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L’Italia pagherà gli errori dei politici esterofili che ingaggiano solo archistar

di Nikos Salìngaros - Arianna Bassi - 28/09/2010

Fonte: immobilia-re


Lo sfogo di un urbanista escluso dai giochi italiani che spera di veder cadere presto il movimento di massa delle archistar, persone cattive che rubano le idee altrui


Dalla sua abitazione a Sant’Antonio, Texas, Nikos Salìngaros non risparmia parole di accusa contro il movimento delle archistar, che dominano il mondo dell’architettura costruendo scempi che danneggiano solo il territorio e le città moderne. Non nasconde il rammarico per un mondo che va in direzione contraria al suo pensiero e sottostà al potere della setta, una classe politica disattenta alle vere problematiche urbane e famelica solo di grandi appalti e giri di denaro.
Spera di veder cambiare i metodi di progettazione in direzione del New Urbanism di cui è fondatore e sostenitore nel mondo. Considera l’architettura su scala umana l’unica possibile e veramente funzionale all’uomo, condanna i grattacieli, considerati una tipologia architettonica che presenta solo problemi.
Escluso dall’evento Roma 2010-2020 Nuovi modelli di trasformazione urbana organizzato l’aprile scorso dal sindaco Gianni Alemanno per parlare della riqualificazione del piano urbanistico di Roma, augura alla Capitale un progetto coerente con la tradizione e rispettoso delle bellezze del centro storico, lontano dalle grandi architetture alla moda che creano solo disagi e alzano il costo di manutenzione. Per le periferie spera in una guarigione dal cancro che le debilita, una geometria sbagliata ancora legata ai canoni del dopoguerra e alle folli idee di Le Corbusie.
Crede nella sostenibilità degli edifici e, dubbioso sulle tecniche green attuali, lancia una sfida: se qualcuno riuscirà a progettare un grattacielo capace di sopravvivere una settimana intera senza corrente elettrica e petrolio, allora potrà davvero parlare di sostenibilità e sarà un successo.

Lei ha iniziato la sua carriera come pittore, si considera un artista?
Sì, io prima di laurearmi di matematica e fisica ero artista, un pittore. Ero molto giovane, ma già avevo capito che era tutto fumo, una mafia di bugiardi governava quel mondo. Erano gli anni ‘60-’70 e io scoprivo allora la bellezza della natura, ma vedevo che l’arte che era di moda in quel periodo era contro natura. È così anche adesso, anzi si può dire che sia peggiorata.

Cosa dipingeva?
Dipingevo paesaggi, il mare, anche ritratti. Tutta arte figurativa, non astratta. Mi dava un immenso piacere dipingere queste cose, perché era un’arte su cui si poteva basare un astrazionismo legato alla fonte, e la mia fonte d’ispirazione era la natura. I miei artisti astratti preferiti, come Franz Kline - 1910-1962, pittore statunitense tra i maggiori esponenti dell’Espressionismo Astratto – avevano questo legame con la natura.

La sua idea di architettura riprende questo legame con la natura?
Sì, proprio così. Questo non è un pregiudizio o un semplice parere personale, è una valutazione scientifica. Dopo tanti anni di ricerca io so che l’architettura è basata sulla fisiologia umana. Perché una certa geometria architettonica è nutritiva per l’essere umano.

Cos’è l’architettura per lei?
L’architettura è l’ambiente costruito in una scala da 1 cm fino a 10-20 m. Mentre l’urbanistica è la stessa cosa però in una scala che parte da 10 m fino a 10 km.

Le regole dell’architettura sono una gabbia o una possibilità per un architetto?
Dipende dalle situazioni. Io e i miei amici abbiamo sviluppato dei canoni molto precisi, delle regole matematiche, che ancor’oggi sono ignote ed ignorate. Le abbiamo studiate per 30 anni, riempiendo libri interi di formule. Queste regole insieme formano un corpo di conoscenza che permette di progettare tutti gli edifici. Non sono regole stilistiche, non impongono la costruzione di un edificio che somiglia a questo oppure ad un altro, o magari una copia del passato – spesso ci accusano di fare questo – sono norme generali con le quali si possono pensare una gamma infinita di progetti diversi che seguono questi dettami, sono costruzioni che danno un’alimentazione positiva all’utente che sta dentro o fuori quell’edificio.

