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Il gioco destra-sinistra non serve più

di Maurizio Bruni - 19/09/2010

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C'è qualcosa di davvero profondo e di estremamente inedito che sta dietro alla crisi politica che sta attraversando quasi tutte le democrazie occidentali. Qualcosa diremmo di "strutturale", nel senso filosofico marxiano di dinamiche storiche che si muovono dietro tutte le "sovrastrutture" che il piano più superficiale della politica s'inventa con le narrazioni del politichese. Qualcosa che, nel nostro caso, spiega la crisi nel rapporto tra governi e leadership a forte consenso popolare scaturito (e spesso rinnovato e confermato, anche di recente) dalle elezioni e senso di disorientamento emerso comunque nell'opinione pubblica, come nel caso degli Stati Uniti di Obama, della francia di Sarkozy e dell'Italia di Berlusconi. «Un ciclo si conclude - ha spiegato ieri su la Repubblica Marc Lazar - prima che una nuova fase sia davvero iniziata e l'opinione pubblica è percorsa da attese contraddittorie...».
Siamo insomma dentro uno snodo epocale la cui complessità è la vera spiegazione dell'apparentemente inspiegabile fase di crisi di governi ad alto tasso di consensi popolari. «La congiuntura - ci spiega lo storico e sociologo francese - esige uno sforzo intellettuale e politico in questo senso». C'è infatti da chiedersi, aggiunge, se un certo ciclo non sia ormai in via di esaurimento. Il riferimento va oggettivamente allo scenario apertosi addirittura alla fine degli anni Settanta, quando con la finanziarizzazione dell'economia si imposero nuovi paradigmi dominanti a orientare le decisioni dei governi e le strategie politiche dei partiti: il primato del privato e del mercato, il ridimensionamento della sfera pubblica (degenerata negli anni a una burocratizzazione degli apparati statali e amministrativi), la discordante accoppiata tra edonismo e conservatorismo, la riscoperta della dimensione del personale e delle esigenze individuali, una certa attenzione alla sicurezza. Mentre il momento attuale, e qui sta l'elemento decisivo, obbliga - è il ragionamento di Lazar - alla necessità «di un cambiamento fondamentale del quadro di pensiero e d'azione dominante delle politiche pubbliche». Per dirla proprio tutta: la crisi finanziaria ed economica globale esplosa due anni fa negli Stati Uniti ed estesasi a tutto il globo ha contribuito a far vacillare tutto quell'impianto e quell'edificio: «Sono riemerse in primo piano questioni essenziali come le regole del mondo finanziario, l'occupazione, il lavoro, le disuguaglianze sociali, ma anche la solidarietà e le forme di partecipazione democratica. E tuttavia le tematiche del ciclo precedente, profondamente assimilate da francesi, italiani ed europei in generale, non sono certo del tutto scomparse, ma hanno anzi contaminato la stessa sinistra...».
Da tutto questo le attese contraddittorie e tendenzialmente polemiche nei confronti di chi esercita il potere centrale, a prescindere da chi ne sta occupando in quel momento la titolarità: da un lato, quindi, il crescente bisogno di sicurezza, l'affermazione piena dei nuovi diritti individuali, una certa disaffezione per le caste, e dall'altro una forte aspirazione a una società sempre più giusta e libera, all'invenzione di nuove forme di partecipazione, a una democrazia rinnovata e in grado di affrontare le tante sfide della postmodernità. È questo il versante "strutturale" dell'attuale fase politica, non certo quello delle narrazioni superficiali del politichese. L'invito di Lazar è invece quello di rifiutare la via più facile, «quella di credere a un riproporsi della vecchia contrapposizione destra-sinistra, per cui basterebbe riesumare le ricette del passato». Quello che oggi serve, precisa, è essere esigenti, mettersi seriamente al lavoro e dare le risposte che le nuove sfide impongono. «Altrimenti - conclude - saranno i finanzieri internazionali, convinti che la parentesi della crisi sia chiusa una volta per tutte, a dettare le loro politiche». Con il trionfo di un'amministrativismo antipolitico e sterile e di inevitabili reazioni populiste.