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Ma quanta ipocrisia sulle parole di Ciarrapico riguardo a Fini e alla “kippah”

di Francesco Lamendola - 04/10/2010






L’ennesimo polverone si è levato sui media, e prima ancora in Parlamento, allorché il senatore Ciarrapico ha menzionato la “kippah”, il tradizionale copricapo della religione giudaica, riferendosi al Presidente della Camera, Gianfranco Fini.
Tanto da destra quanto da sinistra è partito, immediato, il fuoco di fila delle censure, degli improperi, delle indignazioni; Fiamma Nirenstein ha denunciato l’ennesimo, intollerabile episodio di antisemitismo e qualcuno, oltre a definire “imbecilli” le parole di Ciarrapico, ha chiesto la sua espulsione dal Senato.
Lo stesso Berlusconi, senza perdere neanche un minuto, si è affrettato a precisare in aula, qualora ve ne fosse stato bisogno, che lui è un vecchio amico di Israele e che, che anzi, si sente addirittura “israeliano”; tanto è vero che si è fatto paladino dell’ingresso di Israele nell’Europa Unita: con buona pace della geografia, della storia, della stessa prudenza politica e, soprattutto, con buona pace del popolo palestinese.
Ma, al di là delle scomposte reazioni di tutto l’establishment politicamente corretto; al di là dei deputati e senatori che, con perfetto sincronismo bipartisan, si sono stracciati le vesti, gridando alla bestemmia, dalla Finocchiaro a Barbareschi; al di là del clamore dei media pubblici e privati, come sempre obbedienti al cretinismo interessato dei loro ineffabili padroni e signori, c’è stato qualcuno che si sia preso la briga di capire, e di spiegare al pubblico, che cosa esattamente intendeva dire il senatore Ciarrapico?
Lo sappiamo: il personaggio è quasi indifendibile. Come un astronomo tolemaico che si ostinasse nella propria dottrina in tempi di copernicanesimo trionfante, Ciarrapico sarebbe irritante, se non facesse quasi tenerezza, per quel suo tenersi attaccato al passato fascista che non disconosce, che non ha mai disconosciuto, di cui non si vergogna affatto. Atteggiamento di per sé apprezzabile, in un’Italia così spudoratamente propensa a voltare casacca ad ogni cambiamento di regime, secondo le convenienze del momento.
Come poi egli riesca a conciliare questa sua fedeltà al passato, che in se stessa è rispettabile, come lo è ogni fede disinteressata, con l’adesione al Popolo della Libertà, in cui non riusciamo a scorgere, pur con tutta la buona volontà, una anche vaga reminiscenza del fascismo, e con l’ostentata, perfino imbarazzante devozione a Berlusconi, che non è nemmeno la caricatura di Mussolini, se non altro perché quest’ultimo amava l’Italia (e magari in modo sbagliato) mentre quello non ama che i suoi soldi: questa è cosa che non ci riguarda, ma riguarda la coscienza e la coerenza del focoso senatore ciociaro, e lui solo.
Il punto, comunque, non è questo. Il punto è che le parole di Ciarrapico non avevano proprio nulla di razzista o di antisemita; il punto è che, ormai, basta anche solo nominare qualcosa che abbia attinenza con l’ebraismo, ma senza che ciò sia parte di un discorso sperticatamente elogiativo e incondizionatamente celebrativo di Israele e del popolo ebraico, e subito i nostri uomini politici e i nostri media si fanno prendere da un attacco di autentico isterismo, come se in loro scattasse un vero e proprio riflesso condizionato. Il Diavolo in persona non scatterebbe con altrettanto furore, se si vedesse asperso con l’acqua benedetta, di come fanno tutti costoro, come un sol uomo, non appena si nomina Israele o qualcosa che ad esso sia attinente.