Come mai queste sue regole non sono prese in considerazione?
Questa è una questione sociale: oggi la società è affascinata da un’architettura che va di moda, segue regole nettamente opposte alle nostre.

L’architettura oggi è una moda?
Per un secolo l’architettura è stata una moda.

Lei vorrebbe un ritorno alle regole matematiche, mettendo da parte la moda del momento, uniformando per tutte il modo di progettare?
Non si tratta di un ritorno alla matematica, l’architettura ha i suoi canoni precisi e noi utilizziamo la scienza per sviluppare le regole, per progettare e costruire edifici. Un architetto non deve apprendere la matematica, ma deve saper scegliere se seguire la moda senza regole, oppure attenersi ai canoni che noi proponiamo. L’architettura di oggi non segue regole, segue soltanto immagini. Noi, in quanto scienziati, quando diciamo regola intendiamo un qualcosa basato su una ricerca scientifica. Allora un architetto di oggi deve scegliere se seguire delle immagini o delle regole sviluppate attraverso la scienza. È una scelta personale.

Seguire le immagini è giusto?
Per me è totalmente sbagliato seguire la moda e le immagini. Ma quello che dico io non fa nessuna differenza, perché tutto l’establishment segue le immagini e in questa pratica di lavoro sono coinvolti anche molti soldi. Per esempio tutti i premi internazionali sono vinti da progetti che seguono le immagini.

Quando parla di architetti che seguono le immagini pensa alle archistar?
Non sono solo le archistar a seguire questo metodo lavorativo. Loro sono la punta dell’iceberg, ma ci sono altre centinaia di altri architetti che vorrebbero essere come le archistar e raggiungere la loro fama. È un successo che non si può certo negare, e allo stesso tempo non si può negare nemmeno che ogni architetto vorrebbe raggiungere una certa affermazione durante la sua carriera. Allora si pensa a chi siano oggi gli architetti con maggior successo, e la risposta è le archistar. Così per guadagnare si vuole seguire la strada dei famosi, non realizzando che così facendo si danneggiano le città. La vita da archistar è così: fa quello che vuole e mette i soldi in banca, e tutto va bene.

Come mai le archistar hanno avuto così tanto successo?
È un fenomeno sociale, non ha nulla a che fare con l’architettura. È un movimento di massa, esattamente come i grandi movimenti del passato che hanno portato a grandi disastri per la cultura e la società. Io vedo il successo delle archistar come un altro movimento di massa, cioè qualcosa che è iniziato per motivi politici e per una sete di nuovo, di diverso. Qualsiasi movimento, pur offrendo possibilità sbagliate, viene seguito ed incalzato, se promette una speranza, delle novità. La gente è stanca dei problemi quotidiani e segue la speranza del diverso. La maggioranza di questi movimenti non riescono a svilupparsi e rimangono delle minoranze, si prendano ad esempio le sette religiose, invece questo movimento è cresciuto enormemente. Credo sia un incidente storico che si è diffuso tanto da arrivare a controllare tutto il panorama dell’architettura di oggi.

