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Caro Grillo, noi non siamo politici, ci risponde per favore?

di Alessio Mannino - 01/10/2010

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Da non politici di professione, rivolgiamo qualche domanda, di pura e semplice politica, all'animatore del MoVimento 5 Stelle. Ci risponderà?

La Woodstock di Grillo segna l’ingresso definitivo del movimento ispirato al blog del comico genovese nella vita politica italiana. Non più solo elezioni comunali o regionali: ora le 5 Stelle grilline puntano al parlamento nazionale. Beppe giura: il mio non è e non diventerà un partito.

Questo è vero in parte. Con buona pace della retorica anti-leaderistica, palesemente strumentale a differenziare la sua figura dalla schiera grigia dei segretari in doppiopetto, Grillo non ci mette solo la faccia, senza la quale i suoi giovani entusiasti ma acerbi non prenderebbero un voto. Il suo carisma, la sua oratoria efficace perché sintonizzata sulla “pancia” dell’opinione pubblica, il fatto che sia lui – e i suoi collaboratori – a dettare l’agenda della protesta dal blog, il contatto che solo lui ha con le folle che gremiscono i suoi spettacoli: tutto questo fa di lui un capo a tutti gli effetti. È vero che il suo movimento non è strutturato secondo l’organizzazione classica di un partito (tessere, sezioni, gerarchia, riunioni ecc) in quanto basato sul concetto e la pratica di rete mutuate da internet (i “meetup”), pur tuttavia lo schema verticistico c’è, eccome. Di più: a parte il lavoro, ammirevole per tenacia sul campo, dei gruppi sparsi nella penisola, il rapporto è fra Grillo e i grillini, fra lui e la base. Dice: il programma è stato elaborato coi contributi via web dei tanti militanti. Ma i temi di fondo li decide Beppe coi suoi post quotidiani. E il collante emotivo e identificativo (fattore essenziale in qualsiasi aggregazione collettiva) è fornito dalla sua persona, dalla sua irruenza, dai suoi slogan.

Le due giornate di Cesena ne sono state l’ultima riprova. È stato il suo discorso a calamitare l’attenzione politica, non certo le decine di band alternatesi sul palco. Sulla scelta di confezionare un evento intorno alla musica, il dato da trarne è sempre lo stesso: la volontà di distinguersi dalla politica istituzionalizzata, a partire dalle forme. Niente convention all’americana o congressi vecchio stampo, ma una kermesse gioiosa, giocosa, catartica. Un rito di liberazione di sapore esistenziale. Eppure, fra una schitarrata e l’altra, incombe l’ombra che ad un occhio senza pregiudizi appare caratteristica del grillismo: l’assenza di una visione finale. Dove vuole andare a parare, il movimento grillino? Beppe insiste col dire che loro “volano alto”, a differenza dei partiti che mestano e rimestano nel fango e nel vuoto d’idee.

Mi spiace, ma non è così. I partiti sono finiti, nel senso che non solo non garantiscono la democrazia, ma ne sono l’antitesi. Però i contenuti proposti dalle 5 Stelle sono assolutamente insufficienti. Dopo aver reso l’Italia un’oasi ecosostenibile, che va a idrogeno (a Cesena c’era Rifkin, il profeta di tale fonte d’energia che cambia solo il carburante ma lascia intatto il sistema), dove i rifiuti sono interamente riciclati, le case si auto-alimentano, la mobilità corre in bicicletta e l’acqua ridiventa pubblica e dove le caprette ti fanno ciao, la nostra vita migliorerebbe di sicuro, ma noi non staremmo meglio. Perché tutti questi obbiettivi, di per sé sottoscrivibili, non modificherebbero di una virgola il principio cardine del paranoico modello di sviluppo che ci schiavizza: il dominio dell’Economia sull’Uomo. Grillo ammette che, dopo il comunismo, anche il capitalismo ha fallito, bene. Ma lo si supera forse evitando maniacalmente di buttare le cartacce per terra? O non si deve forse ripensare l’intero edificio sociale e culturale in cui siamo rimasti prigionieri?

Beppe ci accuserebbe, come ha fatto in un articolo sul suo blog, di essere degli “invecisti”, perché denunciamo che invece di parlare di certi temi si limita ad altri, che per noi sono robetta da educande. Ma vorremmo rispondesse alle nostre domande: è contrario oppure no al sistema di vita che facciamo, ed è deciso o no a combattere le strutture che lo reggono (piovra bancaria internazionale, grandi industrie multinazionali, burocrazie mondiali)? Il problema principale del nostro tempo, la globalizzazione che mercifica gli uomini e livella le culture, è o non è per lui il grande tema che racchiude tutte le nostre disgrazie? Abbraccia o no, senza se e senza ma, la prospettiva della decrescita? E l’autonomismo locale – non il federalismo pataccaro della Lega – può essere la bussola per una gestione del potere pubblico liberata dal parassitismo degli Stati-nazione? E l’Europa, dobbiamo lasciarla in mano alla finanza e alle lobby santificate dal Trattato di Lisbona, o dobbiamo infonderle un’anima tentando una via europea diversa dall’iper-liberismo che da Washingon a Pechino stritola il pianeta?

Abbiamo riassunto per sommi capi una possibile, si sarebbe detto una volta, piattaforma con cui discutere con Grillo e i grillini. Perché, questo è almeno il pensiero di chi scrive, il pericolo imminente che nonostante le parole d’ordine battagliere il loro movimento si faccia fagocitare dalla feccia parlamentare, si può evitare se solo si volesse sul serio “volare alto”. Sinceramente, non ci eccitiamo punto a sognare un’Italia ridotta ad una Svizzera linda, ordinata e pulita moltiplicata per dieci. Anzi, vivere in un posto simile ci darebbe la nausea. Semmai – e qui si vede che l’amico Beppe legge il nostro Massimo Fini, sdoganatore del primo ribelle della Storia – il nostro pensiero va alla Roma di Catilina, che lui ha citato a Cesena come esempio della rivolta da compiere. “Ora che il governo della Repubblica è caduto nelle mani di pochi prepotenti … ma chi, chi se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze, che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti e che a molti manchi il necessario per vivere? Che costruiscano case e case l’una appresso all’altra e che molti non abbiano un tetto per la propria famiglia? Per noi la miseria in casa, i debiti, triste l’oggi e incerto il domani. Che abbiamo, insomma, se non l’infelicità del vivere?”. Grillo, se possiamo dirtelo: lascia perdere Rifkin e le pugnette tecno-ecologiste, e cerca un orizzonte più audace. Serve una ribellione, non cinque riformine.

Che ne dice? Ci risponde?