Inutile dire che queste anime belle non se la prendono mai altrettanto calda né quando qualcuno insulta l’Italia, né, meno ancora, quando qualcuno le spara veramente grosse contro la Chiesa cattolica: come avviene quando, all’estero, qualche sconsiderato razzista parla di “derattizzare” l’Europa dalla presenza italiana, o qualche fanatico laicista e anticlericale impedisce al papa persino di mettere piede all’Università di Roma. Meno ancora quando l’esercito israeliano prende a cannonate la basilica di Nazareth, come pure è recentemente avvenuto, nell’assordante silenzio generale. Chissà cosa sarebbe successo se un proiettile delle truppe di pace delle Nazioni Unite, schierate al confine libanese, avesse sfiorato per errore una sinagoga…
Che cosa voleva dire, dunque, Giuseppe Ciarrapico, quando affermava che Fini ed i suoi seguaci dovrebbero ordinare le “kippah” perché, avendo già tradito una volta, è certo che tradiranno una seconda? In buona o in mala fede, la frase è stata riferita all’opinione pubblica come se il “tradimento” fosse quello ai danni di Berlusconi; cosa assurda, visto che è stato Berlusconi a far espellere Gianfranco Fini dal Popolo delle Libertà e visto che, ciò nonostante, e ad onta della campagna di fango portata avanti con implacabile ostinazione dai giornali della famiglia Berlusconi, i finiani hanno votato la fiducia al governo, senza batter ciglio.
No: il tradimento di cui parlava Ciarrapico, dicendo che Fini ha già tradito una volta, si riferiva al viaggio dello stesso Fini in Israele nell’ormai lontano novembre del 2003; allorché egli, indossando debitamente la “kippah”, affermò che il fascismo era stato parte del Male Assoluto, costato la vita a sei milioni ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Aveva anche aggiunto che le leggi razziali del 1938 erano state una vergogna incancellabile e che il fascismo ne era stato pienamente responsabile, insieme a tutti quegli italiani che le avevano accettate e anche a quelli che, pur potendo nascondere e salvare degli Ebrei, non l‘avevano fatto. Per la prima volta un premier di Alleanza Nazionale, dunque, non faceva distinzioni tra fascismo e nazismo quanto al genocidio degli Ebrei; e, inoltre, aboliva la distinzione tra le leggi razziali del 1938 ed il fascismo stesso, in quanto regime ventennale che si caratterizza anche per molte altre cose, oltre a quel singolo episodio.
Parole che, allora, non erano piaciute a molti di Alleanza Nazionale; tanto che, per citarne uno fra tutti, l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, aveva prontamente replicato che una cosa è stato il fascismo, e un’altra cosa le leggi razziali del 1938: come dire che il regime non si può identificare, puramente e semplicemente, con quell’episodio, per quanto doloroso. E, quanto al fascismo in se stesso, Alemanno aveva affermato di non sentirsela di condannarlo.
A loro volta, le parole dio Alemanno non erano piaciute, manco a dirlo, ad alcuni dei maggiori esponenti della comunità ebraica italiana; ma questo è un altro discorso.
Dunque: dicendo quello che ha detto, il senatore Ciarrapico voleva intendere, semplicemente, che uno che tradisce i propri ideali una volta - e tutti ricordano le numerose occasioni in cui Fini si presentò con il braccio destro ben teso, pronunciando parole di elogio e di ammirazione sia per il fascismo, che per Mussolini - è pronto a tradire ancora; e che, secondo lui, certamente tradirà Berlusconi, perché non è un uomo d’onore.
Tutto qui.
L’allusione alla “kippah” era rivolta semplicemente al fatto che Fini, sette anni fa, quando equiparò il fascismo al Male Assoluto e lo ritenne direttamente responsabile della Shoah, o almeno di aver contribuito ad essa, aveva indossato più volte il tradizionale copricapo ebraico, tra una visita al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, una stretta di mano con Ariel Sharon e un discorso contro la minaccia del terrorismo internazionale che, come si sa, è solo quello arabo e non anche quello israeliano, allorché la violenza dell’esercito d’Israele si accanisce sulla popolazione palestinese (come è avvenuto e continua ad avvenire nella Striscia di Gaza).
Quindi, le parole di Ciarrapico volevano dire che, se Fini è stato capace di tradire platealmente i propri ideali fascisti, giungendo a identificarsi totalmente con il sionismo - e infatti Fini ha più volte sostenuto che quanti criticano Israele sono in realtà degli antisemiti che si nascondo dietro una facciata più rispettabile, solo perché non osano presentarsi come tali -, altrettanto disinvoltamente tradirà i suoi attuali compagni del centro-destra, con i voti dei quali è stato eletto e senza i quali, a suo giudizio, egli tornerà nell’ombra.
Lasciamo al senatore Ciarrapico la responsabilità di quest’ultima profezia e diamo pane al pane e vino al vino: il suo riferimento alla “kippah” non era sprezzante nei confronti degli Ebrei, ma voleva esserlo nei confronti del camaleontismo di Fini.