Quando finirà questo movimento?
Questa risposta è fuori dalla mia capacità, bisognerebbe essere un mago per prevedere il futuro! Il crollo di qualsiasi movimento di massa della storia è sempre stato imprevedibile, lo è stato quello del nazismo e quello del comunismo stalinista. Il muro di Berlino è crollato dopo anni di attesa, nessuno avrebbe potuto stabilire la data esatta. Il potere ha una sua continuità, nonostante sia fondato sulle bugie continua comunque a vivere. Non si può sapere per quanto ancora andrà avanti questo sistema, ma mi sento di dire che il movimento di massa delle archistar non crollerà a causa di una presa di coscienza, da parte della popolazione, del danno che questi architetti stanno facendo alle città e alla società, cadrà per ragioni interne al sistema. C’è un’instabilità forte che li farà cadere, non si può dire quando, ma prima o poi cadrà. Io purtroppo sono pessimista perché capisco che questo movimento non è aperto alla ragione. La gente non realizzerà mai che è tutto una truffa, non può capirlo perché il battage pubblicitario propagandistico a cui continuamente è sottoposta devia la capacità di giudizio. C’è una pubblicità forte che sostiene questa truffa.

Parliamo del workshop tenutosi a Roma ad aprile – Nuovi modelli di trasformazione urbana, Roma, 8-9 aprile 2010 – lei non è stato invitato nonostante sia tra i 20 urbanisti migliori del mondo – ricerca stilata da Planetize nel 2009, l’organizzazione statunitense dei pianificatori professionisti – al suo posto sono stati chiamati grandi nomi dell’architettura, delle archistar, che non rientrano nemmeno trai i primi cento in classifica. Perché il sindaco Gianni Alemanno ha scelto le star e non chi potrebbe progettare davvero una nuova Roma?
La risposta non posso darla io. Consiglio di chiedere direttamente all’onorevole sindaco Gianni Alemanno. Non saprei perché non ha invitato altri personaggi, però almeno ha invitato due dei massimi urbanisti di oggi: Léon Krier e Peter Calthorpe. Sarebbe stato molto meglio per Roma e per il futuro di Alemanno se avesse invitato una decina di veri urbanisti, ma la ragione per cui non l’abbia fatto io non la so.

È solo una questione politica? Una mossa per dare lustro a Roma e a se stesso?
Quello che ha fatto Alemanno è una decisione sua, io non posso dire perché ha fatto e non ha fatto altre scelte.

Le idee proposte da Calthorpe e Krier sono buone idee? Verranno considerate?
Non lo so, se la proposta andrà avanti o no non è una decisione mia, di nuovo le consiglio di chiedere direttamente a Gianni Alemanno.

Non sa se Alemanno ha preso in considerazione le proposte, non vi è stato comunicato nulla?
Purtroppo io non sono abituato a vedere l’onorevole Gianni Alemanno ogni venerdì per mangiare una pizza insieme, quindi non so cosa abbia in mente. Poi queste cose non vengono mai pubblicizzate, delle volte le decisioni che vengono prese non le sa nessuno fino all’ultimo momento, quando arriva il comunicato. Le idee di Krier e Calthorpe, a mio parere, sono molto buone per il futuro urbanistico di Roma e devono essere inserite nel progetto romano. Sono idee appartenenti al New Urbanism, idee per ristrutturare la periferia di Roma e il centro storico in maniera coerente.

Cos’è il New Urbanism?
Nuovo urbanesimo non è altro che il vecchio urbanesimo tradizionale, aggiornato con le tecniche che oggi abbiamo a disposizione. È un concetto che interessa qualsiasi architetto urbanista del mondo che identifichi il proprio lavoro con la struttura delle città in scala umana.

Léon Krier sostiene che gli edifici non debbano avere più di tre piani perché questa è l’altezza giusta da percorrere a piedi, Peter Calthorpe invece pensa che si possano aver anche più piani, l’importante è il rispetto della tradizione. A Manhattan possiamo costruire grattacieli a Roma no, perché non c’è una tradizione legata a questa tipologia architettonica. Lei come si pone tra le due posizioni?
Questa domanda apre nuovi orizzonti. Innanzitutto il Nuovo Urbanesimo non è un regime totalitario in cui si impone cosa si può fare e cosa no. All’interno del movimento ci sono varie espressisoni e vari architetti. Lei ha fatto proprio l’esempio di due architetti che non pensano la medesima cosa, Léon non è d’accordo con Peter, ma questo non è un problema, è l’espressione della democrazia e dell’eterogenia del movimento. La stragrande maggioranza dei nuovi urbanisti afferma che non si possano inserire grattacieli dove non ci vanno, ma io credo che si debba fare attenzione, perché questa tipologia architettonica ha molti problemi di manutenzione e di eccessiva densità. Non c’è la regola fissa dei tre piani. Io, ad esempio, credo che la maggior parte degli edifici dovrebbe avere quattro piani, con alcune eccezioni, però rifiuto i grattacieli, perché l’eccessiva densità è un problema.

