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Quale destino per l'ex "cortile di casa"

di Giacomo Gabellini - 01/10/2010



Il recente successo di Hugo Chavez alle elezioni parlamentari venezuelane è un fatto che da un lato consacra, in barba ai borbottii dei suoi tantissimi "interessati" detrattori, l'efficacia del suo operato e dei suoi metodi, e dall'altro non fa che accentuare la portata della svolta intrapresa dall'America Latina da qualche anno a questa parte.
In poco meno di dieci anni, costui è riuscito a promuovere e a diffondere una concezione "bolivariana" di socialismo, spazzando via i frutti avvelenati prodotti dalle ricette (di fortissima impostazione neoliberale, sulla falsariga dei sedicenti "Chicago Boys") del vecchio presidente Perez e impiantando una politica del tutto nuova, sganciata dalle multinazionali americane e dai diktat impartiti Dipartimento di Stato e legata a ben altri centri di potere (Cina e Russia). Quest'ultimo, tra le altre cose, aveva infatti privatizzato una larghissima parte degli enormi giacimenti petroliferi venezuelani, dando modo alle compagnie di "cartello", Exxon Mobil in primis, di estrarre oro nero a prezzi stracciati. Una volta salito al potere, Chavez ha immediatamente rimesso l'intera industria petrolifera nelle mani dello stato, triplicando le imposte sull'estrazione allo scopo di trarre i fondi necessari per finanziare alcuni programmi (poi rivelatisi efficacissimi) di lotta alla povertà, condizione in cui versava una larga parte di popolazione. Quando, a due anni dalla prima elezione, Chavez prospettò, in presenza di tutti i membri dell'OPEC, l'idea di elevare i prezzi del petrolio, alcuni settori ben precisi della società venezuelana, compresa una parte esimia ma altolocata delle forze armate, diedero vita a un colpo di stato in pieno stile, salutato, tra le altre cose, con grande favore dai "falchi" di Washington, che accolsero a braccia aperte il golpista Carmona Estanga. Tuttavia, gran parte della popolazione e delle forze armate si dimostrarono fedeli a Chavez, e in soli due giorni fu organizzato un controgolpe che consentì a Chavez di rioccupare l'incarico che gli spettava. Alla fine del 2002, il consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera di stato (Petroleos do Venezuela) decise di indire uno sciopero di protesta nei confronti dei presunti "sprechi" di Chavez, che si protrasse per due mesi e che fu prontamente sfruttato dalle opposizioni, le quali organizzarono un referendum contro di lui. Contrariamente a quanto pronosticato (e sperato) da molti osservatori "internazionali" (leggi: Americani e co.), il responso delle urne dimostrò che Chavez godeva di un consenso schiacciante, cosa che egli non mancò mai di ricordare nei suoi lunghissimi e retorici discorsi fiume. Una volta risolti questi non piccoli problemi interni, Chavez iniziò a tessere tutta una serie di trame diplomatiche con il "vicinato", illustrando a molti presidenti i vantaggi che sarebbero sorti da una politica di ampio respiro continentale, finalizzata a stringere i rapporti di collaborazione tra i paesi sudamericani. Fu così, che nell'arco di una manciata d'anni, fiorirono (tra gli altri) due grossi progetti di integrazione economica; il CAN, che raggruppava quei paesi (Ecuador, Perù, Venezuela e Colombia) che si affacciano sul Pacifico, e il MERCOSUR, di cui facevano parte quei paesi situati sul lato est del Sud America. Si trattò di due importanti progetti di integrazione economica, volti a preservare l'America Latina dalle sortite egemoniche e imperialistiche dei "soliti noti". Il ruolo di locomotiva economica del Sud America spetta però, per potenzialità e caratteristiche geopolitiche, di diritto al Brasile, che ha tutte le carte in regola per assurgere a nuovo impero in questo nuovo assetto geopolitico mondiale, inesorabilmente avviato verso il multipolarismo. Da leader del MERCOSUR, il Brasile ha infatti avuto buon gioco per sponsorizzare e sostenere, nel recente 2008, l'istituzione di un nuovo progetto di