende i trulli, Castel del Monte e le strade dell’olio, così la gente si ferma di più, ritorna volentieri e nessuno ci rimette.
Una scelta opposta a quella per cui in gran parte delle altre zone marine e naturali italiane dove il turismo di massa e l’infrastrutturazione hanno preso un’accelerazione esponenziale, con il poco invidiabile risultato di soffocare gli elementi naturali dal territorio e di ricoprire tutto di cemento.