Se potesse ricostruire Manhattan la costruirebbe con edifici a quattro piani, nonostante la tradizione vorrebbe altro?
Non abbiamo l’incarico per ricostruire Manhattan. Non posso fare finta di progettare una cosa che non devo fare realmente.

Ma si deve mantenere una tradizione, un filo col passato, oppure no? Si può ricominciare da capo non preoccupandosi di ciò che già c’è?
Riformulerei la domanda così: la tradizione ci ha dato delle tipologie edilizie che funzionano?
Se la tradizione è lunga quattro secoli allora si può dire che funziona, se la tradizione riguarda gli ultimi 50 anni allora no. 50 anni non sono tradizione. Ad esempio i palazzi multipiano degli anni ‘30 adibiti ad alloggi sociali sono un fallimento totale. Si deve esaminare attentamente la tradizione, se qualcosa è riuscito allora dobbiamo rispettarlo, altrimenti bisogna cambiare, ma sempre in un’ottica evolutiva, perché oggi non è ieri. Non si può costruire un grattacielo dove prima c’erano solo case di tre piani, così non si fa dell’evoluzione positiva.

Come saranno le città del futuro? Come dovrebbe essere Roma nel futuro?
Occorre rispettare il centro storico prima di tutto, non inserire nulla che danneggi e poi modificare la periferia. La periferia costruita nel dopoguerra si è rivelata un fallimento totale, sia a livello sociale sia architettonico, là dobbiamo andare a ricostruire. Non si può pensare di fare tabula rasa perché sarebbe troppo costoso, nessuno finanzierebbe un’impresa del genere, ma si possono fare delle modifiche per ricostruire il tessuto inumano e farlo diventare umano. Seguendo un processo evolutivo, tra 50 anni avremo una periferia romana umana e ben vivibile.

Perché le periferie di oggi non sono umane?
Perché sono costruite secondo una tipologia costruttiva sbagliata, quella del dopoguerra legata alle idee folli di Le Corbusier e altri architetti modernisti.

Cino Zucchi dichiara che per riqualificare il territorio bisogna affidare la ricostruzione delle periferie alle mani delle archistar. È d’accordo?
No, non è così affatto. Le archistar possono fare un edificio seguendo la moda, ma a mio avviso questo tipo di costruzioni sono un fallimento totale, non vanno bene come abitazioni umane. Non aiutano la periferia. Io intendo dire qualcosa di completamente diverso, parlo della ristrutturazione del tessuto urbano. Interventi di micro-chirurgia dappertutto. Non credo nell’inserimento di qualcosa di estraneo. Inserire qualcosa di alieno nel tessuto urbano malato non lo cura, non è un farmaco che guarisce. Si deve intervenire chirurgicamente sul tessuto malato e togliere il cancro.

Qual’è il cancro delle periferie?
È la geometria stessa, la geometria astratta ed inumana. Le dimensioni sbagliate, la concezione di un’astrazione che nega la vita e impedisce le corrette condizioni umane.

Vittorio Gregotti scrive sul Corriere della Sera – Se la città è fatta di recinti, Corriere della Sera del 27 luglio 2010 – che le periferie sono più simili a dei lager che a degli spazi di condivisione. Togliere la possibilità di rapporti umani e sociali è un problema da non sottovalutare?
La città è stata creata dagli uomini per sviluppare le relazioni sociali. Se la città costruita impedisce tali scambi, non solo è un fallimento, ma è anche un crimine contro l’umanità. Per questo molte periferie credo siano un crimine contro l’umanità stessa, perché sono tessuto costruito che distrugge la società.