integrazione economica e politica, che ha poi preso il nome di UNASUR; una organizzazione nella quale sono confluiti sia i paesi che aderivano al CAN sia quelli che facevano parte del MERCOSUR, più Cile, Guyana e Suriname. In effetti, se Chavez ha avuto l'indiscutibile merito di scuotere il Sud America dal suo torpore, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula ha avuto quello di raccogliere la sfida, impegnandosi a compattare l'intero continente sudamericano sotto l'egida brasiliana. Costui è salito al potere nel 2002, mentre il Brasile versava in un pessimo clima, appesantito dalle pressioni del FMI che esortava a ultimare la privatizzazione totale della compagnia petrolifera statale Petroleo Brasileiro ("Petrobras"), in seguito ad alcuni stranissimi disastri ambientali su cui ancora oggi aleggiano fortissimi sospetti di sabotaggio "esterno". Lula si oppose fermamente a tutto ciò e solo ora il suo paese sta raccogliendo i frutti della sua assennata scelta. Petrobras è una compagnia petrolifera di gigantesche dimensioni che assieme alla compagnia venezuelana potrebbe garantire l'autonomia energetica all'intero continente sudamericano. Alcuni progetti di integrazione in questo senso specifico sono già stati avviati e potrebbero, tra non molto, portare all'istituzione del PETROSUR, un'organizzazione finalizzata a far confluire in una singola struttura tutte le compagnie petrolifere di stato che estraggono petrolio dall'America Latina. Si tratta di un progetto molto ambizioso e fortemente destabilizzante per la logica legata all'OPEC, organizzazione fortemente dipendente dagli umori Sauditi. Le risorse del Brasile, non si riducono tuttavia al petrolio, in quanto sono in corso trattative finalizzate all'istituzione, insieme a Russia e, ancora una volta, Venezuela di una sorta di OPEC del gas internazionale e, in parallelo, di una Opegasur sudamericana, in cui far confluire Argentina, Bolivia e Perù. Dal punto di vista finanziario, ci troviamo di fronte all'ennesimo successo verdeoro, in quanto la Borsa di San Paolo sta costantemente accrescendo il numero di imprese quotate e, nel solo 2007, l'indice Bovespa ha per la prima volta sfondato il muro dei cinquantamila punti, facendo registrare una capitalizzazione del 13% dall'inizio dell'anno. I nuovi referenti del vecchio "cortile di casa" degli USA sono oggi Russia, dalla quale il Venezuela e tutto il blocco "bolivariano" (Bolivia ed Ecuador) acquistano grossi quantitativi di armi, e, soprattutto, la Cina, che si sta affermando come vero paese di riferimento nell'area. La Cina è un paese che da un lato è in grado di offrire un mercato enorme per le merci di esportazione latinoamericana, dall'altro garantisce una mole consistente di investimenti interni. Stando ad oggi, infatti, la Cina è uno dei maggiori partner commerciali di tutti i paesi del Sud America. Ovviamente gli USA non possono che guardare con orrore questi recente ma drastica  svolta intrapresa dal "cortile di casa", e si sono infatti attivati per frenare questa ondata modernizzatrice. L'elezione del "buono" (sic!) Obama non promette niente di buono sotto questo aspetto. Gli Stati Uniti dispongono pur sempre della Colombia, che è la loro vera e propria testa di ponte in Sud America, e nell'affrontare il disastroso terremoto di Haiti hanno ancora una volta ribadito al resto del mondo la concezione che hanno di "aiuto". Si è trattato di una massiccia invasione di marines armati fino ai denti spacciata per "missione umanitaria", che, come era ovvio, non ha migliorato di una virgola le condizioni di vita degli haitiani, ma ha riaffermato il loro strapotere militare sui Caraibi, in pieno stile anni Ottanta (Honduras, El Salvador eccetera). Quali saranno i prossimi passi di Washington è cosa difficile da prevedere, ma una cosa è certa; agli occhi dei facinorosi strateghi del Pentagono, è imperativo che l'America Latina rimanga il loro "cortile di casa", e, come tante altre volte è accaduto in passato, non baderanno a spese per fare in modo che ciò si verifichi.