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Coincidenze. Appunti presi leggendo Ivan Illich

di Andrea Sciffo - 21/09/2010



        Quando mi giunse tra le mani il volumetto Pervertimento del cristianesimo (Quodlibet, Macerata, 2008; pp.158 €18) era il 27 giugno del 2008: iniziai a leggerlo come quando ci si nutre dopo una lunga debilitante convalescenza, non riuscendo a staccarmene se non per le necessità imprescindibili; il mio mestiere è di insegnante e avevo ampio tempo libero offerto dalle vacanze. La voce di Ivan Illich arrivava, trascritta in forma di intervista: iniziammo a conoscerci.
    Due giorni dopo, di domenica, tra la mezzanotte e l’una si scatenò in fretta e furia un temporale violentissimo, tropicalizzante, tanto che dovetti correre veloce sul balcone e nel buio mettere in salvo gli oggetti fragili: in pochi istanti, sedie, panchina in plastica, giocattoli e tappeti e ciabattine volavano qua e là sbattuti dal vento intriso di pioggia caldo-gelida; con le tapparelle tutte abbassate e il sibilo dei rami piegati, mi resi conto di aver dimenticato fuori il libro! E lo diedi per perso, con tristezza. La mattina seguente, non solo il testo stava abbastanza bene, ma verso mezzogiorno, grazie ai raggi caldissimi, potevo già leggerlo: certo, adesso era incartapecorito e con la sovraccoperta da utilizzare in altro modo, però c’era ancora… Ho molto studiato in seguito, nutrendomene, quelle “conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa, modernità” ripensando ogni tanto al fatto che in quel giorno tempestoso, nel calendario liturgico cattolico, ricorre la festa dei Santi Pietro e Paolo. Fine del primo atto.
        La modernità, la Chiesa e la morte, nei libri di Illich, sono onnipresenti. Non sono mai dei “fatti” (cioè delle prede delle scienze sociali, mediche, statistiche, eutanasiche) bensì degli “atti”: personali, come un istante limpido, brevissimo, alla fine di sequenze livide e tremende ma che tuttavia si fermano lì, non possono andare oltre. Come dinnanzi a un uscio, a una soglia santa oltre la quale alcune forze Non Praevalebunt… Quei passaggi dolorosi sono però anche una porta aperta, fuori dalla quale rimane l’autore e noi lettori, e che dà l’impressione di condurre da qualche parte. Anzi, ne offre la certezza, oltre il disorientamento, oltre la scomparsa di ogni via d’uscita da questo stato di cose. Intanto, correva la cruenta estate del 2008: coincidenze.
        Il secondo atto prese corpo lo scorso autunno. Il bel volume dal titolo La perdita dei sensi (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 2009; pp.335 €18) abitò per settimane sul mio tavolo di lavoro in soggiorno, aperto e chiuso in continuazione, con entusiasmi e furori di cui scrissi, ringraziandolo, al curatore Giannozzo Pucci: la copertina, a foglie verdi, il mio motivo prediletto, un caso? Si veda la recensione apparsa su www.ariannaeditrice.it il giorno 20.1.2010, data in parte cabalistica…
        Terzo atto: un libro come I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley (Quodlibet, Macerata, 2009; pp.297 €24) vale tanto oro quanto pesa, e non è esagerazione né un modo di dire. Giunse nelle mie mani il 22 aprile 2010, ricorrenza dello Earth Day. Lo lessi di notte, nelle quattro settimane di lunazione successive, dominato e preso per mano dalla voce muta del testo; nel frattempo, era rimbalzata la notizia dell’orrore, la perdita di petrolio nel Golfo del Messico, la British Petroleum, la marea, etcetera. Una palpabile inquietudine scorreva come nastro nero ai lati della nutriente lettura, per quella ferita alla Terra (che, spiegava Illich, non è un pianeta…) e per l’impossibilità di “prendersi cura” di quel disastro (per cui non si può patire a distanza, protestava il medesimo, pena la perdita del mondo e della carne…).
        Ora, si potrebbe domandare: a che serve una privatissima rassegna degli incontri con Ivan Illich via libro? Primo, è un piccolo contributo alla lotta contro ciò che è iniziato nei primi anni ’80 “con l’avvento dell’età dei sistemi all’interno dei quali le persone sempre di più occupano un nuovo spazio cibernetico senza dimensione”. Io protesto quando descrivo in quale spazio e in quale tempo e in quale luogo…  Secondo, oggi occorre soltanto la recensione/segnalazione libraria “vernacolare”, secondo la nota definizione di “attività del tutto refrattaria a qualunque analisi che utilizzi concetti sviluppati in economia” (Ivan Illich, Shadow Work , 1981; p.29), cioè un’azione compiuta per il piacere di compierla “senza implicare né un hobby o una procedura irrazionale o primitiva”. Un gesto estraneo al dilagare dell’intellettualismo di massa. A cui si aggiunge, di recente, il quarto atto di queste “coincidenze”: una settimana di villeggiatura marittima famigliare, a fine agosto, trascorsa col solo libro-compagno del dialogo Conversazioni con Ivan Illich (Eléuthera, 1994), voce narrante di David Cayley. Lettura generatrice di altri, privati e riservati, frutti “nella vigna del testo” mentre risplende l’ultimo sole estivo.
        Addì settembre 2010. La transizione delle società occidentali, partita quasi trent’anni fa, è ben lungi dall’esser vicina all’approdo. Con buona pace dei Pianificatori essa è, per ora, una deriva. Sul libro di bordo, si scrivono perlopiù calendari, in questi frangenti: o si annotano appunti, o ricette segrete… Perché? Per aprire una finestra, vera anche se ideale, nel muro; per svitare silenziosamente un ingranaggio del congegno; per sottrarre con sotterfugio del tempo alla Divoratrice/Divoratore onnivori: dalla finestra, col tempo donatoci da questo breve sfottò al meccanismo, entra il soffio del mondo reale, col suo spensierato luminoso volto senza sorriso né pianto, col passaggio dei nostri simili qui e ora. Sfila sullo sfondo l’orizzonte verso il suo destino.
        Dalla finestra aperta nel muro a colpi di “coincidenze” si vede anche quello che non c’è: l’assenza concreta e fisica dei grandi lottatori contro questo stato di cose, gli Ernst Jünger, i Jacques Ellul, gli Ivan Illich o Augusto Del Noce e Claudio Napoleoni, Rodolfo Quadrelli… La finestra è aperta, indica un’uscita dal dominio oppressivo tecnologico, ma non è definitiva perché va ripristinata ogni volta, e sarà ogni volta in un punto diverso dello spazio/tempo. Anche questa è una coincidenza.