Oggi però problemi sociali come la violenza e la criminalità, soprattutto nelle periferie, tendono a separare gli uomini, allontanando le idee di condivisione della spazio.
La propaganda del regime architettonico porta a credere che sia così, ma in realtà è l’inverso. Il tessuto urbano aumenta l’antisocialità e la violenza è la conseguenza di questo. L’animo umano è sempre stato violento, oggi come 10, 100 e anche 1000 anni fa. La nostra società non è più aggressiva delle società del passato, affermare il contrario è solo alimentare la propaganda, purtroppo portata avanti anche dai giornali più rispettati nel mondo, per giustificare gli errori, il grande crimine contro l’umanità che è stata la città del dopoguerra. Pensa al Corviale - nome della zona urbanistica del XV Municipio di Roma, progetto del 1972 coordinato da Mario Fiorentino, considerato uno degli errori più lampanti di programmazione architettonica della storia dell’urbanistica italiana – e ad altri scempi del genere, la geometria aumenta il male che è dentro la gente e la spinge verso la violenza.

Anche negli Stati Uniti è così?
Certo! Ti faccio l’esempio degli alloggi sociali multipiano a Saint Louis, il progetto Pruitt-Igoe dell’architetto Minoru Yamasaki. Hanno creato un livello di violenza tanto alto che il Governo è dovuto intervenite demolendo con la dinamite i palazzi. Erano diventati una ricettacolo di criminalità per tutta la città. Le classi sociali indigenti e degradate hanno già un retaggio criminale alle spalle, qualsiasi popolazione molto povera ce l’ha, e una volta inseriti i neri di Saint Louis in questi nuovi edifici non adatti, la violenza è esplosa, portando il Governo a dover intervenire.

Mi faccia un confronto tra l’architettura americana e quella italiana. Quale è più progredita?
C’è una realtà molteplice, non è facile rispondere a questa domanda. Noi negli Stati Uniti abbiamo i peggiori esempi di architettura di moda e antiumana. Purtroppo gli italiani vogliono riprodurre questo stile e quando non riescono a copiarci invitano i peggiori architetti americani in Italia per costruire degli scempi, delle cose mostruose, addirittura sataniche, se si parla di chiese nuove.

Mi fa un esempio di una di queste chiese?
No. Vorrei tornare alla questione: contemporaneamente alle archistar, negli USA ci siamo noi a fare New Urbanism. Ci sono le nostre regole matematiche per l’architettura a scala umana, c’è l’architettura biofilica – questo tipo di architettura viene definita un’architettura amica della vita intrinseca ad ogni spazio, dunque rispettosa dell’ambiente e della cultura in cui viene ad inserirsi. Definizione di Stefano Serafini del Gruppo Salìngaros in Italia – che è qualcosa di nuovo e nato negli USA. Io e il mio amico Christopher Alexander – architetto austriaco naturalizzato statunitense. Insieme a Salìngaros ha collaborato alla definizione di un nuovo approccio all’architettura - abbiamo partecipato alla costruzione di nuove tendenze per una architettura a scala umana. Negli Stati Uniti noi almeno offriamo due possibilità diverse: il new urbanism e le archistar internazionali stanziate per la maggior parte a New York.

Perché gli italiani vogliono copiare solo il modello delle archistar e non il New Urbanism?
Perché in Italia si soffre di un un sentimento di inferiorità controllato e amplificato dai media, che coltivano questo modo di sentire per rendere il pubblico italiano consumista nei confronti dei prodotti stranieri. Avete una classe dirigente esterofila che guarda dalla parte sbagliata.

Vengono accolti i principi del New Urbanism negli USA?
Un pochino sì, nel mondo dell’architettura siamo ancora una minoranza, ma nel campo dell’urbanistica il New Urbanism fa gioco forza in tutti i progetti.