Si potrà discutere se l’opinione espressa da Ciarrapico sia condivisibile o meno; ma questo era il suo significato, e non altro.
Gli Ebrei c’entravano solo incidentalmente. Egli non voleva dire che Fini sia manovrato dagli Ebrei; ma, semplicemente, che, pur di ingraziarseli, non ha esitato a condannare in blocco il fascismo; senza fare, peraltro - almeno a quanto ci risulta - la benché minima autocritica per il proprio passato fascista. Cosa, invero, piuttosto comoda: si condanna l’ideologia, ma non si fa alcun «mea culpa» per avere aderito ad essa e per aver costruito la propria carriera e la propria fortuna politiche proprio su di essa.
Eppure, come ricorda lo stesso Ciarrapico, c’è stato un tempo in cui lo sconosciuto Fini si presentava alla redazione de «Il Secolo d’Italia» con il cappello in mano e si faceva ore e ore di anticamera, pur di essere ricevuto da Giorgio Almirante, che del fascismo non si è vergognato mai, tutt’altro…
Una faccenda squisitamente interna italiana, dunque; anzi, una faccenda interna dell’estrema destra italiana, o della ex estrema destra italiana. La cosa era chiara, se la si voleva capire; ma non la si è voluta capire, per potersi stracciare le vesti come fece il Sommo sacerdote Anna, allorquando Gesù Cristo non negò, in sua presenza, di essere il Figlio di Dio.
Si tratta, comunque, di un episodio in se steso assai modesto, un semplice incidente nel contesto di una partita molto più grossa che si sta combattendo in Parlamento, ormai da mesi, tra i due ex amici e alleati Fini e Berlusconi, divenuti nemici per la pelle, ma costretti, per ora, a sopportarsi a vicenda, non avendo le forze sufficienti per schiacciarsi l’un l’altro; e questo mentre l’economia va di male in peggio, migliaia di posti di lavoro saltano ogni mese, la criminalità organizzata rialza la testa e il senso di unità nazionale sta ricevendo nuovi e, forse, decisivi colpi, anche per la stupidità di una classe politica che reagisce alla minaccia nella maniera più ottusa e prevedibile.
Episodio in se stesso modesto, dunque; ma niente affatto trascurabile, invece, se lo si accosta a tanti, troppi altri episodi analoghi, in Italia e fuori d’Italia, dai quali si ricava una sola e ben precisa conclusione: non avrai altro Dio fuori d’Israele; non nominare il nome d’Israele invano; se non sei con Israele in tutto e per tutto, allora sei contro di lui e vai trattato da nemico, ossia da razzista, da nazista, da responsabile morale “post litteram” dell’Olocausto.
Questa è la situazione in cui troviamo attualmente, a livello mondiale. Qualunque religione può essere offesa, a cominciare da quella cristiana, ma senza trascurare quella islamica (si pensi al rogo del «Corano» predicato da uno scervellato pastore protestante statunitense): qualsiasi religione, dicevamo, tranne l’ebraica. Qualunque politica, qualunque Stato possono essere criticati, anche assai aspramente, per una ragione o per l’altra; ma non Israele, questo baluardo della democrazia nel Medio Oriente, come appunto Fini l’aveva definito nel 2003.
Israele è intoccabile, e sempre per il solito motivo: la religione dell’Olocausto, alla quale tutti si devono genuflettere, e davanti alla quale tutti i non Ebrei si devono sentire colpevoli, eternamente e indelebilmente.
Solo così, ad Israele e alle potenti lobbies ebraiche americane sarà possibile continuare a far sì che il mondo intero chiuda un occhio, e spesso anche entrambi, sulla tragedia del popolo palestinese, non solo spogliato della propria terra, ma anche martoriato da continue azioni militari e stremato, specialmente a Gaza, da un blocco economico che non risparmia nemmeno i medicinali e che sta portando letteralmente alla fame e alla disperazione centinaia di migliaia di persone innocenti, tra cui moltissimi bambini.
E se, poi, qualche nave disarmata tenta di avvicinarsi per portare dei soccorsi umanitari, abbiamo visto molto bene che cosa succede: il tutto nel silenzio assoluto del mondo occidentale; mentre, per un incidentale riferimento alla “keppah” di un qualunque Ciarrapico, si scatena una immediata e scandalizzatissima levata di scudi generale, peggio che se l’antico Tempio di Gerusalemme fosse stato profanato dai “goym”, dai miscredenti…