Nelle università statunitensi ci sono corsi di New Urbanism nelle facoltà di architettura?
Purtroppo no, le università statunitensi, come quelle italiane del resto, sono fedeli al potere della setta. Per imparare bisogna uscire dalle università. Il movimento del New Urbanism si impara negli studi di architettura privati.

Ha mai proposto a qualche università di tenere un corso di New Urbanism?
Negli Usa ci sono state delle università che hanno invitato dei miei amici a tenere dei corsi annuali di New Urbanism, ma l’esperienza non è stata molto positiva. Dopo aver impiegato un anno intero del loro tempo a spiegare le nostre teorie, non hanno raggiunto nessun risultato, perché tutti gli altri corsi che gli studenti seguono dicono il contrario di quello che affermiamo noi. Allora è tempo sprecato. Come si può convincere a fare qualcosa di diverso se tutte le altre lezioni dicono tutt’altro? I miei amici sono rimasti delusi da questa esperienza, hanno perso tempo che poteva essere impiegato in nuovi progetti, guadagni maggiori. Loro hanno accettato di insegnare solo per amore della professione.

In Italia è lo stesso?
In Italia credo che la setta degli architetti modernisti sia troppo forte e non permetta ad un nuovo urbanista di tenere conferenze in merito all’interno degli atenei.

Cosa pensa della Carta di Atene?
Si può dire che ci siano due Carte di Atene, la prima è quella del 1933 che è l’espressione delle idee folli di Le Corbusier, un documento vergognoso. E poi c’è quella del 2003, alla cui stesura ho collaborato personalmente. Purtroppo quando si parla di Carta di Atene tutti pensano alla prima, che è completamente sbagliata, magari senza sapere che esiste anche la nuova versione, un documento certamente migliore che però non ha ancora preso piede. È un peccato perché abbiamo speso davvero molto lavoro per farla.

Quali elementi avete aggiunto nella nuova Carta?
Abbiamo puntato molto sui network e abbiamo aggiunto elementi di New Urbanism, che sono molto importanti. Purtroppo però si progetta ancora seguendo la vecchia Carta.

È la setta, per usare le sue parole, che vuole seguire la vecchia carta?
Le motivazioni sono due: nelle accademie ci sono architetti fanatici che appoggiano la vecchia carta perché fanno parte della setta, è una questione religiosa. Nel privato, invece, gli urbanisti professionisti seguono la vecchia documentazione per inerzia, è più facile e comodo continuare su questa strada, piuttosto che impegnarsi e cambiare.

È una questione di ignoranza?
No, non è ignoranza. È questione di continuità di un sistema che ha funzionato male ma ha funzionato. Non posso accusare i miei colleghi di ignoranza, ma è sicuramente più facile seguire una continuità che c’è da molto tempo. Non è nient’altro se non il seguire una tradizione sbagliata.

Cambiando argomento: qualche giorno fa è stato presentato il progetto italiano delle Vertical Farm a cura dell’architetto Gabriella Funaro dell’Enea. È d’accordo con il fatto di costruire grattacieli energeticamente sufficienti dove produrre frutta e verdura?
Io sono molto sospettoso di fronte a questi progetti, essendo contro la crescita verticale. Credo che sarà un fallimento. Io seguo sempre un criterio, per me molto importante: immaginiamo una città che, a causa di una crisi, rimane senza corrente e petrolio per una settimana intera. Per me un edificio si può dire davvero sostenibile se sopravvivere ad una crisi del genere. Un grattacielo normale si spegne, non sopravvive certo una settimana, solo poche ore bastano a non renderlo più abitabile. L’ascensore non funziona, finisce l’aria perché non si possono aprire le finestre, bisogna evacuare l’edificio. Non voglio criticare il concetto delle fattorie verticali senza aver sentito gli architetti progettisti. Se davvero possono sopravvivere una settimana senza risorse dall’esterno, allora saranno un successo. Ma credo che queste cose siano troppo rischiose, ma non voglio condannare senza le prove.

Crede che queste nuove proposte architettoniche possano essere prese dalle archistar come spunto per nuovi progetti sempre più spettacolari?
Per quanto riguarda le fattorie verticali non saprei, non ho le prove e non so dire nulla. Posso dire che è uso comune che le archistar rubino qualche concetto scintillante per presentare un progetto mastodontico con i vestiti alla moda. Fanno sempre così, hanno preso anche le nostre idee. Le archistar non sono stupide, anzi sono molto furbe, alcune hanno studi di 100-200 persone, pieni di giovani architetti intelligenti che lavorano sodo e leggono tutte le pubblicazioni, comprese le nostre. Prendono le nostre parole e i nostri concetti e li presentano come fossero un cappotto, per camuffare un loro mastodontico progetto. Fanno questo ignorando completamente l’essenza delle nostre teorie, prendono solo un’immagine per vendere un prodotto. Parlando per metafore potremmo paragonare quello che fanno loro alla pubblicità ingannevole di una gazzosa piena di zuccheri e conservanti: sulla confezione scrivono che fa bene alla salute, ma è una bugia. Le archistar sono esperte nella propaganda e nell’appropriazione dei concetti degli altri e li usano in modo disonesto.

Cosa hanno copiato dalle vostre teorie?
Quasi tutto: la teoria della rete, della piazze, della scala umana. È da ridere, ma non è comico. Come quando si vede qualcosa di mastodontico e ti dicono che è sulla scala umana. È ridicolo.

Ma progettando secondo la piccola scala del New Urbanism, non si rischia di fare architetture retrograde?
Sì, si corre questo rischio ed è anche il punto su cui siamo più criticati. L’architettura a scala umana assomiglia a qualcosa di vivo e qualcosa di vivente assomiglia ad una città tradizionale, non si può evitare. L’impressione visuale di un nostro progetto è che assomigli a qualcosa del passato, ma non si può fare altrimenti perché la scala umana non è cambiata, la biologia umana e la psicologia umana non sono cambiate. Noi in realtà facciamo progetti completamente innovativi ma chi li vede crede di aver per le mani qualcosa che richiami il passato, ma poi una volta esaminate con attenzione le proposte ammette che non c’è nulla di tutto questo. Questa è la caratteristica di un progetto di successo a scala umana. Un archistar invece pensa solo a fare un disegno su uno schermo di un computer per vincere un appalto o un concorso internazionale, e crede che sia giusto fare ciò che di più pazzo e strano riesce ad immaginare. Questo alla prima impressione sembra innovazione, ma diventerà un vero incubo una volta costruito il progetto.

Lo ha visto il MAXXI di Roma progettato da Zaha Hadid?
Solo in fotografia, non ci sono mai entrato.

Krier lo definisce un edificio iperbarocco, e d’accordo?
Non so cosa intenda Léon con iperbarocco, per me non ha nulla di barocco. Ha una forma molto strana, è una scultura concentrata in se stessa. Non c’è spazio espositivo, lo ha detto anche Vittorio Sgarbi. A me piace molto Vittorio Sgarbi, abbiamo in comune molte cose. E ti dirò di più: sono d’accordo anche con Vittorio Gregotti, anche se non mi piace la sua architettura.

Vittorio Gregotti è un archistar?
No, non è un archistar. Fa della giusta critica all’architettura contemporanea, nonostante i suoi progetti non mi piacciano.

Un architetto italiano vivente che le piace?
Le dico i nomi del architetti del mio gruppo: Gabriele Tagliaventi, Ettore Mazzola, Pietro Pagliardini, Ciro Lomonte – Tagliaventi, Pagliardini e Mazzola sono vice-presidenti del Gruppo Salìngaros Italia, Lomonte è consigliere.

Un’opera architettonica italiana che le piace?
Bisogna cercare molto per trovare un’opera oggi che sia veramente adatta al contesto. Ce ne sono, ma i progettisti sono sconosciuti. La maggior parte degli edifici oggi sono banali, seguono un modernismo noioso. Quelli di spicco invece sono antiumani.

Se potesse distruggere l’operato di un architetto, quale sarebbe?
Io non sono un uomo violento.
Ma ci sarà qualcosa che non le piace!
Ci sono tante cose, troppe. Ma non faccio i nomi, perché alcuni architetti professionalmente terribili sono anche persone cattivissime. A volte capita che queste archistar facciano causa se si scrive o si dichiara che il loro edificio è bruttissimo, non funziona e fa schifo. Hanno preso i metodi della mafia italiana.

Le è mai capitato di essere citato in giudizio da un archistar?
A me no, ma ad una mia amica sì. Ha dovuto cancellare la prima edizione del suo libro perché menzionava un edificio di una famosa archistar giudicandolo terribile e non funzionale. La mia amica è stata citata in causa, ha perso e ha dovuto bloccare la pubblicazione della prima edizione, e successivamente ha cancellato quelle pagine. Queste cose non si sanno perché la setta controlla anche i media, le informazioni importanti non sono mai pubblicate.

Ultima domanda: David Owen afferma che la città sia più sostenibile della campagna, è d’accordo?
Noi abbiamo sviluppato questi concetti anni fa, siamo esperti in queste materie. Prendi ad esempio le Favelas nel terzo mondo, sono un ottimo esempio di risparmio energetico, sarebbe molto più dispendioso se le persone vivessero nelle campagne. La crescita della città, sempre considerata in modo costruttivo, è un fenomeno che fa risparmiare energia. Una città costruita a misura di uomo è più risparmiosa della campagna, per questo sulla terra esistono miliardi di persone, grazie al fenomeno urbano.

Cosa pensa di una città come Brasilia?
Ci sono due Brasilia, la città modernista che è un disastro energetico e le favelas intorno alla città. Noi quasi vent’anni fa abbiamo studiato le regole geometriche della favelas e le abbiamo applicate all’urbanistica per costruire una città a scala umana. Non vogliamo costruire una favelas, perché è sporca e piena di miseria, però la loro geometria spontanea fornisce degli ottimi spunti per sviluppare le nostre regole. Le favelas danno delle lezioni importantissime sulla architettura. Noi le abbiamo riprese per costruire una città moderna, non modernista, una città contemporanea a scala umana.

Questi progetti hanno successo?
Per adesso è un successo teorico, sulla carta, non ci hanno mai dato l’incarico per costruire nuove città. Alcuni miei amici architetti, però, stanno lavorando in Messico e in Brasile sulle vere favelas e le ristrutturano seguendo queste teorie e hanno successo. Fanno interventi di micro-chirurgia: vanno in una favelas, vedono cosa manca e intervengono inserendo qualcosa di nuovo. Non fanno tabula rasa come vorrebbero fare i politici. È lo stesso discorso che per la favelas Dharavy, a Mumbay, in India. È estremamente dinamica, ricca di commercio e molto attiva. Ma il governo vuole buttare giù tutto e costruire nuovi palazzi multipiano.

Le persone della favelas possono trasferirsi in palazzi multipiano?
No, quei palazzi non sono per loro! Il governo vuole cacciare le persone povere e costruire architetture di lusso, è una corruzione politica.

Ultimissima domanda: l’Expo 2015 può essere una buona opportunità per Milano?
Non credo. Io non sono per niente d’accordo sull’Expo a Milano, come non lo è Gregotti e Sgarbi. Non conosco tutti gli appalti, ma credo che sarà un disastro. Non porterà nulla di positivo per la popolazione, anzi può solo danneggiare la città con edifici mostruosi. Tutta l’Italia pagherà per gli sbagli dell’Expo 2015, pagherà gli errori di una classe politica esterofila che va nella direzione sbagliata.